Maremma Crognola
Dei tanti aggettivi o sostantivi che accompagnano il toponimo Maremma ci ricordiamo l’amara della canzone ormai classica del repertorio italiano o la maiala dei filmacci toscani o, grazie alla preferenza dello scrittore, la crognola. Lo scrittore in questione è Alberto Prunetti che, dopo Potassa e PCSP (piccola controstoria popolare), torna sui suoi luoghi, la Maremma appunto, per raccontare, nel romanzo Troncamacchioni. Novella nera con fatti di sangue (Feltrinelli, 2024), un’epica minore fatta di minatori/banditi/antifascisti. Terra dura, terra aspra che assomiglia ai suoi abitanti (esiste un altro luogo al mondo dove si usa insultare la propria terra in maniera tanto frequente e fantasiosa? Il dubbio ci assale) e alla sua vegetazione (un arbusto, il corniolo/crognolo, celebre e celebrato per la sua durezza). Alberto, diciamolo subito, è un amico e, da anni, portiamo avanti una ricerca estetica-letteraria-politica su come ricostruire un’epica che possa dare forza, forza, alle soggettività diffuse, disperse, solitarie di questo mondo e dove il mondo è la Maremma e l’Argentina, la periferia urbana e Londra, la Cina e Bangalore. Alberto poi è il direttore artistico del Festival di Letteratura working class che si apre venerdì a Campi Bisenzio ed è un appuntamento ormai classico fra l’insorgenza operaia della GNK e chi ne è solidale con i mezzi espressivo-artistici più congeniali (qui il programma).
Margini
“Siamo a due ore da tutto: da Pisa, da Roma, da Firenze” si lamenta il trittico punk Edoardo, Michele e Iacopo, i Wait for Nothing al centro del bel film Margini, parlando di Grosseto capitale della Maremma. Trittico doppiamente ai margini: Grosseto è marginale rispetto alla Toscana da cartolina tutta torri e Chianti; loro totalmente marginali rispetto al potere/centro grossetano (esilarante il colloquio con una solerte impiegata dell’assessorato a cui chiedono sostegno per un concerto). Per noialtri cresciuti nelle temperie fra la fine degli ottanta e Genova 2001 (lo scrivente e Alberto sono accomunati anche dall’anno di nascita), il legame fra il punk (e l’universo inglese sottoculturale limitrofo skinheads, mods, etc.) e la ribellione del primo Novecento al centro di Troncamacchioni è abbastanza evidente; bande irregolari, spesso ai margini e sempre contro: laddove il sotto-culturale riesce a esprimersi come contro-culturale. E nel mezzo, non a caso e sempre a Grosseto, c’è stata, fra anni Settanta e Ottanta, l’eroina come raccontato da Vanessa Roghi nel bel mémoire del 2018 (Piccola città. Una storia comune di eroina, Laterza). Ma quando la sotto-cultura diventa contro-cultura? Ecco, questo è uno dei punti che potremmo/dovremmo indagare e che risale, probabilmente, a un’epoca, il Novecento, in cui il conflitto Lavoro/Capitale portava in sé questa possibilità; oggi è molto più difficile: i maranza, ad esempio, oggi à la page, sono difficilmente catalogabili solo con lo schema “sotto-contro”. Serve, comunque (e in questo siamo novecentisti), una qualche forma di organizzazione: il margine – in sé – non basta. Come, appunto, ci insegna la GKN in cui il conflitto fra un’azienda allo sbando e una classe operaia che ha occupato lo stabilimento continua, anno dopo anno, crisi dopo crisi, a scaldarci il cuore.
Indicazioni ministeriali
“Anziché mirare all’obiettivo, del tutto irrealistico, di formare ragazzi (o perfino bambini!) capaci di leggere e interpretare le fonti, per poi valutarle criticamente magari alla luce delle diverse interpretazioni storiografiche, è consigliabile percorrere una via diversa. E cioè un insegnamento/apprendimento della storia che metta al centro la sua dimensione narrativa in quanto racconto delle vicende umane nel tempo”. Si esprimono così, in maniera alquanto arzigogolata a usare termini desueti, le “Nuove Indicazioni 2025. Scuola dell’infanzia e Primo ciclo di istruzione” per l’insegnamento della storia. Si sostiene, in sostanza, che le fonti non vanno lette ma bisogna raccontare la storia in termini narrativi: una specie di favola ma vera in cui le vicende umane avvengono in un unicum di re/regine, principi/principesse. Ma le fonti, e gli archivi, sono fondamentali. La destra al potere, in cerca di legittimazione fin dai banchi di scuola, vuole impedire a chi studia la storia di accedere alle storie, di leggere quei documenti che portano le tracce del passato. Ci aspetta una lunga notte? Ricordiamoci del Jacques Rancière di La notte dei proletari. Archivi del sogno operaio e delle pratiche di emancipazione dei lavoratori quando, nella prima metà del XIX secolo, invece di riposare, gli operai si riunivano per leggere, scrivere e discutere, appropriandosi della lingua e della cultura borghese per affermare la loro identità intellettuale e politica. E, quindi, utilizziamo i mezzi borghesi, come il romanzo, e frequentiamo gli archivi come fa Prunetti.
Archivi
È celebre una definizione di Gramsci: “Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie; ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri”. La distinzione fra cultura/accumulo (di nozioni/notizie/documenti/etc) e cultura/relazione (fra persone) diventa centrale. La scrittura dei Quaderni di Gramsci è sempre da tarare al luogo di produzione, il carcere, e alla censura, fascista. Le frasi spesso sono apodittiche e magari Gramsci avrebbe aggiunto l’aggettivo “politica” al primo termine cultura. Nel dubbio cerchiamo, quindi, di intravedere nella distinzione non proprio una dicotomia, ma due momenti separati e contigui. Nel lavoro di Prunetti questa cosa si vede bene: Alberto accumula, in archivi/testimonianze, materiale che poi diventa relazione/vita dei protagonisti. Le storie sono ancorate alla Storia ma sono funzionali ad agitare il fantasma, quello del conflitto, che diventa, oggi, un impensato, un non detto che va scritto: una banda di punk maremmani, una ciurma di antifascisti alfabetizzati, un gruppo di operai che tiene aperta una fabbrica.
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