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Il Primo ministro israeliano, vanamente ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra, sta violando di nuovo il diritto internazionale. Dopo aver subappaltato a dei predoni di marca islamista il compito di seminare zizzania e morte a Gaza, ha tirato i fili del suo burattino alla Casa Bianca fino a mobilitarlo per un attacco preventivo (e illegale) contro le centrali nucleari iraniane. Soprattutto quella di Fordow, annidata tra i monti presso la città santa di Qum, essendo la più avanzata nell’arricchimento d’uranio. Nell’anno di grazia 2015 – in seguito alla firma del maxi-accordo raggiunto sul nucleare iraniano – Teheran pullulava di investitori sbarcati da mezzo mondo e la teocrazia dava qualche segnale di cedimento. Io ero in visita a Qum e mi fu concesso di avvicinarmi al sito di Fordow: non troppo, ma quanto bastava per constatare de visu le difficoltà di aggirare i rilievi montani e sganciare con precisione un ordigno in grado di danneggiare le centrifughe sottoterra.

Nella gara a chi ce l’ha più lungo tra Iran, Israele e Stati Uniti, questi ultimi sono insuperabili. Hanno esibito con maschia fierezza un bolide puntuto lungo 6 metri e pesante 13 tonnellate, chiamato appunto MOP (Massive Ordnance Penetrator) perché può penetrare decine di metri in grembo alla montagna, fino a deflagrare all’acme della sua “intensità”. I piloti statunitensi che sognavano di provare il brivido ora sono stati soddisfatti, grazie alla bravura di Netanyahu di intortare Trump e superare le obiezioni dei suoi MAGA, propensi a non intraprendere altre iniziative bellicose oltre a quella scatenata contro gli immigrati.

A dirla tutta, il Presidente USA si era concesso due settimane per decidere se entrare o no in guerra. Voglioso come al solito di tenere in sospeso i sudditi, aveva detto “I may do it, I may not” (“posso attaccare come non attaccare”). Copiava senza saperlo l’ambiguo responso della sibilla cumana (“ibis redibis non morieris in bello”) a chi le chiedeva se sarebbe sopravvissuto in guerra. L’oracolo della Sibilla dipendeva da una virgola; il responso di Trump dipendeva, invece, da chi dietro il palco tira i fili e titilla il suo ego. Ora che ci è riuscito, Netanyahu può candidarsi ex aequo con Trump al Nobel per la Pace.

L’opinione pubblica non si spiega come mai nel 2018 Trump abbia stracciato come un chiffon de papier l’accordo del 2015, che stava portando effetti benefici all’intero Medio Oriente. Ai diplomatici tocca dare la risposta, per surreale che appaia: semplicemente, il nuovo inquilino della Casa Bianca non sopportava i successi ottenuti dal suo predecessore. Infantile gelosia. Lo prova il fatto che i negoziati intrapresi da Trump ricalcano quelli conclusi a suo tempo da Obama, con la differenza che stavolta sarebbe lui a firmare l’accordo, se mai ci riuscirà.

Eppure, basterebbe una semplice mossa per iniziare a risolvere la crisi: aprire il tavolo negoziale per il disarmo nucleare del Medio Oriente. L’Egitto lo propone da 40 anni. Nel 2010 a New York, in occasione del riesame quinquennale del Trattato di Non Proliferazione (cui aderiscono tutti i Paesi del mondo salvo Israele, India, Pakistan e Corea del Nord), la Lega Araba e la Turchia fecero approvare una Risoluzione che impegnava a convocare nel 2012 una conferenza per il disarmo nucleare del Medio Oriente. La Finlandia si offriva di ospitarla. Invece di ringraziare, il premier Netanyahu andò su tutte le furie: era come chiedere a un giocatore di poker, noto per i bluff, di mostrare le sue carte.

Quella proposta sensata è finita nel cassetto. Oggi, in questo pelago di irrazionalità bellicosa, un Israele fornito di bombe nucleari tattiche e non aderente al Trattato di Non Proliferazione vuole punire un Paese che aderisce al Trattato di Non Proliferazione ed è privo di ordigni nucleari. È questo ciò che ti senti dire con logica inappuntabile da tutte e tutti gli iraniani, sia da chi è favorevole sia da chi è contrario al regime. A Teheran, nonostante i bombardamenti, sopravvive un certo umorismo nell’assistere all’alterco tra la Casa Bianca e la stampa libera su un quesito: dove sono finite le barre di uranio arricchito al 60% che erano stoccate a Fordow? Trump e i suoi yesmen giurano che sono state “neutralizzate” (qualsiasi cosa significhi). Solo così Trump può calmare i MAGA a cui aveva promesso “basta guerre”.

In realtà, l’Iran non smetterà di far progredire il suo programma nucleare, tanto più che la cosiddetta tregua fra Iran e Israele non durerà. Netanyahu lo sa e, perciò, mira a ben altro: mira a rovesciare il regime di Teheran, puntando su un sollevamento popolare come quello che rovesciò lo Scià nel 1978. Ma non si era detto e ripetuto, dopo i disastri combinati in Iraq e in Afghanistan, che era l’ora di smetterla con i “regime changes”? Evidentemente, la destra Israele non vuol capire che ogni attacco all’Iran ne rafforza il regime.

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Un commento a “Trump burattino di Netanyahu”

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