Di tutti i successi politici conseguiti da Donald Trump in questi anni di governo quelli di pacificatore sono stati certamente i più apprezzati dalla comunità internazionale. Lui ce l’ha messa tutta. Tra sé e sé si era detto: “Come imprenditore ho fatto bancarotta sei volte, ma come presidente ora pareggerò il conto chiudendo sei conflitti nel mondo, fino a meritarmi il Premio Nobel per la Pace”.
Kashmir. Il conflitto tra due potenze nucleari, India e Pakistan, era tra i più angosciosi. Beh, adesso in quella fascinosa e insanguinata regione alpina regna la concordia tra induisti e musulmani. Peccato che l’intervento pacificatorio di Trump non sia piaciuto al presidente indiano, Modi, che si è lamentato di quella “intrusione” sbilanciata a favore del Pakistan. Guarda caso, ora gli USA hanno deciso di applicare dazi del 50% all’India e solo del 19% al Pakistan, che per gratitudine ha proposto a Oslo di assegnare a Trump il Nobel per la Pace.
Nagorno-Karabak. L’annoso conflitto tra Armenia e Azerbaigian per quel territorio conteso si è risolto a favore degli azeri, che ora l’hanno occupato militarmente espellendo gli armeni che vi abitavano da sempre. Trump non aveva che una vaga idea di dove si trovasse quel territorio dal nome così buffo, ma tra i due contendenti era facile scegliere per chi parteggiare: l’Azerbaigian era quello ricco di petrolio. Pace fatta.
Rwanda contro RDC. Gli scontri al confine tra il Rwanda e la Repubblica Democratica del Congo duravano da 30 anni. Lo scorso giugno la Casa Bianca ha fatto finalmente siglare ai contendenti un accordo definito da Trump “un trionfo glorioso”. In effetti è stato un trionfo. Soprattutto per gli USA, beneficiati dall’apertura delle ricchezze minerarie locali alle tante imprese occidentali interessate.
Egitto ed Etiopia. Sono ai ferri corti per un contenzioso molto serio: Addis Abeba ha completato la costruzione della più grande diga d’Africa sul Nilo e il Cairo teme, con qualche ragione, che si dimezzerà il flusso d’acqua vitale per la vita stesso degli egiziani. Chi avrebbe potuto apportare un aiuto tecnico essenziale per l’Egitto era lo USAID, se non fosse stato depauperato da un decreto presidenziale. In futuro lo scontro fra i due popolosi Paesi africani sarà micidiale, ma intanto Trump ha inserito questa vertenza nella lista dei propri successi diplomatici .
Thailandia contro Cambogia. Questa estate i due Stati frontalieri sono arrivati alle mani, provocando morti e 300.000 rifugiati. Ci ha pensato la Malaysia a metter pace almeno provvisoria tra i due vicini, ma a Trump è bastato minacciarli di interrompere i negoziati commerciali per poi dichiarare che “ormai andranno d’accordo per molti anni a venire”. Purtroppo, non ha avuto il tempo di esaminare le cause profonde di quel dissidio; quindi non resta che sperare.
Russia e Ucraina. Se a Washington ci fosse stato Trump invece di quel “corrotto” di Biden, la guerra scatenata dai russi in Ucraina si sarebbe risolta in un giorno, parola sua. Arrivato finalmente alla Casa Bianca, ha messo in moto le sue arti migliori: abbracciare l’invasore e negoziare proficui accordi stile Berlusconi. Ma ora, dopo dieci mesi di guerra sempre più sanguinosa, ha avuto il buon gusto di non inserire questa tra le sue “pacificazioni” di successo.
In compenso, per arrivare al numero di sei “pacificazioni”, ha aggiunto alla lista la pace tra Israele e Palestina, presentata giorni fa alla Casa Bianca come praticamente conclusa, a meno che… a meno che i palestinesi si rifiutino di siglare pezzi di carta che non hanno potuto neppure esaminare a fondo. Fascinoso il teatrino nello Studio Ovale, presente Netanyahu e assenti i palestinesi, dove Trump si è rivolto agli assenti dicendo in pratica: questa è la mia proposta elaborata in 20 punti con gli israeliani; se viene rifiutata, “Bibi sa ciò che deve fare”. Di fronte a una frase che suona leggermente mafiosa, il Comitato norvegese del Nobel per la Pace avrà difficoltà ad assegnare il premio proprio a Lui.
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