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Il 1° giugno 2023, l’Unione europea ha concluso, con due decisioni del Consiglio, il processo di adesione alla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa per la prevenzione e la lotta alla violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.

La Convenzione era stata firmata dal Consiglio nel 2017, ma il processo di adesione aveva incontrato molteplici ostacoli, compresa la necessità di attendere il parere della Corte di giustizia dell’Unione europea, reso nel 2021 su richiesta del Parlamento europeo.

La Commissione e il Parlamento hanno promosso costantemente sia la ratifica da parte dell’UE della Convenzione di Istanbul sia l’adozione di uno strumento vincolante – nello specifico una direttiva – sul contrasto alla violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, la cui proposta è stata presentata l’8 marzo 2022, quale una delle misure di adeguamento del diritto europeo agli obblighi derivanti dalla Convenzione di Istanbul1.

Il testo, che ha visto impegnate le organizzazioni femministe e per i diritti umani delle donne in un lavoro di costante monitoraggio e negoziazioni, è stato indebolito gravemente a seguito della riscrittura avvenuta in seno al Consiglio dell’Ue che stralcia le disposizioni relative allo stupro e integra le fattispecie in tema di cyber violenza con la nozione del grave danno che devono provare le donne che la denunciano.

Per comprendere la portata dell’arretramento che l’adozione di una siffatta direttiva produrrebbe sull’ordinamento degli Stati membri, si propone una ricostruzione del quadro attuale di diritto europeo in materia, per commentare poi le specifiche modifiche del testo negoziate in seno al Consiglio dell’Ue.

Il quadro attuale di diritto europeo in materia di violenza nei confronti delle donne

L’Unione europea ha affrontato negli anni la violenza nei confronti delle donne nel quadro complessivo delle misure di attuazione dell’uguaglianza e della parità tra uomini e donne in attuazione dell’articolo 2 e articolo 3, paragrafo 3, del trattato sull’Unione europea, dell’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali, e dell’articolo 8 del TFUE, che attribuisce all’Unione il compito di eliminare le ineguaglianze e di promuovere la parità tra uomini e donne in tutte le sue attività attraverso l’integrazione della dimensione di genere nelle politiche dell’Unione.

In questa cornice rientrano, secondo la dichiarazione n. 19, allegata all’atto finale della Conferenza intergovernativa che ha adottato il trattato di Lisbona, gli sforzi «per […] lottare contro tutte le forme di violenza domestica», e gli Stati membri si sono impegnati ad «adottare tutte le misure necessarie per prevenire e punire questi atti criminali e per sostenere e proteggere le vittime»2.

Dal 1998 in poi, le diverse Presidenze del Consiglio dell’Unione europea hanno prodotto raccomandazioni, proposto indicatori e sviluppato altri documenti non vincolanti sulla violenza contro le donne. Nel dicembre 2009, sotto la presidenza svedese, il Consiglio ha adottato il programma di Stoccolma (2010-2014), per rafforzare l’impegno ad affrontare la violenza nei confronti delle donne prevedendo l’adozione di misure di protezione, una legislazione globale sui diritti delle vittime e un’attenzione particolare ai diritti dei bambini3.

Sotto la presidenza spagnola, le conclusioni del Consiglio del marzo 2010 sull’eliminazione della violenza contro le donne nell’Unione europea hanno fissato il programma per gli Stati membri di – proseguire e aggiornare nonché sviluppare, laddove siano mancanti, strategie nazionali basandosi sul coordinamento, sullo scambio delle migliori pratiche e su orientamenti a livello europeo, dedicando risorse adeguate alla prevenzione e alla lotta contro la violenza nei confronti delle donne, anche attraverso il ricorso ai fondi strutturali; operare attivamente per la prevenzione della violenza e promuovere misure di sensibilizzazione e, se del caso, strutture di consulenza.

Il Consiglio rivolge agli Stati anche l’invito a «individuare e porre rimedio alle carenze nella protezione delle donne vittime di qualsiasi forma di violenza, comprese le mutilazioni genitali femminili, la violenza e l’oppressione in nome del cosiddetto onore; e garantire che non vi sia alcuna giustificazione della violenza per motivi legati a costumi, tradizioni o considerazioni religiose», garantendo «la protezione e il sostegno ai bambini che vivono in ambienti in cui le donne sono vittime di violenza»4.

Le conclusioni del Consiglio del 2011 sul patto europeo per la parità di genere per il periodo 2011-2020 ribadiscono l’impegno dell’UE a colmare i divari di genere in materia di occupazione, istruzione e protezione sociale, a promuovere un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata per le donne e gli uomini, e a combattere tutte le forme di violenza contro le donne «al fine di garantire il pieno godimento dei diritti umani delle donne e di realizzare la parità di genere, anche nell’ottica di una crescita inclusiva»5.

Nella risoluzione del 26 novembre 2009 sull’eliminazione della violenza contro le donne6, il Parlamento europeo ha esortato gli Stati membri a migliorare le normative e le politiche nazionali volte a combattere tutte le forme di violenza nei confronti delle donne e ad affrontarne le cause, in particolare mediante misure di prevenzione, e ha invitato l’Unione a garantire a tutte le vittime di violenza il diritto all’assistenza e al sostegno.

La questione è stata ripresa dal Parlamento europeo nella risoluzione del 5 aprile 20117 sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico dell’UE in materia di lotta alla violenza nei confronti delle donne: il documento, per delineare una strategia comune come base per futuri strumenti legislativi di diritto penale dell’Unione e per un futuro piano d’azione, recepisce la prospettiva del comitato CEDAW e della Convenzione di Istanbul.

In particolare, il Parlamento europeo tiene conto di quanto rappresentato dalle organizzazioni della società civile delle donne impegnate sul tema, riconoscendo i fattori materiali che impediscono l’emersione del fenomeno: «in molti casi le donne non denunciano gli atti di violenza di genere subiti, e ciò per motivi diversi e complessi che includono fattori psicologici, economici, sociali e culturali, ma anche per mancanza di fiducia nella polizia, nel sistema giuridico e nei servizi sociali e sanitari», evidenziando la natura strutturale e trasversale del fenomeno sul territorio dell’Unione Europea8.

La Commissione europea ha affrontato la violenza nei confronti delle donne attraverso vari strumenti politici, principalmente la Strategia per la parità tra donne e uomini 2010-2015, che segue la Carta delle donne (2010)9 e la Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010.

Nel maggio 2011 la Commissione ha proposto un nuovo pacchetto legislativo per garantire un livello minimo di diritti delle vittime: protezione, sostegno e accesso alla giustizia, partendo dalla prospettiva della Carta delle donne secondo cui «il pieno riconoscimento dei diritti fondamentali delle donne e delle ragazze è una parte inalienabile, integrante e indivisibile dei diritti umani universali ed è indispensabile per il progresso delle donne e delle ragazze, per la pace, la sicurezza e lo sviluppo».

In linea con la Carta delle donne, che prevede l’istituzione di un quadro politico globale ed efficace per combattere la violenza di genere, le proposte della Commissione europea si sono tradotte in importanti atti vincolanti che affrontano i vari aspetti della tutela dei diritti fondamentali compromessi dalla violenza: il Regolamento (UE) n. 606/2013 del 12 giugno 2013 sul riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile; la direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime riguardanti i diritti, l’assistenza e la protezione delle vittime di reato; la direttiva 2011/99/UE del 13 dicembre 2011 sull’ordine di protezione europeo; la direttiva 2011/36/UE, del 5 aprile 2011, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, che sostituisce la decisione quadro 2002/629/GAI del Consiglio; la direttiva 2006/54/CE, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione), che introduce una definizione delle molestie e considera le molestie sessuali come discriminazioni fondate sul sesso, insieme alla Direttiva 2004/113/CE, del 13 dicembre 2004, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura.

La proposta del Parlamento europeo di direttiva sulla violenza nei confronti delle donne

La base di lavoro per la stesura delle disposizioni è costituita, per espresso rinvio, dalla Convenzione d’Istanbul e dalle raccomandazioni del gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (GREVIO), che è l’organo di esperti indipendenti incaricato di monitorare l’attuazione della Convenzione di Istanbul.

Si tiene conto, inoltre, delle raccomandazioni di esperti e organismi internazionali operanti nel settore, anche sotto l’egida delle Nazioni Unite, e delle loro riflessioni sulle buone pratiche riconosciute a livello internazionale nella lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica.

La proposta definisce come reati determinate forme di violenza che colpiscono oltremodo le donne e rafforza i diritti delle vittime avvalendosi delle basi giuridiche esistenti di cui all’articolo 82, paragrafo 2, e all’articolo 83, paragrafo 1, TFUE.

In tal modo essa garantisce che tali reati siano perseguiti in modo efficace e contribuisce a porre fine alla violenza contro le donne e alla violenza domestica e a migliorare la protezione e l’assistenza alle vittime.

Aumentando la fiducia tra Stati membri nei rispettivi sistemi giudiziari, essa mira, nella visione del legislatore europeo, a promuovere il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni in materia penale e a migliorare la cooperazione giudiziaria in materia penale.

La proposta di direttiva ha articolato una serie di specifici obblighi relativi al diritto penale sostanziale e a quello processuale:

  • obbligo di configurare nuove fattispecie incriminatrici che tengano conto dell’evoluzione della cultura giuridica, per esempio in tema di stupro, stabilendo come elemento della condotta l’assenza di consenso della vittima, poiché ancora in alcuni Stati membri la condizione necessaria perché risulti integrata la violenza sessuale è l’uso della forza o delle minacce, come nel nostro ordinamento. Si stabilisce inoltre l’obbligo di punire le mutilazioni genitali femminili, le molestie sessuali e alcune forme di violenza online;
  • potenziamento dell’accesso delle vittime alla giustizia e alla protezione adeguata e tempestiva, mediante l’emanazione di misure urgenti di allontanamento e ordini di protezione, con integrazione nell’ordinamento della prospettiva di genere e una valutazione delle esigenze individuali ai fini di una protezione e di un’assistenza su misura rispetto alle esigenze specifiche delle singole vittime.

Una particolare attenzione è riservata alle persone minorenni vittime di violenza di genere e domestica e a misure che garantiscano l’effettività del diritto al risarcimento del danno, nonché del diritto a rimedi concreti, come per esempio la rimozione da internet di contenuti connessi a reati di violenza online.

Si stabilisce l’obbligo di prestare alle vittime di violenza contro le donne o di violenza domestica un’assistenza adeguata e specializzate alle loro esigenze specifiche: tale assistenza include un sostegno specifico in caso di violenza sessuale e di mutilazioni genitali femminili, l’accesso a linee di assistenza telefonica nazionali, un’ampia disponibilità e accessibilità delle case rifugio, sottolineando la preminenza dell’approccio di genere e femminista nell’organizzazione di servizi adeguati, e un sostegno globale alle vittime di molestie sessuali sul lavoro.

La bozza si sofferma inoltre sul tema dell’assistenza specialistica integrata e globale per le vittime con esigenze specifiche e che rientrano in gruppi “a rischio”, comprese le donne che fuggono dai conflitti armati.

Un altro tema affrontato è l’azione di sensibilizzazione, con la promozione della formazione dei professionisti che possono entrare in contatto con le vittime e intervenendo sugli autori dei reati con programmi appositi. Infine, si approfondiscono il coordinamento e la cooperazione a livello nazionale e dell’UE garantendo un approccio multi-agenzia e migliorando la raccolta di dati sulla violenza contro le donne e sulla violenza domestica.

Gli stralci alla bozza di direttiva imposti dai governi europei

È importante soffermarsi, a questo punto, sulle specifiche parti eliminate dalla proposta originaria, perché ci forniscono la misura dell’arretramento giuridico che potrebbe derivarne per gli Stati europei, e palesano quanto siano ancora vive e radicate, anche politicamente, le componenti di quella che efficacemente il femminismo ha definito “cultura dello stupro”.

In particolare, sulla base di ragioni tecniche avanzate dal Consiglio e dai rappresentanti di Francia, Germania, Paesi Bassi, Ungheria, Bulgaria, Portogallo, Malta, Repubblica Ceca, Estonia, Slovacchia, Irlanda, sono stati espunti dalla proposta di direttiva i seguenti paragrafi:

(13) Lo stupro è uno dei reati più gravi in quanto viola l’integrità sessuale della vittima ed è un reato che colpisce le donne senza comune misura. Implica uno squilibrio di potere tra stupratore e vittima che permette all’uno di sfruttare sessualmente l’altra a fini di gratificazione personale, affermazione del proprio dominio, ottenimento di un riconoscimento sociale, di un avanzamento di carriera o anche di un guadagno economico. In molti Stati membri la condizione perché si configuri stupro è ancora l’uso della forza, della minaccia o della costrizione. In altri invece basta la sola condizione che la vittima non abbia acconsentito all’atto sessuale. È questo l’unico approccio che garantisce la piena protezione dell’integrità sessuale della vittima. È quindi necessario garantire un uguale livello di protezione in tutta l’Unione precisando gli elementi costitutivi del reato di stupro nei confronti di una donna.

(14) Per definirsi tale, lo stupro dovrebbe includere esplicitamente tutti i tipi di penetrazione sessuale, con qualsiasi parte del corpo o con un oggetto. L’assenza di consenso dovrebbe essere un elemento centrale e costitutivo della definizione di stupro, dato che spesso esso non implica violenza fisica o uso della forza. Il consenso iniziale dovrebbe poter essere ritrattato in qualsiasi momento durante l’atto, nel rispetto dell’autonomia sessuale della vittima, e non dovrebbe implicare automaticamente un consenso per atti futuri. La penetrazione sessuale non consensuale dovrebbe configurare stupro anche se commessa nei confronti di un coniuge o partner.

Eliminare l’obbligo di riformulazione della fattispecie incriminatrice dello stupro incentrando il reato sul consenso significa svuotare di valore politico e giuridico la direttiva e, in generale, abbatte la credibilità della politica del diritto europea in materia.

L’obbligo di riformulazione, infatti, deriva direttamente dalla Convenzione di Istanbul nonché dalla CEDAW: si ricorda sul tema, tra i vari, il caso AF c. Italia, nel quale il Comitato CEDAW nel 2022 ha indicato come misura generale da adottare per assicurare l’accesso alla giustizia e prevenire l’impunità e la vittimizzazione secondaria proprio la riformulazione del reato di violenza sessuale laddove la fattispecie non sia incentrata sulla sussistenza o meno del consenso.

La circostanza che la riformulazione della direttiva mantenga le disposizioni in tema di mutilazioni genitali femminili e matrimoni forzati non ripaga della lacuna ingenerata dalla cancellazione dell’articolo 5 e conferma un approccio alla produzione del diritto in tema di violenza di genere nei confronti delle donne che tende a spostare l’attenzione sui reati che riguardano per lo più “le altre”, ossia le donne di comunità minoritarie nei paesi membri, secondo un’ottica stereotipizzante e stigmatizzante, ignorando la gravità e pervasività della cultura dello stupro, che, come comprovato dagli studi preliminari e le consultazioni svolte per la preparazione della proposta di direttiva, connota tutti i paesi membri e impone un immediato intervento per il suo definitivo superamento.

Non secondaria è l’integrazione del testo nella parte in cui approfondisce i reati commessi online, la cosiddetta cyber violence, aggiungendo quale elemento della fattispecie incriminatrice il «grave pregiudizio o grave danno psicologico alla vittima» ovvero il serio timore «per la sua sicurezza o per quella delle persone a suo carico», così ingenerando un arretramento della tutela giuridica che gli ordinamento hanno predisposto, ponendo a carico della vittima un onere probatorio molto vischioso che non solo espone la persona offesa a rischio di vittimizzazione secondaria, ma abbassa la soglia di prevenzione di condotte violente che possono rivelarsi molto dannose dei beni giuridici da tutelare.

Dopo ulteriori negoziazioni, è stato trasmesso il 6 febbraio al Parlamento europeo un nuovo testo che comunque rappresenta un passo indietro rispetto agli standard già raggiunti negli ordinamenti europei.

Adottare una direttiva così come riscritta a seguito delle negoziazioni del Consiglio dell’Ue significa:

  1. vanificarele battaglie che le donne hanno portato avanti in tema di violenza di genere e sessuale negli ultimi trent’anni;
  2. abbassaregli standard normativi di riferimento per i paesi membri che sono tutti molto più avanzati della direttiva, grazie alla mobilitazione femminista sul diritto e i processi;
  3. impedire l’avanzamento del diritto europeo e nazionale sul tema dello stupro e in generale della violenza contro le donne.

Non abbiamo bisogno di direttive-manifesto, di facile utilizzo per promuoversi individualmente nella prossima campagna elettorale: il diritto europeo deve promuovere una visione di una società libera dalla violenza nei confronti delle donne.

Note

1 S. De Vido, L’adesione dell’Unione europea alla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa: il ruolo delle organizzazioni della società civile a tutela delle donne, in Sistema penale, 12 luglio 2023.

2 Dichiarazioni allegate all’atto finale della conferenza intergovernativa che ha adottato il trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007.

3 Nel programma di Stoccolma il fenomeno della violenza nei confronti delle donne non è affrontato come questione sociale autonoma, bensì nel contesto delle necessità dei gruppi vulnerabili, una prospettiva questa che tende a neutralizzare il fenomeno e non incoraggia in concreto l’adozione di una strategia di prevenzione, contrasto e protezione specifica.

4 Consiglio dell’Unione europea, Conclusioni del Consiglio del marzo 2010 sull’eliminazione della violenza contro le donne, Bruxelles, 8 marzo 2010, disponibile all’indirizzo www.consilium.europa.eu.

5 Consiglio dell’Unione europea, Conclusioni del Consiglio sul patto europeo per la parità di genere per il periodo 2011 – 2020, Bruxelles, 7 marzo 2011, disponibile all’indirizzo www.consilium.europa.eu.

6 Parlamento Europeo, Risoluzione del Parlamento europeo del 26 novembre 2009 sull’eliminazione della violenza contro le donne, Ris. 2010/C 285 E/07, disponibile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu.

7 Parlamento Europeo, Risoluzione del Parlamento europeo del 5 aprile 2011 sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico dell’UE in materia di lotta alla violenza contro le donne, 2010/2209(INI), disponibile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu.

8 La tenuta del quadro tracciato dalla risoluzione del Parlamento europeo del 2011 vacilla, tuttavia, allorché, pur riconoscendo la natura strutturale, trasversale e culturale del fenomeno, si menziona quale fattore di rischio la crisi economica: si legge, infatti, al considerando lett. I) che «lo stress economico porta spesso ad abusi più frequenti, violenti e pericolosi; che taluni studi hanno evidenziato come la violenza contro le donne si intensifichi nei momenti in cui gli uomini sperimentano forme di sradicamento e spossesso causati dalla crisi economica», un’argomentazione che reca un retroterra ancora “giustificativo” della violenza nei confronti delle donne, messa in correlazione con la situazione di crisi economica degli Stati membri.

9 Commissione europea, Dichiarazione della Commissione europea in occasione della giornata internazionale della donna 2010 Commemorazione del 15° anniversario dell’adozione della dichiarazione e della piattaforma d’azione della Conferenza mondiale dell’ONU sulle donne, svoltasi a Pechino, e del 30° anniversario della della Convenzione dell’ONU sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne, COM(2010)78, Bruxelles, 5 Marzo 2010.

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Un commento a “Violenza contro le donne, in Europa arretra il diritto”

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