Quando si discute di democrazia si presentano due corni di un dilemma: quello della governabilità e quello della rappresentanza (in mezzo ci stanno la forma di governo, il ruolo del Parlamento, la legge elettorale).
In questa occasione ho scelto di affrontarne uno solo: quello della rappresentanza.
Una scelta che deriva prima di tutto dalla considerazione che il rapporto che sembra essersi via via stabilito tra tecnica e politica tende a riunificare governo e rappresentanza nel senso dell’affermarsi dell’idea del “partito di sistema”, inteso come evoluzione del “partito della nazione”, antica aspirazione del PD a vocazione maggioritaria.
Il “partito di sistema” rappresenterebbe, infatti, proprio il soggetto di riunificazione delle tecniche di governo, in modo di porle al riparo dalle fibrillazioni derivanti dalla mutevolezza della rappresentanza e dagli stessi esiti elettorali.
Per affrontare il tema della rappresentanza propongo allora di sviluppare un’analisi tendente ad affrontare 4 nodi che mi paiono quelli emergenti nella “modernità”:
1) il nodo relativo alla nuova divisione degli equilibri sul piano planetario con il ritorno dell’atlantismo e l’Europa incerta nelle sue articolate divisioni tra Est e Ovest e tra Nord e Sud. Non pare emergere un ruolo dell’Europa nella ristrutturazione globale e sale il rischio di una funzione di puro e semplice “traino” da parte degli USA. Sarà soltanto assumendo un preciso indirizzo di fondo a questo proposito che potrà essere possibile pensare di costruire un tassello di identità per quella nuova soggettività politica della sinistra, cui stiamo cercando di lavorare;
2) il”limite etico” da tracciare rispetto al procedere dell’evoluzione tecnologica. Giustamente, infatti, si comincia a discutere di necessità di “conversione” e non di “transizione” rispetto ai grandi temi dell’ecologia e della digitalizzazione. Una “conversione” richiede una assunzione di responsabilità “radicale” nell’indicare una adeguata prospettiva politica. Mentre si stanno estendendo i livelli di sfruttamento all’interno di un processo generale di esponenziale crescita delle diseguaglianze, si presenta una “complessità di contraddizioni” altre rispetto a quelle classicamente identificate dallo schema di Rokkan;
3) la costruzione di una rappresentanza possibile per le nuove insorgenze sociali. È già stata ricordata la crescita dei livelli di disuguaglianza, in particolare a partire dal tempo intercorso dall’inizio dell’emergenza sanitaria. I punti da analizzare possono essere così riassunti: crescita delle disuguaglianze, neocolonialismo, aumento dei punti di confronto bellico, segnali di vera e propria “lotta di poveri” tra popoli e all’interno dei popoli;
4) nello specifico del “caso italiano” salta in evidenza nell’ordine del giorno imposto dall’attualità il tema di natura costituzionale della forma di governo, ormai tramutata “de facto” da parlamentare a presidenziale con una dimensione di presidenzialismo catalogabile come di vera e proprio evoluzione rispetto al tipo di presidenzialismo che si intendeva affermare (anche come semi-presidenzialismo) nell’intreccio tra concezione della governabilità quale fine esaustivo dell’agire politico e perfezionamento della personalizzazione della politica esaltata dall’introduzione del maggioritario e del pasticciato “bipolarismo all’italiana”.
Si presenta così una vera e propria necessità: quella di avviare la definizione di tratti di un’alternativa sistemica, introducendo un’idea di “socialismo della finitudine” che, dal punto di vista di una possibile forma di rappresentanza politica, deve porsi come idea contrapposta a quella di una tecnocrazia fondata sulla riduzione del rapporto tra politica e società.
In sostanza il quadro fin qui descritto richiederebbe la costruzione di una soggettività rappresentativa posta nelle sue forme oltre la semplice constatazione della crisi delle democrazie liberali e l’evidente insufficienza degli schemi di una democrazia diretta, agita attraverso l’uso del web e posta in funzione di una presunta decisionalità di massa.
Quest’ultimo aspetto rimane, almeno a mio giudizio, quello da valutare con il massimo dell’attenzione se ci si intende misurare sul serio con le dinamiche in atto nel sistema politico italiano.
Si sta discutendo molto nel cercare di porre in luce il fenomeno emergente di una sorta di arretramento, di ritorno all’indietro, rispetto alle conquiste sociali dei “30 gloriosi”: poco, invece, si è fin qui riflettuto sulla trasformazione dei partiti e delle espressioni sociali di mediazione e di aggregazione del consenso.
Partiti e corpi intermedi nella società occidentale (usando una definizione di comodo) sono stati trasformati all’interno di un modello di vera e propria riduzione di senso dell’azione politica.
Ci sono due punti da analizzare:
a) sul piano del pensiero politico, la costruzione di una visione organica al riguardo del “senso del limite” da introdurre nell’avanzarsi del processo di inglobamento della politica all’interno della tecnica (non solo come produzione di norme ma di vera e propria “ricostruzione di orientamento”);
b) il rinvenimento di un terreno di relazioni sociali su cui costruire una rappresentanza adeguata alla complessità del conflitto e alla necessità di offrire un’alternativa che non può essere semplicemente legata alle dinamiche di un quadro politico nazionale.
Su questi punti ma anche su tanti altri elementi sarà necessario porsi in una dimensione di impegno diretto per uscire da questa dimensione mortificante di sostanziale incapacità di rappresentanza e di irrilevanza posta sul piano più propriamente riferito alle dinamiche politiche.
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