L’UE, tra le altre misure, ha sollecitato il Governo al varo di una riforma della giustizia per una accelerazione dei tempi dei processi penali e di quelli civili come condizione di erogazione dei fondi del PNRR Next Generation UE una esigenza fortemente avvertita dai cittadini italiani e da tutti gli operatori del settore.
L’attuale decreto delega in materia presentato dal ministro Cartabia presenta aspetti molto discutibili alcuni dei quali di rilievo costituzionale. Il dibattito che si sta sviluppando in Parlamento si è essenzialmente concentrato sui tempi del processo penale e sulla improcedibilità.
Materia sicuramente di grandissimo rilievo sociale che impatta fortemente sulla vita delle persone e sull’imprescindibile bisogno degli indagati e, a mio avviso, delle vittime, di avere giustizia in tempi ragionevoli.
Temi, dunque, a forte impatto politico e sociale, ma che non esauriscono le criticità dell’impianto su cui si sta lavorando.
Intendo soffermarmi su alcuni aspetti che afferiscono a materie sensibili dal punto di vista democratico, perché riguardano la partecipazione del vasto mondo associativo, come emerge da un attento esame della relazione finale della commissione di studio, istituita presso l’ufficio legislativo del ministero della Giustizia, incaricata di elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, e di amministrazione della giustizia civile, che non sappiamo come verranno declinate nei provvedimenti che il Ministro ha esplicitato di volere assumere.
Tra le proposte della commissione presieduta dal Prof. Lattanzi, si annovera, con grande stupore, all’art. 1bis anche quella di escludere le associazioni rappresentative degli interessi collettivi lesi da reato (a titolo esemplificativo, le associazioni a tutela dell’ambiente, le associazioni contro la violenza sulle donne, le associazioni antimafia, etc.) dalla possibilità di costituirsi parte civile nei processi penali.
Ciò significa che, anche le associazioni a tutela dei consumatori, non potranno più richiedere il risarcimento dei danni in proprio, ma potranno soltanto intervenire nei processi con una serie di limitazioni a partire dal mandato conferito dal singolo soggetto che ha subito danno dalla condotta di chi ha commesso un reato.
Visto che la proposta si inserisce in una serie di misure volte a ridurre i tempi del processo penale, quello che sfugge alla comprensione di chi scrive è il perché la partecipazione delle associazioni di tutela degli interessi collettivi possano essere considerate causa delle lungaggini dello stesso.
Ciò che invece sarebbe certo è che, se tale proposta fosse recepita, le suddette associazioni non potrebbero più fare valere in sede penale, in proprio, nella qualità di enti rappresentativi di interessi diffusi, la lesione di diritti risarcibili, previo accertamento della effettiva titolarità di una posizione giuridica soggettiva che può ritenersi danneggiata dal reato (come, ad esempio, è accaduto nei processi a carico di ex manager di grandi gruppi bancari); di conseguenza sarebbe inibita la possibilità di ottenere il risarcimento del danno, patrimoniale o non patrimoniale, consistente nell’offesa all’interesse perseguito e posto dallo statuto quale ragione istituzionale della propria esistenza ed azione.
Ancora più grave sarebbero le ricadute su tutta un’altra serie di reati a partire da quelli relativi alle violenze sulle donne o femminicidi, che non potrebbero giovarsi della possibilità di essere sostenute anche attraverso la costituzione in proprio di parte civile delle associazioni che forniscono assistenza a chi è vittima del reato.
Posto che il testo della relazione è ora sottoposto alla attenzione del Parlamento mi auguro che le forze “progressiste” assumano una iniziativa coerente ed efficace per una modifica in vista della presentazione degli emendamenti governativi al disegno di legge A.C. 2435 recante delega al Governo, al fine di conservare la possibilità per le associazioni portatrici di interessi collettivi di costituirsi parte civile nei processi penali.
In riferimento alla modifica del processo civile, e in via generale sulla necessità degli interventi di riforma sulla giustizia civile, e riprendendo la discussione sugli strumenti di mediazione dei conflitti, quindi sull’uso della mediazione, della negoziazione, della conciliazione, e, più in generale, dei cosiddetti strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie, ADR (alternative dispute resolution), è fondamentale chiarirne l’importanza e la potenzialità nel nostro ordinamento.
ADR e conciliazioni, ma soprattutto queste ultime, sono state il più efficace e significativo strumento attraverso il quale le AACC ogni anno risolvono decine di migliaia di contenziosi tra utenti/consumatori ed imprese, con il duplice risultato di decongestionare il contenzioso giudiziario e non gravare le famiglie di costi che molte volte non sarebbero in grado di sostenere, deprivandole dell’esercizio di diritti fondamentali nella fruizione di beni e servizi.
Da parte nostra, non demorderemo dall’assumere tutte le iniziative atte a non indebolire il ruolo delle associazioni portatrici di interessi diffusi, non per fini corporativi o di bottega, ma perché a soffrirne sarebbero i soggetti più fragili e la stessa democrazia.
Il futuro del Paese, le riforme di cui ha bisogno, gli investimenti per una sua modernizzazione e per affermare un diverso modello di sviluppo devono essere caratterizzati da una profonda partecipazione dal basso, perché questa ne definirà il suo segno sociale.
Qui il PDF
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Nome *
Email *
Sito web
Do il mio consenso affinché un cookie salvi i miei dati (nome, email, sito web) per il prossimo commento.