Siamo nel periodo del Black Friday, quando le già tradizionalmente folli spese pre-natalizie vengono capitalizzate anche dalle grandi aziende dell’e-commerce, che vedono in questo periodo un picco dei profitti, un picco delle assunzioni temporanee di lavoratori e una maggiore pressione sulle condizioni di lavoro per far fronte ai volumi di merci da lavorare e da trasportare. Ma quest’anno il Black Friday (a differenza dello scorso anno, quando ho scritto un articolo su Pandora Rivista, disponibile qui), ha un sapore un po’ più dolce anche per i lavoratori e le lavoratrici: proprio in questi giorni (martedì 23 novembre) è stato infatti revocato lo sciopero che era stato indetto per venerdì 26 e siglata un’ipotesi di accordo per i lavoratori della filiera Amazon.
Ma andiamo con ordine: il momento determinante di questo cambio di passo nella trattativa con Amazon è stato il 22 marzo 2021, quando, dopo alcuni anni di lavoro in profondità da parte della Filt Cgil per analizzare il fenomeno e-commerce e per avvicinare i lavoratori della filiera di Amazon, siamo riusciti a mettere in piedi il primo sciopero nazionale dell’intera filiera Amazon (cioè dei lavoratori diretti che lavorano nei magazzini e di quelli di aziende in appalto che il trasportano e li consegnano nelle case di tutti noi) al mondo. Una giornata di mobilitazione storica, non solo per le altissime percentuali di adesione da parte dei lavoratori, ma anche perché ha finalmente convinto l’azienda, celebre anche per il suo comportamento storicamente antisindacale, a sedersi al tavolo con i rappresentanti dei lavoratori. Questo ha portato a settembre a siglare un accordo – il primo accordo nazionale al mondo – sul tema delle relazioni industriali, nel quale cioè si riconosce ai sindacati la dignità di parte trattante, si prevede il confronto preventivo sullo sviluppo del settore dell’e-commerce e sulle politiche di insediamento dei magazzini nei territori e si sancisce l’applicazione del CCNL del trasporto merci e della logistica siglato dai sindacati confederali. Quell’accordo ha già prodotto degli effetti perché nei mesi successivi è stato contrattato l’anticipo di un aumento della retribuzione, sono iniziate le contrattazioni nei siti produttivi sulle condizioni di lavoro, ma soprattutto, si è riaperta la trattativa sui driver della filiera Amazon, quelli che lavorano in aziende in appalto molto frammentate e spesso monocommittenti (o quasi) di Amazon, e dove le condizioni di lavoro sono più critiche: è di due giorni fa (23 settembre) l’ipotesi di accordo con Assoespressi (l’associazione che rappresenta queste aziende), che deve essere validato dai lavoratori e che prevede, tra le altre cose, l’apertura di un percorso a livello aziendale/territoriale, per l’abbassamento dei carichi e dei ritmi di lavoro, una riduzione dell’orario di lavoro dalle attuali 44 ore a 42 ore settimanali, un importante incremento del valore economico dell’indennità di trasferta e l’erogazione di un ticket ad alcuni lavoratori, l’introduzione di un Premio di Risultato del valore di 1100 euro annui e la continuità occupazionale in applicazione dell’art. 42 del CCNL Logistica sugli appalti. Sono stati ottenuti importanti avanzamenti inoltre sul tema del controllo e dell’utilizzo dei dati e sul tema del lavoro domenicale e relativi riposi compensativi.
Gli accordi siglati quest’anno rappresentano una conquista importante che, in un contesto come quello di Amazon, non era affatto scontata e che è arrivata grazie alla lotta dei lavoratori e delle lavoratrici. Ma la lotta per migliori condizioni di lavoro in Amazon non finisce qui: adesso dobbiamo continuare lo sforzo nell’ambito dei tavoli territoriali di contrattazione che si sono aperti. Il punto è che Amazon non solo deve sedersi al tavolo, ma deve essere pronta anche a mettere in discussione alcuni fondamenti della sua cultura aziendale nel rapporto con il lavoro che per noi sono inaccettabili, come la cultura del controllo e la pressione per ritmi serrati che mettono in pericolo anche la salute e la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici. Soprattutto, deve riconoscere il valore del lavoro. In un contesto di forte crescita dell’e-commerce e dell’importanza della logistica dentro la catena del valore – che diventa cruciale proprio perché per chi acquista online velocità, efficienza e trasparenza della consegna sono essenziali – non si può continuare a pensare che quel valore sia creato solo dalla tecnologia e dal capitale: se i pacchi possono arrivare così velocemente è perché ci sono le persone che fanno funzionare il processo. In altre parole, è il lavoro delle persone che trasferisce valore al prodotto. E fino a che le aziende avranno ancora bisogno di persone per smistare i pacchi, per rimediare agli errori delle macchine o per guidare i furgoni, bisogna riconoscere che queste contribuiscono alla creazione del valore insieme al capitale e alla tecnologia. Ma, se la ricchezza di Amazon sta in gran parte negli uomini e nelle donne che, con precisione e fatica, fanno funzionare la sua macchina logistica, nonostante i profitti di Amazon siano aumentati a dismisura, lo stesso non è successo per i salari e le condizioni di lavoro di coloro che hanno reso possibile questo processo. I miglioramenti ottenuti in questi ultimi mesi devono quindi essere consolidati ed eguagliare l’aumento dei profitti della multinazionale. Dopotutto, chiediamo solo quello che ci spetta.
*Chiara Mancini è Responsabile dell’Ufficio Studi Filt (Federazione italiana dei lavoratori dei trasporti) della CGIL.
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