* Si pubblica l’intervento svolto in occasione del seminario “La coda del Capo: Presidente della Repubblica e questioni di fine mandato”, organizzato presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università La Sapienza di Roma il 20 dicembre 2021 dalla Rivista Nomos – le attualità del diritto. Ai relatori è stato chiesto di rispondere alle domande che di seguito si riportano. Domanda I: In caso di crisi di Governo durante il c.d. semestre bianco, ritiene che il Presidente della Repubblica possa adeguatamente svolgere i propri compiti diretti alla formazione di un nuovo Governo senza l’arma del potere di scioglimento? Domanda II: Nel caso in cui, durante il c.d. semestre bianco, non sia possibile individuare una nuova maggioranza parlamentare in grado di conferire la fiducia a un nuovo Governo, quali ritiene potrebbero essere gli sbocchi istituzionali? In caso di dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente del Senato, in qualità di supplente del Capo dello Stato, potrebbe sciogliere anticipatamente le Camere? Domanda III: Ritiene ancora opportuna la previsione di cui all’art. 88, secondo comma, Cost., lasciando alle dinamiche politiche la risoluzione di eventuali impasse, o ne auspica una revisione? In caso il legislatore costituzionale decidesse di abrogare tale previsione, riterrebbe necessario disporre altresì il divieto di rielezione del Presidente della Repubblica? Nel caso in cui il legislatore costituzionale non lo prevedesse espressamente, ritiene che un simile divieto potrebbe ricavarsi ermeneuticamente in ragione della abrogazione del c.d. semestre bianco? Domanda IV: De iure condito, deve ritenersi possibile la rielezione del Presidente della Repubblica? Oppure si era formata una consuetudine costituzionale di segno contrario, violata in occasione della rielezione del Presidente Napolitano? Come valuta il precedente della rielezione “a tempo” del Presidente Napolitano? Domanda V: La cronaca politico-costituzionale ritiene possibile l’elezione a Presidente della Repubblica del Presidente del Consiglio dei ministri in carica. Quali ritiene dovrebbero essere gli sviluppi istituzionali in caso ciò accada? Quando sarebbero opportune le dimissioni da Presidente del Consiglio del neo-eletto? Quale ruolo dovrebbe esercitare il supplente del Presidente del Consiglio individuato ai sensi della legge 400/1988? Come e da quale Capo dello Stato andrebbero gestite le successive dimissioni di quest’ultimo? Domanda VI: La prassi (o le convenzioni costituzionali? O la consuetudine costituzionale?) ha sinora impedito la presentazione di formali candidature alla carica di Presidente della Repubblica. Ritiene che ciò sia imposto dalle norme costituzionali scritte e dalla forma di Governo parlamentare?
1. Ipotesi fuori dal comune: rielezione del Capo dello Stato o elezione del Presidente del Consiglio
Le domande che ci sono state rivolte in previsione delle prossime elezioni del Capo dello Stato ruotano tutte attorno alle due ipotesi più discusse in questa fase del dibattito politico-istituzionale: quella della rielezione dell’attuale Presidente, Sergio Mattarella, ovvero quella dell’elezione dell’attuale Presidente del Consiglio, Mario Draghi. Ci si interroga su questioni assai delicate e di controversa soluzione che verrebbero a determinarsi. E già questo mi sembra un aspetto da rilevare: in entrambi i casi ipotizzati siamo fuori dalle regolarità auspicabili.
2. Abolizione del semestre bianco e divieto di rieleggibilità
Le prime quattro domande si collegano all’ipotesi di una rielezione del Presidente della Repubblica in carica. In prospettiva e in via generale la soluzione più lineare sarebbe quella di modifica dell’articolo 88, secondo comma, Cost. abrogando il semestre bianco, ma anche prevedendo la non rieleggibilità, almeno immediata (quest’ultima previsione da introdurre dopo il primo comma dell’articolo 85). Riforma che opererebbe nello spirito del costituzionalismo democratico, a garanzia della temporaneità delle cariche politiche monocratiche. Infatti, in assenza di un esplicito divieto, la rielezione non può essere esclusa per via interpretativa. Così come debole si è anche rilevata la consuetudine che, sino alla rielezione del Presidente Napolitano, aveva escluso tale possibilità. I lavori in Assemblea costituente dimostrano che non fu casuale l’omissione della clausola della non rieleggibilità e, nel silenzio del testo, l’opzione della conferma rimane tra quelle possibili. Lo dimostra il fatto che già prima di Napolitano sono stati diversi i Presidenti di cui si è ipotizzata la rielezione, sebbene tale eventualità sia poi sempre venute meno, nel timore – a mio parere fondato – di instaurare una consuetudine contraria alla regola aurea in democrazia della temporaneità di tutte le cariche politiche monocratiche. Remore venute meno nel 2013 per le ragioni che tra breve ricorderò.
Né possono attenuare il rischio di un’eccessiva durata della Presidenza della Repubblica da parte di un medesimo soggetto gli impegni politici o di natura privatistica eventualmente pubblicamente assunti in riferimento a un limite prefissato e relativamente breve del secondo mandato. Prefissato da chi? Non è certo nella disponibilità di nessuno la durata settennale della presidenza. Né le forze politiche, né lo stesso Presidente potrebbero condizionare la rielezione a una durata diversa da quella fissata dall’articolo 85 della Costituzione. Il fatto che Giorgio Napolitano si sia dimesso (come aveva preannunciato) dopo appena due anni dalla rielezione non può essere inteso come precedente in grado di instaurare una convenzione costituzionale che opererebbe contra costitutionem. Le dimissioni sono fatto personalissimo che ogni Presidente può compiere, ma certamente non in grado di definire alcun obbligo giuridicamente, costituzionalmente o anche solo politicamente rilevante. Se Napolitano avesse voluto terminare il mandato, nessuno avrebbe potuto eccepire. E così sarebbe in ogni altro caso.
L’introduzione allora di un divieto espresso appare opportuno. Qualcuno potrebbe obiettare che spetta solo alla politica avanzare una simile ipotesi, libera di scegliere de iure condendo qualsiasi soluzione; mentre ai costituzionalisti non competono valutazioni di natura propriamente politiche. Devo manifestare il mio personale dissenso da questa apparentemente rigorosa delimitazione dei confini tra politica e diritto. Ritengo infatti che rientra pienamente nell’ambito del diritto costituzionale la denuncia della violazione (o anche solo del rischio di una violazione) del principio della temporaneità delle cariche politiche monocratiche. E chi può negare che quattordici anni (ma perché non immaginare una possibile terza volta o anche più, così via all’infinito) siano al limite della monarchia presidenziale.
3. Il precedente: il j’accuse di Giorgio Napolitiano
Oltre alla questione dell’abrogazione del semestre bianco ed eventuale conseguente divieto di rielezione, ci si chiede un giudizio sul precedente del Presidente Napolitano. Mi limiterò ad osservare che esso rappresenta un’esperienza per nulla rassicurante. Incomprensibili dunque tutte le affermazioni che auspicano che questo precedente sia ripetuto, conformandosi come vera prassi innovativa. Ricordo che nel 2013 si giunse alla rielezione del Presidente in carica a seguito di una gravissima crisi politica. Non per la difficoltà di trovare un nuovo Presidente, né per lo stallo nelle votazioni parlamentari. In fondo, in altre occasioni assai complessa era stata l’individuazione di possibili candidati e ben più numerose le votazioni necessarie per giungere a conseguire una – magari esigua – maggioranza assoluta. La crisi politica aveva una natura diversa in questo caso. Essa fu chiaramente denunciata dallo stesso Napolitano nel discorso di giuramento seguito alla rielezione. Probabilmente il più sferzante j’accuse pronunciato da un rappresentante dell’unità nazionale nella storia repubblicana. Dopo aver ribadito che la non rielezione doveva ritenersi la più conforme al nostro modello costituzionale di Presidente della Repubblica, rilevava la grave situazione nella quale si era giunti: “un avvitarsi del Parlamento in seduta comune nell’inconcludenza, nell’impotenza ad adempiere al supremo compito costituzionale dell’elezione del Capo dello Stato”, un rischio “senza precedenti”. Poi – tra gli applausi degli stessi incolpati – venne severamente ricordato l’elenco della “lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità” che stavano mettendo a repentaglio la stabilità del sistema costituzionale. Ora chi può auspicare il ripetersi di una simile situazione? Sarebbe più saggio sottrarsi, come ha fatto il nostro “saggio” Presidente Mattarella. Sarebbe sensato anche per le forze politiche – tutte le forze politiche presenti in Parlamento – evitare di ricercare una via d’uscita all’attuale situazione con una soluzione magari ritenuta comoda e condivisa, ma assai rischiosa per gli assetti futuri, impegnandosi, invece, a individuare un nuovo rappresentante dell’unità nazionale.
4. Le crisi di Governo durante il semestre bianco
Con riferimento alle questioni relative ai poteri presidenziali durante il semestre bianco mi limito ad osservare che, se certamente rappresenta una eventualità possibile quella di una crisi di Governo durante questo periodo di sospensione del potere di scioglimento, non vedo misure che possano efficacemente bilanciare la deminutio dei poteri di fine mandato (salvo ovviamente la cancellazione del semestre così come in precedenza auspicato). È evidente che la capacità di gestione e controllo della crisi di Governo da parte del Presidente della Repubblica perde di forza non potendo utilizzare lo strumento dello scioglimento, sebbene sia anche vero che solo forze politiche altamente irresponsabili potrebbero voler sfruttare questa debolezza, anche perché al Presidente rimane pur sempre in mano la possibilità di nominare un Governo di minoranza sino al termine del suo mandato e l’elezione del successore. L’ipotesi poi ventilata di uno scioglimento effettuato dal Presidente del Senato in supplenza del Capo dello Stato, mi appare priva di fondamento. Il supplente non può esercitare poteri superiori rispetto al supplito; pertanto, ciò che è impedito dalla costituzione al Presidente non può essere ammesso per il suo sostituto, anche ove fosse una supplenza dovuta a dimissioni. Si dovrebbe attendere a maggior ragione l’elezione del nuovo Capo dello Stato perché questi possa riappropriarsi del potere di scioglimento.
5. Eleggere il Presidente del Consiglio: Governare non è garantire
Passando ora a rispondere alle domande relative all’eventualità di un’elezione del Presidente del Consiglio vorrei svolgere due considerazioni una di sostanza, l’altra procedurale.
La prima riguarda la scarsa attenzione che viene prestata nel dibattito politico, ma a volte anche in quello accademico, alla natura funzionale e costituzionale dei due diversi poteri e delle due cariche, quella di Presidente del Consiglio e quella di Capo dello Stato. Dimostra una forte ignoranza costituzionale o – più probabilmente – un eccesso di furbizia politica chi afferma che il trasloco dell’attuale Presidente del Consiglio da Palazzo Chigi al Quirinale permetterebbe di garantire il massimo di continuità di indirizzo politico, poiché in fondo Draghi potrebbe così continuare a svolgere il “suo” programma. Palese e temibile appare la contraddizione nella quale si cade. Non si può certo ammettere la confusione tra il ruolo di chi deve “dirigere la politica generale e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri” e chi, invece, “rappresenta l’unità nazionale”. Ma è anche evidente la finalità politica che si vuole perseguire. Una torsione in senso filo-presidenzialista della nostra forma di Governo parlamentare. In termini di diritto costituzionale una forzatura impropria. Se, infatti, si vuole mutare l’assetto dei poteri e introdurre in Italia un presidenzialismo, facendo venir meno il ruolo di garanzia politica del Capo dello Stato, per fargli assumere un ruolo di Governo, la via istituzionalmente idonea è quella di una legge di revisione costituzionale che stabilisca pesi e contrappesi. Sino ad allora al Presidente della Repubblica spetta controllare l’operato del Governo (e degli altri poteri), non sostituirsi ad esso.
6. Le garanzie politiche necessarie per poter eleggere il Presidente del Consiglio in carica e nominare un nuovo Governo
Dal punto di vista procedurale l’eventualità della nomina di un Presidente del Consiglio solleverebbe comunque una serie di delicate questioni costituzionali, legate tutte alla veste istituzionale dei due poteri. La fantasia dei costituzionalisti in questi giorni ha suggerito una serie di diverse possibili ipotesi, tutte però, mi sembra, consapevoli dell’anomalia che si andrebbe a determinare. La necessità di dimissioni immediate del Presidente del Consiglio appena eletto dal Parlamento invece delle consuete dimissioni con riserva; la necessità di affidare a un supplente la guida del Governo dimissionario, con l’utilizzazione di una norma (l’art. 8 della legge n. 400 del 1988) che è stata scritta per ben altre e più ordinarie evenienze; l’ipotesi di una formazione del nuovo Governo gestita dal nuovo Presidente che, al tempo stesso, è il Presidente del Consiglio (da qui la necessità di un supplente) e che, comunque, dovrebbe nominare il proprio successore a capo dell’esecutivo. Appare evidente lo stress costituzionale che la nomina del Capo del Governo in carica in ogni caso produrrebbe. Si tratta allora di cercare di operare per ridurre al minimo le possibili situazioni critiche che potrebbero incrinare la legittimazione delle scelte effettuate dal neopresidente, nonché il ruolo autonomo del nuovo Governo.
La soluzione meno “stressante” richiederebbe un accordo politico tra tutte le (o la maggior parte delle) forze politiche che individuasse anche una soluzione per quanto riguarda la composizione del nuovo Governo, da sottoporre ovviamente al Presidente della Repubblica subito dopo le dimissioni immediate dell’eletto. Un Parlamento sollecito e convinto di voler eleggere come garante della costituzione il responsabile della politica generale del Governo non dovrebbe sottrarsi a quest’onere, se non vuole rischiare una crisi che investirebbe i vari poteri dello Stato. Vi è di più: al fine di conservare intatta la legittimazione del neopresidente sarebbe opportuno evitare un suo ruolo attivo nella scelta del suo successore al Governo. Ciò è possibile solo in un caso e nel rispetto dei tempi ristretti che intercorrono tra la nomina e il giuramento dinanzi al Parlamento in seduta comune con il successivo insediamento. In questa fase è ancora il Presidente uscente che, nell’esercizio delle sue funzioni, potrebbe svolgere le rapide consultazioni (per sincerarsi della effettiva volontà delle forze politiche di rispettare l’accordo definito in via preventiva) e nominare il nuovo esecutivo. Dopo l’insediamento del nuovo Presidente, come da prassi, si avrebbero le “dimissioni di cortesia” e la conferma della scelta effettuata. In tal modo, il neopresidente resterebbe ai margini – se non del tutto escluso – dalla formazione del nuovo Governo. Apparentemente un inizio in sordina del mandato, in realtà un modo per evitare che esso venga sin da subito compromesso da scelte ontologicamente non imparziali, preservando in tal modo il capitale di autorevolezza necessario per poter affrontare le successive crisi di sistema.
È evidente che il percorso qui indicato presupporrebbe forze politiche consapevoli della delicatezza delle scelte da compiere (nessuna di queste “obbligata” costituzionalmente) e che si vogliano prender cura della salus rei publicae. Presumibilmente, dunque, una prospettiva viziata da un eccesso di ottimismo. Ma segnalarla può non essere inutile.
7. Candidature formali vs natura super partes della rappresentanza dell’unità nazionale
L’ultima domanda che ci è stata proposta ci interroga sulla possibilità di presentazione di candidature formali alla carica di Presidente della Repubblica. Essa merita una risposta in breve e netta. Formali candidature richiederebbero procedure definite (da quale fonte?) che finirebbero non solo per ingabbiare la scelta del Parlamento, ma anche per snaturare la figura super partes e di rappresentante della unità nazionale dell’eligendo. Altra cosa sono le candidature informali che sono all’ordine del giorno e che certamente non possono essere impedite, sebbene normalmente sono anche all’origine di ogni fallimento.
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