La versione completa dell’articolo è stata pubblicata su “transform!italia” il 02.02.2022.
Nonostante tutto, si sono aperte le trattative
Come abbiamo visto in un’articolo della scorsa settimana, in dicembre la Russia ha chiesto alla NATO uno stop all’espansione ad est, di rifiutare di piazzare sistemi missilistici ai confini della Russia, di ritirare truppe e armi dall’Europa orientale e di impedire all’Ucraina (Georgia e Moldavia) di aderire all’alleanza. Putin ha chiarito questa richiesta nei due trattati proposti dal Cremlino il 17 dicembre, che richiedono che l’Ucraina e altri paesi post-sovietici, così come Svezia e Finlandia, si impegnino alla neutralità permanente ed evitino l’adesione alla NATO. La NATO dovrebbe anche ritirarsi alla sua posizione militare del 1997, prima del suo primo allargamento, rimuovendo tutte le truppe e gli equipaggiamenti nell’Europa centrale e orientale. Ciò ridurrebbe la presenza militare della NATO a quella che era quando l’Unione Sovietica si è disintegrata. La Russia avrebbe anche potere di veto sulle scelte di politica estera dei suoi vicini non NATO. Ciò garantirebbe governi filo-russi al potere nei Paesi confinanti con la Russia inclusa, in primo luogo, l’Ucraina. In sostanza, le richieste di Putin equivalgono a quello che gli analisti russi hanno chiamato “Yalta 2“. Putin aveva già espresso con chiarezza la sua posizione in un suo sensazionale discorso alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco nel febbraio 2007, in cui aveva delineato la sua critica globale alle potenze occidentali e il rifiuto della Russia di accettare qualsiasi ulteriore espansione verso est della NATO. Il 26 gennaio gli Stati Uniti e la NATO hanno rifiutato per scritto una parte fondamentale – affermando che l’Ucraina ha il diritto di scegliere i propri alleati – del nuovo ordine proposto dalla Russia per la sicurezza post-guerra fredda in Europa, ma si sono detti pronti a discutere altri argomenti come il controllo degli armamenti e misure che possano rafforzare la fiducia tra le parti per i negoziati sulle misure di rafforzamento della fiducia (definire i limiti al dispiegamento di missili e alle esercitazioni militari).
La Russia ha affermato di essere disposta a continuare i colloqui con gli Stati Uniti sulla sicurezza europea, ma non è ottimista sulle loro prospettive. Putin ha rotto il silenzio che durava da dicembre, con una conferenza stampa con il primo ministro ungherese Viktor Orbàn il 1° febbraio accusando gli Usa di ignorare le proposte di sicurezza della Russia e di usare l’Ucraina per creare uno scenario teso a “spingere la Russia in guerra” come pretesto per emanare dure sanzioni. Il Cremlino sta preparando delle risposte alle dichiarazioni formali di Stati Uniti e NATO, che dovrebbero essere approvate da Putin prima di essere consegnate al Dipartimento di Stato USA e al Segretario Generale della NATO. Nonostante che tutte le principali richieste della Russia siano state categoricamente respinte da USA e NATO, dal punto di vista diplomatico la Russia ha già ottenuto due piccoli successi. Il primo è la riapertura dei colloqui diretti ad alto livello tra USA e Mosca, che implicitamente riconoscono la posizione chiave della Russia, secondo cui non può esserci stabile architettura della sicurezza in Europa che non includa un ruolo per la Russia. Bloomberg News ha riferitomartedì che una delle offerte degli Stati Uniti è quella di consentire ai russi di verificare che non ci siano missili offensivi come i Tomahawk nelle basi di difesa missilistica della NATO in Polonia e Romania. È preoccupazione di lunga data di Mosca che il sistema di difesa missilistica, inteso come protezione contro i missili iraniani, possa essere utilizzato per lanciare un attacco a sorpresa contro la Russia.
Il secondo è la riapertura dei colloqui “Formato Normandia” tra Francia, Germania, Russia e Ucraina su una soluzione di pace per il conflitto nell’Ucraina orientale. Questo è incentrato sull’accordo Minsk 2 del 2015, che stabilisce una soluzione basata sulla piena autonomia per un Donbass smilitarizzato all’interno dell’Ucraina con garanzie internazionali. Da quando hanno firmato questo accordo, i governi e i parlamenti ucraini hanno tuttavia ripetutamente omesso di approvare una legge che concedesse al Donbass un’autonomia permanente e l’Occidente non ha esercitato pressioni su di loro per farlo. Questo accordo stabiliva un piano per il cessate il fuoco e la successiva reintegrazione dei territori occupati di Donetsk e Luhansk tramite elezioni, uno status speciale nella costituzione ucraina e un’amnistia per coloro che avevano partecipato alla rivolta armata. Funzionari ucraini hanno definito il documento un gesto politico e diplomatico non vincolante ai sensi del diritto internazionale, invece la Russia lo considera vincolante. Le autorità ucraine sono riluttanti a riconoscere uno status speciale per i territori al di fuori del loro controllo, poiché darebbe alla Russia una leva sul territorio ucraino. In precedenza, in Ucraina sono scoppiate proteste pubbliche per i timori di una capitolazione alla Russia. I nazionalisti ucraini (radicati nell’Ucraina occidentale) considerano qualsiasi passo verso l’effettiva attuazione dell’accordo Minsk in una forma accettabile per Mosca, come un atto di tradimento. Tra l’altro, la concessione di un elevato grado di autonomia alle regioni di Donetsk e Luhansk impedirebbe a Kiev di perseguire un orientamento geopolitico occidentale, rendendo irrealistica l’ipotesi di un entrata dell’Ucraina nella NATO. Minsk 2 prevede anche che, nei territori non controllati nel Donbass, si tengano elezioni locali. Il governo ucraino afferma che le elezioni possono aver luogo solo dopo aver ripreso il controllo sul confine e sul territorio nell’Ucraina orientale. L’interpretazione della Russia, al contrario, si concentra sull’ordine delle fasi come stabilito nell’accordo. Il ministro degli Esteri russo, Lavrov ha detto a Blinken che “invece di intensificare la retorica aggressiva e pompare le forze armate ucraine con vari tipi di armi, di usare l’influenza degli Stati Uniti sulle autorità ucraine per costringerle ad attuare pienamente gli accordi di Minsk“.
Durante gli anni ’90, gli Stati Uniti e i loro alleati europei (la NATO e l’UE) hanno progettato un’architettura di sicurezza euro-atlantica in cui la Russia non aveva alcun chiaro impegno o interesse, ma da quando il presidente russo Vladimir Putin è salito al potere (1999/2000), la Russia ha sfidato quel sistema. Putin ambisce a invertire le conseguenze del crollo sovietico, e a dividere l’alleanza transatlantica. Di conseguenza, ha sostenuto gruppi antiamericani ed euroscettici in Europa; movimenti populisti di sinistra e di destra su entrambe le sponde dell’Atlantico; favorito interferenze elettorali. In generale ha lavorato per esacerbare la discordia all’interno delle società occidentali per rinegoziare l’insediamento geografico che ha posto fine alla Guerra fredda. Putin si è regolarmente lamentato del fatto che l’ordine globale ignora i problemi di sicurezza della Russia e ha chiesto che l’Occidente riconosca il diritto di Mosca a una sfera di interessi privilegiati nello spazio post-sovietico. Ha organizzato incursioni negli Stati vicini, come la Georgia, che sono usciti dall’orbita della Russia per impedire loro di riorientarsi completamente.
Da questo punto di vista, Putin starebbe compiendo un ulteriore passo avanti in questo approccio, dopo che nel 2014 ha annesso la Crimea e appoggiato le ribellioni delle popolazioni russofone nel Donbass (12 milioni di russi si sono trovati nel nuovo Stato ucraino nato nel 1991). Un’invasione minerebbe l’attuale ordine e potenzialmente riaffermerebbe la preminenza della Russia in quello che Putin insiste essere il suo posto “legittimo” sul continente europeo e negli affari mondiali. Vede questo come un buon momento per agire. A suo avviso, gli Stati Uniti sono deboli, divisi e meno in grado di perseguire una politica estera coerente. Il nuovo governo tedesco deve ancora definire le sue politiche, l’Europa nel complesso è concentrata sulle sfide interne e il mercato energetico in tensione offre alla Russia una maggiore influenza sul continente. Il Cremlino crede di poter contare sul sostegno di Pechino, così come la Cina ha fatto dopo che l’Occidente ha cercato di isolarla nel 2014. Anche se Mosca è stata espulsa dal G-8 dopo l’annessione della Crimea, il suo veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e il ruolo di superpotenza energetica, nucleare e geografica assicurano che il resto del mondo debba tener conto delle sue opinioni. Negli ultimi anni, la Russia ha rafforzato le sue forze armate e ora è la principale potenza militare regionale, in grado di proiettare potere a livello globale. La capacità di Mosca di minacciare i suoi vicini le consente di costringere l’Occidente al tavolo dei negoziati, come è stato evidente nelle ultime settimane.
Le forze militari russe ammassate ai confini sono sufficienti per un’invasione dell’Ucraina?
Alti funzionari ed esperti ucraini ed occidentali continuano ad affermare che, nonostante i recenti movimenti di truppe, mancano diversi elementi per una invasione su vasta scala. Secondo il Center for Strategic and International Studies se i russi dovessero lanciare un’invasione, ci sono sostanzialmente tre possibili scenari. Le forze russe potrebbero spostarsi attraverso le repubbliche separatiste e il nord-est dell’Ucraina fino al fiume Dnipro, il che probabilmente comporterebbe il tentativo di assediare Kharkiv, la seconda città dell’Ucraina. Le truppe russe potrebbero inoltre irrompere a nord dalle basi nella Crimea occupata catturando i porti del Mar Nero come Mariupol, Kherson e, soprattutto, Odessa. Ciò taglierebbe l’Ucraina fuori dal mare e minaccerebbe la sua vitalità economica come Stato. L’opzione più audace sarebbe un attacco dalla Bielorussia con un tentativo di decapitazione che cattura rapidamente Kiev e rovescia il governo ucraino. Attualmente al confine con l’Ucraina la Russia non ha truppe sufficienti per effettuare un’invasione e un’occupazione militare su vasta scala del Paese. Gli americani stimano che servirebbero almeno 100 battaglioni per controllare il territorio e fronteggiare una controinsurrezione e una popolazione ostile. Mentre i russi per ora ne schierano 66-67, inclusi gli 11 in Bielorussia. Inoltre, un attacco su grande scala estenderebbe la logistica russa al limite con possibili questioni critiche riguardo ai rifornimenti e alle munizioni.
Di fronte a tali ostacoli, fonti militari occidentali ritengono che ci siano maggiori probabilità che il Cremlino possa lanciare un attacco più mirato nell’est dell’Ucraina e nella regione del Donbass, abbinato a misure “ibride“, come blocchi informatici e attacchi a infrastrutture critiche, per demoralizzare la popolazione. Gli Stati Uniti sostengono che la Russia starebbe preparando un’operazione “falsa bandiera” all’interno del territorio separatista, come pretesto per la guerra. Le due parti si fronteggiano lungo una “linea di contatto” di 250 km intorno alle città di Donetsk e Luhansk controllate dai ribelli russofoni nell’Ucraina orientale. L’intelligence militare ucraina ha dichiarato che dall’inizio di gennaio Mosca ha fornito ai separatisti carri armati aggiuntivi, artiglieria semovente, mortai e oltre 7 mila tonnellate di carburante. Il loro numero è stimato approssimativamente in 34 mila uomini, ma tutti riconoscono che è difficile indicare cifre affidabili.
Gli Stati Uniti hanno fornito assistenza militare all’Ucraina per 650 milioni di dollari nel 2021. Il flusso di armi dai Paesi occidentali avviene senza fare alcuna considerazione sulle potenziali implicazioni a lungo termine in un Paese pieno di milizie neonaziste che hanno addestrato e ispirato estremisti in Occidente. Nella conferenza stampa del 1° febbraio, Putin ha definito un’eventuale adesione dell’Ucraina alla NATO una minaccia esistenziale non solo per la Russia, ma per la pace mondiale. Ha affermato che un’Ucraina rafforzata da armi della NATO potrebbe lanciare una guerra contro la Russia per riconquistare la Crimea portando alla guerra tra Russia e NATO. Lungo la linea del fronte l’Ucraina ha schierato sistemi missilistici terra-aria e una gamma di armi anticarro. Circa 2 mila armi o armi anticarro leggere sono state consegnate a Kiev nelle scorse due settimane dal Regno Unito a un costo finora sconosciuto. La scorsa settimana, Lettonia e Lituania, con l’avallo degli Stati Uniti, hanno inviato anche missili antiaerei Stinger. La Polonia ha annunciato che fornirà proiettili, mortai e missili terra-aria. La Germania, invece, ha finora rifiutato di fornire armi, nonostante le pressioni degli alleati, ostacolando la potenziale riesportazione dell’artiglieria di fabbricazione tedesca dagli Stati baltici. L’Estonia è in attesa del permesso dal governo tedesco di esportare in Ucraina 9 cannoni obice e Kaja Kallas, primo ministro estone, ha criticato la decisione tedesca perché favorisce l’aggressione russa. Kallas ha detto che la Germania deve porre fine alla dipendenza dall’energia russa, riconoscendo che il gasdotto North Stream 2 non è mai stato solo un progetto commerciale.
Se l’anglosfera va all’attacco…
Nel corso di questa settimana sono diventate più evidenti le tante difficoltà di tenere insieme l’alleanza occidentale contro la Russia, con i timori che la Germania e, in misura minore, la Francia si vadano a differenziare dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, non solo sulla risposta a una utura aggressione russa in Ucraina, ma anche nella valutazione dell’imminenza della minaccia. La sensazione è che gli Stati Uniti e il Regno Unito stiano provocando la Russia e la Russia stia provocando gli Stati Uniti, mentre Ucraina e Unione Europea si trovano nel mezzo, preoccupate per la minaccia alla pace che questa escalation di provocazioni comporta. Mentre il presidente dell’Ucraina si è lamentato della drammatizzazione della situazione da parte di Washington, il Pentagono sostiene che la Russia ha già accumulato truppe per invadere l’intero paese. Appare dunque paradossale che mentre l’amministrazione Biden crede che un’invasione russa potrebbe arrivare entro febbraio – tenendo conto anche delle condizioni climatiche – il presidente Zelensky che dovrebbe essere che la minaccia russa è “pericolosa, ma ambigua“. L’Ucraina cerca di minimizzare, perché l'”isteria” su un possibile attacco russo ostacola i tentativi di Kiev di prendere in prestito 5 miliardi di dollari sui mercati e da governi e istituzioni internazionali (come il FMI). I governi dei paesi europei occidentali dicono lo stesso. Borrell ha accusato Washington e Westminster di “drammatizzare” la situazione, affermando che l’UE non avrebbe evacuato la sua ambasciata “perché non conosciamo ragioni specifiche“.
Nell’ultima settimana, gli Stati Uniti hanno intensificato l’offensiva diplomatica, convocando il 31 gennaio una riunione pubblica del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sul “comportamento minaccioso della Russia“, sperando in una condanna nonostante il veto di Mosca su una risoluzione. Prevedibilmente, la seduta si è trasformata in una rissa diplomatica pubblica sulla crisi ucraina, con gli americani che hanno accusato i russi di mettere in pericolo la pace ammassando truppe ai confini dell’Ucraina e i diplomatici russi che hanno respinto l’accusa definendola teatralità farsesca, allarmismo e “diplomazia del megafono“.
È stato soprattutto sulle sanzioni in caso di conflitto armato che USA e Regno Unito sono passati all’offensiva rispetto agli alleati europei. Stati Uniti e Regno Unito promettono sanzioni economiche severissime contro la Russia e contro Putin, la sua famiglia e gli oligarchi, destinate a sconvolgere l’intera economia russa, ma anche quella di altri Paesi, a cominciare da quelli dell’Unione Europea, perché includono la rimozione della Russia dal settore bancario SWIFT e il divieto di importazione di petrolio e gas russi, per cui avrebbero conseguenze drammatiche. I leader della Commissione per le relazioni estere del Senato USA hanno dichiarato domenica di essere sul punto di approvare “la madre di tutte le sanzioni” contro la Russia.”Non possiamo avere di nuovo un momento Monaco“, ha detto il presidente democratico del panel, Bob Menendez (New Jersey), alla CNN, riferendosi all’accordo del 1938 con cui gli alleati avevano ceduto parti della Cecoslovacchia a Hitler, credendo che avrebbe evitato la guerra. “Putin non si fermerà se crede che l’Occidente non risponderà“, ha detto Menendez. “Abbiamo visto cosa ha fatto nel 2008 in Georgia, abbiamo visto cosa ha fatto nel 2014 alla ricerca della Crimea. Non si fermerà“. Per questo la legge includerà massicce sanzioni contro le banche russe più importanti, con l’obiettivo di paralizzare l’economia e il debito sovrano russo. Il senatore repubblicano James Risch (Wisconsin) ha ripetuto la frase pronunciata dal senatore repubblicano John McCain nel 2014 che definì la Russia una “stazione di servizio mascherata da Paese“, sostenendo che le sanzioni americane paralizzeranno la Russia e soprattutto la sua produzione di petrolio, con “effetti devastanti sull’economia di tutto il mondo“.
I Paesi europei hanno posizioni differenziate riguardo alle relazioni con la Russia
Nelle ultime settimane, è stato compiuto ogni sforzo per ridurre al minimo le differenze all’interno dell’alleanza NATO, anche attraverso regolari incontri in video tra i capi Stato e di governo, però importanti differenze ci sono e riflettono non solo diverse valutazioni a breve termine sull’intelligence, ma una profonda frattura che risale a decenni fa su come Germania e Francia, al contrario dell’Anglosfera, ritengono che vadano gestite le relazioni con la Russia. La Francia, guardando alle informazioni della CIA, non vede un’invasione imminente, o una concentrazione di forze attrezzate per invadere l’Ucraina nelle prossime tre settimane, valutazione peraltro condivisa dai migliori analisti della difesa ucraini. In Gran Bretagna, il ministro degli Esteri, Liz Truss, è stata apertamente critica nei confronti della Germania sulla dipendenza energetica dalla Russia e il rifiuto di consentire all’Estonia di inviare armi di fabbricazione tedesca in Ucraina.
L’idea che la Germania fornisca armi da usare contro la Russia per la prima volta dalla seconda guerra mondiale (in cui sono morti 26 milioni di cittadini sovietici) è un anatema. Parlando a Berlino il 25 gennaio, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, ha difeso la decisione, dicendo che era radicata “nell’intero sviluppo degli ultimi anni e decenni“. Scholz si recherà in visita a Washington il 7 febbraio per discutere della crisi con il presidente Biden. Negli Stati Uniti, la questione tedesca infastidisce sempre più i repubblicani, portando il Wall Street Journal a titolare titolo “La Germania è un alleato americano affidabile? Nein”.
Le tensioni riflettono due diverse interpretazioni di come impedire alla Russia di diventare una forza ostile all’Occidente, interpretazioni che hanno dominato la politica dopo la fine della Guerra fredda. Le diverse valutazioni a Berlino, Washington, Parigi e Londra su come costruire qualcosa di stabile dalle macerie della Russia post-sovietica sono mutate, esprimendo con punti di vista diversi in momenti diversi. Gli Stati Uniti sotto Bill Clinton erano riluttanti, come chiunque altro, all’ingresso dei Paesi di Visegrád – Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria e Slovacchia – nella NATO esprimendo al vertice del gennaio 1994 la loro convinzione sui rischi che la NATO non poteva “permettersi di tracciare una nuova linea tra est e ovest che creerebbe una profezia che si autoavvera di un confronto futuro“. Tony Blair era convinto che il Regno Unito fosse in grado di attirare Putin nel campo occidentale ed era un entusiasta sostenitore dell’adesione della Russia al G-8. Boris Johnson ha visitato Mosca come ministro degli Esteri nel 2017 e, nonostante l’avvelenamento a Salisbury, è stato straordinariamente permissivo riguardo al denaro russo a Londra. Nel Regno Unito, l’attuale escalation è arrivata in un momento di massimo interesse per la concentrazione di oligarchi e ricchezze sospette a Londra. Transparency International ha identificato proprietà per un valore di 1,5 miliardi di dollari appartenenti agli oligarchi russi e alla criminalità organizzata, e i parlamentari britannici hanno chiesto una maggiore trasparenza su questi beni.
Dopo l’occupazione russa della Crimea nel marzo 2014, solo a seguito delle continue pressioni americane, il presidente francese François Hollande annullò un contratto da circa 1,5 miliardi di euro firmato dal suo predecessore per vendere alla Russia una porta elicotteri da combattimento destinata ai porti del Mar Nero in Crimea. Emmanuel Macron, alla vigilia delle elezioni presidenziali di primavera e da poco presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, sta cercando di conciliare la sua visione di “autonomia strategica” europea – essere in grado di agire indipendentemente dagli Stati Uniti sulla scena mondiale – con la realtà della dipendenza dalla NATO che aveva definito “cerebralmente morta“. Macron ha proposto a più riprese una “nuova architettura di sicurezza” sul continente, da negoziare con la Russia. Vuole che l’Unione Europea mantenga aperto un dialogo “franco ed esigente” con la Russia. Ma il progetto politico non piace ai partner europei di Parigi, che temono un piano machiavellico della Francia per indebolire la NATO, e soprattutto Putin non ha raccolto l’invito francese e ha voluto imporre la sua architettura utilizzando un argomento piuttosto convincente: i carri armati. Di fronte all’isolazionismo di Trump, Macron, in un importante discorso nel 2019, ha chiesto la fine dei “conflitti congelati” con la Russia. Nel giugno dello scorso anno, insieme ad Angela Merkel, ha spiazzato gli altri leader dell’UE offrendo a Putin un vertice. Il 25 gennaio a Berlino, il presidente francese ha detto che aveva in programma di parlare con Putin, ma solo per una riduzione dell’escalation. Putin ha ribadito a Macron che gli Stati Uniti e la NATO non hanno tenuto conto delle “preoccupazioni fondamentali” di Mosca e i due si sono dichiarati d’accordo nel proseguire il dialogo sull’intera gamma delle questioni di sicurezza europee.
L’attore centrale nelle relazioni dell’Europa con la Russia, prima e dopo la riunificazione, è la Germania. Le ragioni per cui la Germania adotta un approccio indulgente o ottimista nei confronti di Putin riempiono le biblioteche; il libro più recente Il problema Russia della Germania, di John Lough, descrive in dettaglio l’intera portata delle relazioni – commerciali, politiche, culturali e intellettuali – tra i tedeschi e le élite russe. Spiega anche come Putin gioca sul senso di colpa tedesco e si rifiuta di ripagare il perdono tedesco. Gli esempi presentati da Lough includono come, sulla scia dell’intervento russo in Georgia nell’estate del 2008, l’allora ministro degli esteri socialdemocratico tedesco, Frank-Walter Steinmeier (oggi presidente federale), abbia messo in guardia l’Europa contro le sanzioni che, secondo lui, avrebbero chiuso porte che non si sarebbero più riaperte.
Sebbene la risposta della Merkel all’invasione dell’Ucraina nel 2014 fosse stata ferma, Steinmeier, sicuro che l’SPD capisse la Russia meglio della CDU della Merkel, andò a Mosca e propose una partnership economica con la Russia. Allo stesso tempo, tre ex cancellieri tedeschi – Helmut Schmidt, Gerhard Schröder e Helmut Kohl – hanno avvertito la Merkel di non isolare Mosca. Entro una settimana dall’invasione, l’amministratore delegato della Siemens era a Mosca. Con il peggioramento della situazione diplomatica, un gruppo di alti funzionari e politici tedeschi ha inviato una lettera chiedendo un ritorno alla politica della distensione.
Questa relazione tedesco-russa è stata plasmata da due fattori. In primo luogo, l’Ospolitik, che si riferisce alla strategia di politica estera del “cambiamento attraverso il riavvicinamento” nei confronti dell’Unione Sovietica e dei suoi Stati satelliti perseguita negli anni ’70 dal cancelliere socialdemocratico Willy Brandt cercando di superare le linee dure per concentrarsi su interessi comuni. Questa politica è ancora considerata da molti come la via da seguire. In secondo luogo, l’accordo di dipendenza reciproca tra i due Paesi che risale agli anni ’70, quando l’Unione Sovietica e la Germania hanno deciso di scambiare gas naturale dall’URSS con tubi e acciaio tedeschi. Si basa sulla convinzione espressa da Schmidt che “coloro che commerciano tra loro non si sparano a vicenda”. Fu Schmidt che nel 1979 spinse la NATO ad adottare la cosiddetta risoluzione a doppio binario: una strategia di armamento militare e minaccia unita a un’apertura al dialogo. Entro il 2018 la Germania rappresentava il 37% delle vendite di Gazprom e il gasdotto North Stream 2 era stato concordato. Le esportazioni tedesche verso la Russia sono quintuplicate tra il 2000 e il 2011.
Gerhard Schröder, l’ex cancelliere socialdemocratico trasformatosi in lobbista, insiste sul fatto che la Russia non ha intenzione di invadere l’Ucraina e ha accusato Kiev di “sferragliare le sciabole“. Schröder è la personificazione dell’approccio dell’SPD alla questione russa: è entrato a far parte della società di gasdotti nordeuropei del gigante russo Gazprom controllata dallo Stato, in seguito ribattezzata North Stream AG, come presidente entro pochi mesi dalla perdita delle elezioni del 2005. Alla North Stream AG, l’amministratore delegato di Schröder è Matthias Warnig, un ex ufficiale di alto rango della Stasi che un tempo spiava l’industria della Germania occidentale per conto della polizia segreta della Germania orientale con gli pseudonimi di “Ökonom” (“Economista“) e “Arthur” e ascese alla cerchia ristretta di Putin dopo la caduta del muro di Berlino.
Il pensiero di Brandt e dei suoi successori socialdemocratici rimane dominante all’interno di alcune parti della SPD. L’attuale ministro dell’Economia, Robert Habeck, il cui ministero è responsabile delle sanzioni, è contrario a bloccare l’accesso russo al sistema di pagamenti SWIFT. Ha detto a Der Spiegel: “Dovremmo pensare a nuove aree di attività che possono aiutare a portare entrambe le parti fuori dal ruolo conflittuale“. La SPD deve fare i conti anche con quanto viene veicolato dai media sulla crisi Russia-Ucraina che tende a esaltare le posizioni americane e della NATO. Un ottimo esempio è l’agenzia di stampa Politico, ora di proprietà della potente società di estrema destra Axel Springer, l’equivalente tedesco di Murdock, che ha recentemente pubblicato articoli pieni di zolfo sui piani sanguinari di Putin, tutti basati su “esperti” senza nome, ma utilmente etichettati in cima: “Presentato da Lockheed Martin“.
Tuttavia, nelle ultime settimane i compromessi inerenti all’Ostpolitik sono stati messi in discussione da una generazione più giovane. Michael Roth, presidente socialdemocratico della commissione per gli affari esteri, ha affermato che il suo partito deve sfuggire all’ombra di Brandt, aggiungendo che “non possiamo sognare che il mondo sia migliore di quello che è” (lo storico ed opinionista Timothy Garton Ash ritiene che la versione attuale dell’Ostpolitik sia un esempio “del pensiero confuso, dell’autoinganno e della totale ipocrisia” che finisce per giustificare una sorta di “Yalta vergognosa, la Yalta che non osa pronunciare il suo nome”). Altri ministri hanno insistito sul fatto che l’energia, compreso il futuro del North Stream 2, non può essere rimossa dall’elenco delle potenziali sanzioni, come lo era nel 2014. Tutto questo lascia Scholz in una posizione diversa rispetto ai suoi interlocutori americani, non facilitata dalla sua alleanza con una ministra degli Esteri verde, Annalena Baerbock, che vuole apportare valori alla politica estera tedesca. L’SPD, per evitare una spaccatura pubblica, avrà ora un dibattito formale di partito sul suo approccio alla Russia.
Ci sono ulteriori divisioni tra i Paesi europei. A partire dal governo ungherese, il più convinto sostenitore della Russia in Europa, con Viktor Orbàn che è andato a visitare Putin a Mosca il 1 febbraio. Ma, il 29 gennaio Viktor Orbàn ha anche firmato, a Madrid, con il premier polacco, Mateusz Morawiecki, il leader di Vox, Santiago Abascal, e Marine Le Pen del Rassemblement National il documento dei sovranisti europei di denuncia contro le “azioni militari” della Russia, che “portano sull’orlo della guerra”. E gli stati baltici, i più critici, sempre preoccupati che leader troppo lontani dall’”orso russo” possano fare troppe concessioni. Ulteriori differenze di interessi vi sono tra gli Stati del sud (in particolare l’Italia, con Draghi che ha ricevuto assicurazioni da Putin sulla stabilità delle forniture di gas) e del Nord (Finlandia e Svezia).
La Cina è seduta lungo la riva del fiume
Gli Stati Uniti hanno invitato la Cina a usare la sua influenza sulla Russia per sollecitare una soluzione diplomatica alla crisi ucraina, “perché se c’è un conflitto in Ucraina non andrà bene nemmeno per la Cina”. Ma, la Cina si muove con estrema cautela, non ha nessuna intenzione di farsi trascinare nella crisi, prendendo parte, almeno per ora, soprattutto non vuole rischiare di antagonizzare l’Unione Europea (il suo principale mercato di esportazione) e non ha alcun interesse che quest’ultima si allinei al volere degli USA. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha detto al segretario di Stato americano Blinken che vuole vedere tutte le parti coinvolte in Ucraina evitare un aumento della tensione ed “astenersi dal fare cose che promuovano la crisi“. Riferendosi alle obiezioni della Russia all’espansione della NATO nell’Europa orientale, ha detto a Blinken che la sicurezza di un Paese non può avvenire a scapito della sicurezza di altri e la sicurezza regionale non può essere garantita rafforzando o addirittura espandendo i blocchi militari. Il 4 febbraio Xi Jinping incontra Putin, in visita per l’inaugurazione delle olimpiadi invernali.
La crisi Russia-Ucraina, comunque, rimette in gioco la Cina. Le mosse di Putin hanno riportato gli Stati Uniti al centro delle problematiche della sicurezza europea, proprio quando due presidenti americani successivi (Obama e Trump) avevano cercato di orientare l’attenzione strategica di Washington verso la Cina. L’aspro confronto tra la Russia, gli Stati Uniti e la NATO rischia di avere l’effetto di “regalare” alla Cina la Russia (con il suo gas, petrolio e altre materie prime). D’altra parte, se la Russia invade l’Ucraina e provoca un conflitto prolungato con gli Stati Uniti e i suoi alleati occidentali (sebbene sia improbabile uno scontro militare diretto), la Cina ovviamente ne trarrà vantaggio. L’America dovrà dirottare risorse strategiche per affrontare la Russia e i suoi alleati europei saranno ancora più riluttanti a dare ascolto alle richieste degli Stati Uniti di unirsi alla coalizione americana anti-cinese. Questo spiega perché diversi esponenti trumpiani dell’estrema destra americana, tra cui il conduttore di Fox News Tucker Carlson e il deputato del Kentucky Thomas Massie, si siano chiesti perché gli Stati Uniti stiano appoggiando l’Ucraina e si oppongano alla Russia. Carlson ha detto che “ha senso” che Putin “voglia solo mantenere sicuro il suo confine occidentale” opponendosi alle mosse dell’Ucraina di unirsi alla NATO. Le posizioni di Carlson sono state respinte dai vertici del Partito Repubblicano. Se, invece, l’amministrazione Biden riesce a disinnescare la crisi accettando alcune delle richieste di Putin, la Cina probabilmente si indebolirà dal punto di vista strategico. Mentre Putin raccoglierà i frutti della sua diplomazia coercitiva e Biden eviterà un potenziale pantano nell’Europa orientale, in Cina si ritroverà l’unico obiettivo della strategia di sicurezza nazionale americana. Peggio ancora, dopo che Putin ha abilmente sfruttato l’ossessione statunitense per la Cina per ristabilire la sfera di influenza russa, il valore strategico della sua carta cinese potrebbe svalutarsi in modo significativo.
La questione del gas
Gli Stati Uniti e i vertici della NATO hanno messo al centro della disputa con la Russia la questione del gas. Sappiamo che la Russia fornisce circa il 40% del consumo di gas dell’UE e che l’impennata dei prezzi del gas negli ultimi mesi è in larga parte dovuta a forniture inferiori al previsto da parte russa. In tutta Europa sono aumentate le bollette delle famiglie e alcune industrie dipendenti dal gas sono state costrette a frenare la produzione. Ma, la dipendenza dal gas russo varia da Paese a Paese. Gli Stati dell’Europa centrale e orientale con gasdotti progettati per importare gas dall’est, piuttosto che dall’Europa occidentale (Norvegia) e dal nord Africa, potrebbero subire gravi carenze se Mosca tagliasse l’approvvigionamento.
Tecnicamente, il flusso di gas da Norvegia, Nord Africa e gas naturale liquefatto (GNL) da Qatar e USA (questi ultimi forniscono il 70% del GNL dell’UE) potrebbe essere aumentato fino a quasi sostituire quello che l’Europa riceve dalla Russia, ma questi Paesi potrebbero non essere in grado di aumentare le consegne. Pertanto, l’Unione Europea potrebbe far fronte a un arresto a breve termine di tutte le importazioni di gas russe, anche utilizzando le riserve strategiche che ogni paese ha, ma ciò avrebbe “profonde conseguenze economiche” e richiederebbe misure di emergenza per frenare la domanda, secondo l’analisi del think tank Bruegel. Se la Russia interrompesse il flusso di tutto il gas, l’UE avrebbe bisogno sia di aumentare le importazioni di GNL (in una dichiarazione congiunta, Biden e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, hanno affermato che stanno lavorando insieme per “una fornitura continua, sufficiente e tempestiva di gas naturale all’UE da diverse fonti in tutto il mondo per evitare shock di approvvigionamento, compresi quelli che potrebbe derivare da un’ulteriore invasione russa dell’Ucraina”), con un conseguente drastico aumento dei prezzi, sia di imporre misure di emergenza per ridurre la domanda, come la chiusura di impianti industriali, per evitare gravi carenze. Le opzioni alternative includono una maggiore produzione di energia con l’utilizzo di carbone (il cui prezzo è schizzato a livelli record nel frattempo, creando problemi di approvvigionamento in Asia) e di gasolio – con conseguente aumento delle emissioni di CO2 – o la ritardata chiusura degli impianti nucleari in Germania, una decisione politicamente molto controversa.
Le crescenti tensioni tra Occidente e Russia sull’Ucraina hanno sollevato preoccupazioni sui flussi di gas russo verso l’Europa, spingendo la Commissione europea e gli Stati Uniti a indagare su forniture alternative.
Il Dipartimento di Stato ha affermato che il gasdotto North Stream 2, che collega Russia e Germania e che è stato completato lo scorso settembre, ma la cui l’approvazione normativa è ancora pendente, non entrerebbe in funzione se la Russia invadesse l’Ucraina. Subito dopo è arrivata la dichiarazione del ministro degli esteri tedesco, Annalena Baerbock, che ha dato una forte indicazione che il gasdotto sarebbe parte del pacchetto di sanzioni se Mosca ordinasse un’invasione. “Stiamo lavorando a un forte pacchetto di sanzioni” con gli alleati occidentali e copre diversi aspetti “tra cui North Stream 2“, ha detto Baerbock al Bundestag. Il gasdotto, che la Germania ha costruito nonostante le critiche degli Stati Uniti e degli europei dell’est, dovrebbe raddoppiare le forniture di gas naturale russo alla più grande economia europea.
La questione ucraina e l’insicurezza alimentare globale
Un’invasione russa dell’Ucraina porterebbe inevitabilmente a una interruzione delle consegne alimentari da uno dei più importanti granai del mondo – insieme alla stessa Russia – e questo farebbe aumentare notevolmente l’insicurezza alimentare globale, con possibili carestie in Paesi di Africa, Medio Oriente e Asia. L’Unione Europea sarebbe al riparo grazie all’abbondanza della produzione interna – oltre 290 milioni di tonnellate nella campagna 2021-2022, un quantitativo sufficiente a coprire il fabbisogno interno e ad alimentare un importante flusso di vendite fuori dall’Unione – anche se un Paese come l’Italia ha importato oltre 120 milioni di chili di grano dall’Ucraina e circa 100 milioni di chili di grano dalla Russia nel 2021.
L’Ucraina è il terzo Paese esportatore di cereali a livello mondiale, alle spalle di Stati Uniti e Argentina. Fra gennaio e novembre 2021 Kiev ha venduto oltre i propri confini quasi 45 milioni di tonnellate di cereali (-5,6% sullo stesso periodo del 2020): 19,8 tonnellate di mais (-18% rispetto allo stesso periodo del 2020, con la Cina primo Paese destinatario, col 32% delle quote di mercato, seguita dall’Unione Europea al 31%, e poi Egitto, Iran, Turchia, Regno Unito); 18,9 milioni tonnellate di frumento (+7,48% tendenziale, con Egitto, Indonesia, Turchia, Pakistan, Bangladesh e Marocco primi acquirenti); 5,4 milioni di tonnellate di orzo (+7,86% tendenziale, con la Cina che rappresenta il 53% delle quote di mercato, seguita da Turchia, Arabia Saudita, Libia, Giordania e Tunisia).
La Russia nei primi 11 mesi del 2021 ha collocato oltre i propri confini oltre 32,4 milioni di tonnellate di cereali (-19,54% rispetto allo stesso periodo del 2020), dei quali 24,5 milioni sono rappresentati dal grano (-24,8% tendenziale, con Turchia ed Egitto primi destinatari). La Russia esporta anche orzo (3,6 milioni di tonnellate, -19,89% rispetto ai primi 11 mesi del 2020, venduti nell’ordine ad Arabia Saudita, Turchia, Libia e Tunisia) e mais (2,7 milioni di tonnellate, +35% tendenziale, con la Turchia che rappresenta il 38% delle quote di mercato, davanti a Unione Europea, Corea del Sud, Georgia e Vietnam).
I numeri inquadrano in maniera chiara la portata dell’export dei due Paesi oggi contrapposti sul filo della tensione e dall’analisi delle destinazioni dell’export dei cereali emerge in modo nitido che molte dei Paesi che acquistano dall’Ucraina o dalla Russia si ritrovano in una condizione di instabilità politica, di insicurezza alimentare e, dunque, sono molto esposti anche al rischio di sommosse interne, agitazioni, rischio di carestie. Nelle ultime due settimane, la crisi Ucraina ha fatto balzare del 10% il prezzo internazionale del grano, scatenando forti tensioni sul mercato alimentare. È bene ricordare che le rivolte della Primavera Araba avvenute a partire dal 2011 hanno avuto la loro scintilla – soprattutto in Tunisia ed Egitto – dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari.
Una situazione che va a innescare ulteriore preoccupazione dal momento che con la pandemia da Covid-19 si è aperto uno scenario di accaparramenti, speculazioni e incertezza per gli effetti dei cambiamenti climatici che spinge la corsa dei singoli Stati ai beni essenziali per garantire l’alimentazione delle popolazioni.
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