Interventi

Tutti ci auguriamo che il 9 maggio, data simbolica che Alberto Negri ha portato alla nostra attenzione, possa portare con sé qualche novità positiva.

Si tratta della celebrazione della vittoria della Russia contro il nazifascismo che si celebra con bagni di folla e parata militare, dove il Presidente Putin  avrebbe tutto l’interesse a presentarsi con qualche risultato che se non concluda, almeno interrompa le azioni militari in favore di un vero negoziato.

Il 9 maggio è anche la festa dell’Europa, data che ricorda la dichiarazione Schuman che nel 1950 dette inizio al progetto europeo, anche in questo caso la data fa riferimento alla capitolazione Nazista che avvenne l’8 maggio 1945 nelle mani dei sovietici.

Anche l’Unione Europea dovrebbe fare di tutto per evitare di celebrare questa data con una guerra in atto.

Il 9 maggio, tuttavia, è ancora lontano e nel frattempo la guerra che, una volta iniziata, segue la sua logica, continua a mietere morti, soprattutto tra i civili, ed a creare tanti, tanti profughi.

Per questo, la responsabilità che Il Presidente Putin si è assunta con l’invasione dell’Ucraina, non ha attenuante alcuna perché la guerra non si governa, è lei che governa ed è implacabile nel suo dispiegarsi.

Fermarla non appare facile, a mio avviso, per due ragioni. Innanzitutto non vi sono soggetti in grado di poter imporre un compromesso ai due belligeranti, anche perché molti di essi sono schierati e puntano più che al compromesso, alla sconfitta/distruzione di una delle parti. Il discorso del Presidente Biden a Varsavia ne è stato una tragica conferma.

Sullo sfondo rimane tutt’ora il rischio di un allargamento del conflitto e del ricorso all’arma atomica, che come ci hanno ricordato Mario Dogliani e Marco Revelli è già grave che sia entrata nel lessico.

In secondo luogo, nessuna delle due sembra in grado di “governare” un eventuale compromesso; entrambe sembrano aver messo in gioco la propria sopravvivenza in nome degli interessi dei propri popoli. Per uscire da questa trappola, il Presidente Ucraino Zelensky, ha proposto di sottoporre a referendum popolare un eventuale accordo; basterà questo ad evitare l’intransigenza dei nazionalisti presenti nel Paese e anche nelle forze armate con l’integrazione della brigata Azov?

Quello che pare più facile acquisire nei negoziati è la neutralità dell’Ucraina, cosa che era stata affrontata da un articolo del 16 dicembre 2021 di Giuseppe Cassini pubblicato sul sito del CRS al fine di scongiurare questa guerra.

Purtroppo, già da allora c’era chi anche da noi, avendo già messo l’elmetto, ridicolizzava questa proposta.

Il Presidente Putin, da parte sua, dovrà spiegare al suo popolo se questa impresa sia valsa i sacrifici che lo attendono , l’isolamento da una parte del mondo con cui hanno interagito anche nei momenti più duri della “guerra fredda” e , cosa ancor più dolorosa, il trasformarsi in odio perpetuo di quella fratellanza con il popolo ucraino o almeno con una parte di esso – non a caso, il Presidente Putin parla di “ricongiungimento” con lo stesso lessico mistificatorio che ha trasformato la guerra in “operazione militare speciale” . Questo lessico non è nuovo e si aggiunge alle tante definizioni che sono state utilizzate nel tempo fino ad arrivare all’ossimoro di “guerra umanitaria”. Infine, ma non meno importante, la morte di tanti giovani soldati.

Quello che rende tutti noi attoniti ed impotenti è lo scoprire che non esiste alcun “principio regolatore “nel mondo attuale  e che le stesse Istituzioni che ci siamo illusi avrebbero dovuto assicurare convivenza pacifica e rispetto del diritto, hanno miseramente fallito, a cominciare dalle Nazioni Unite.  Esse non solo sembrano non contare nulla, non sono neanche sulla scena e nessuno le nomina. 

Non dovrebbe essere l’ONU il primo mediatore? E’ vero che, come avviene per l’UE, il suo Consiglio di sicurezza è bloccato dal veto Russo, tuttavia è pur sempre l’Istituzione più rappresentativa al mondo ed il suo Segretario Generale potrebbe assumere una iniziativa o ormai è invalsa l’idea che solo chi è in grado di usare o minacciare l’uso della forza ha diritto di parola in questo “nuovo mondo”?

Purtroppo, è prevalso “il diritto della forza rispetto alla forza del diritto” senza che vi fosse sufficiente opposizione e, in nome di ciò, abbiamo visto soccombere diritti di interi popoli come quello Curdo e poi Palestinese, infine quello Saharaui abbandonato anche dalla Spagna che proprio in questi giorni ha accettato le condizioni del Marocco che già di fatto si è annesso i territori del Sahara occidentale che fin dagli anni  ’90, per decisione ONU, avrebbero dovuto essere sottoposti ad un referendum per l’autodeterminazione. Il terreno era stato preparato dal Presidente Trump il quale, in cambio dell’adesione del Marocco ai così detti “accordi di Abramo”, aveva assicurato l’appoggio degli USA all’annessione del Sahara Occidentale, ennesima dimostrazione del fatto che ormai è il dettato americano a determinare le politiche delle Istituzioni Internazionali fino al punto che proprio  Israele e Turchia, Paesi responsabili di reiterate violazioni del diritto internazionale, siano stati individuati ed accettati come mediatori possibili in questo conflitto.

Ho parlato in precedenza di isolamento della Russia dalla parte del mondo con cui ha più interagito e non di isolamento tout court perché, come è stato osservato, al di là dei 5 Paesi che hanno votato contro la risoluzione ONU di condanna alla Russia, ve ne sono stati ben 35 che si sono astenuti e tra essi, Cina, India, nel complesso, tra contrari e astenuti, rappresentano la maggioranza della popolazione mondiale.

Se si esamina, poi il voto africano si vede come il continente sia diviso: sui 54 Paesi affiliati all’Onu, 28 hanno votato a favore, 16 si sono astenuti, 9 non hanno partecipato al voto e uno, l’Eritrea, ha votato contro. Tra i Paesi astenuti ve ne sono di importanti, come il Sudafrica e l’Algeria, così come tra i non votanti, come il Marocco e l’Etiopia.

Ho citato l’Africa perché la Russia, dopo un periodo di assenza, ha ripreso forti relazioni con questo continente che durante la guerra fredda aveva conosciuto l’influenza dell’Unione Sovietica e molte classi dirigenti africane si erano formate proprio a Mosca.

Nel 2019 il primo vertice russo-africano, tenutosi a Soci, ha visto la presenza di ben 30 Paesi Africani a testimonianza del fatto che le relazioni sono andate molto avanti, basandosi soprattutto sullo scambio armi-materie prime anche per non interferire, da parte russa, con il ruolo della Cina più dedito alla penetrazione economica nel continente.

Può sembrare un dettaglio ma ho trovato significativa anche la penetrazione religiosa in Africa dove nel 2021 si è verificato un vero e proprio esodo dal Patriarcato di Alessandria di Egitto, legato a Kiev, verso quello di Mosca, esso ha coinvolto 12 Paesi africani e 102 esponenti religiosi. I dettagli potete trovarli nel numero di Marzo della rivista Nigrizia.

Quello che è certo, è che la prima vittima di questa situazione sarà l’Africa. Ciò che per noi sarà crisi, recessione, in Africa sarà morte per fame. La mancanza di cereali, il prezzo del carburante e dei concimi, la crisi idrica, saranno esiziali per un continente che possiede petrolio ma non ha le tecnologie per valorizzarlo.

Non ho il tempo e le competenze per soffermarmi sul ruolo della Cina, tuttavia la voglio citare perché nei nuovi equilibri che si vanno delineando l’ottica eurocentrica può essere fallace. A questo proposito, ricordo che il primo aprile prossimo si svolgerà il summit UE-Cina, appuntamento che assume una rilevanza particolare in questo momento non dimenticando mai che la Cina rimane l’ossessione principale degli USA.

La settimana appena trascorsa, oltre all’inasprirsi della guerra, è stata segnata dal protagonismo USA in Europa. La partecipazione del Presidente USA al vertice NATO, alla riunione del G7 e, per la prima volta, alla riunione del Consiglio Europeo è servita a mostrare al mondo e alla Russia la compattezza transatlantica ed il sostegno all’Ucraina il cui Presidente, presente in collegamento da Kiev, ha  passato in rassegna ad uno ad uno i Paesi europei assegnando a ciascuno meriti e demeriti: bacchettata l’Ungheria, criticata la Germania.Forse il contesto avrebbe consigliato al Presidente di rivolgersi all’Unione più che a singoli Stati, soprattutto per un Paese che vorrebbe farne parte.

Nel merito, vale la pena di approfondire gli orientamenti e le decisioni assunte. Onestamente, non ho riscontrato grandi novità rispetto alla riunione informale del Consiglio svoltosi il 10 e 11 Marzo a Versailles, il risultato pare essere quello di una unità a prezzo di  grandi compromessi.

Chi sperava nell’inasprimento di sanzioni fino alla completa rinuncia al gas russo è rimasto deluso; chi chiedeva un tetto ai prezzi del gas o almeno una dissociazione del prezzo dell’energia elettrica da quello del gas si è dovuto accontentare di misure nazionali tendenti a calmierare i prezzi sotto il controllo della Commissione Europea che ne verifichi le compatibilità con le regole di mercato unico.

Quello che è certo è che ci sarà un gran lavoro per la Commissione Europea, la quale dovrà fornire entro metà maggio un documento che analizzi le carenze di investimenti nel campo della difesa e formuli proposte per investimenti capaci di aumentarne l’efficacia. Entro fine maggio un piano globale e ambizioso di fuoriuscita dalla dipendenza energetica dalla Russia, dello stoccaggio ed acquisto del gas e dei relativi prezzi. La Commissione dovrà inoltre fornire al Consiglio il parere sulla richiesta di candidatura all’UE dell’Ucraina, così come previsto dal Trattato.

Infine sul tema sicurezza il Consiglio ha approvato la “Bussola strategica” ed il ricorso al Fondo Europeo per la Difesa nella disponibilità della Commissione Europea per ricerca e sviluppo di tecnologie funzionali alla sicurezza dell’Unione.

Il primo passo individuato dalla “Bussola strategica” è quello della costituzione di un contingente di 5.000 uomini da impegnare in operazioni di emergenza. L’Alto Rappresentante per la politica Estera e di Sicurezza Europea ha tenuto a precisare che non si tratta di un embrione di esercito europeo ma di una forza parallela che fa riferimento alla catena di comando UE la quale, per essere impiegata, necessità del voto all’unanimità del Consiglio.

L’annuncio dell’aumento delle spese militari da parte di alcuni Paesi europei ha aperto un importante dibattito e necessita dei chiarimenti. Innanzitutto esso non ha nulla a che fare con la difesa comune europea, ha invece a che fare con la Nato che richiese già dal 2014 di portare le spese militari al 2% del PIL; indicazione che il Parlamento Italiano non ha mai formalizzato fino alla recente approvazione alla Camera del ben noto ODG (primo firmatario la Lega) approvato a larghissima maggioranza.

Nel luglio 2018 nel vertice Nato di Bruxelles il Presidente Trump, chiese agli alleati di aumentare le spese militari fino al 4% del PIL. Il segretario generale Stoltemberg, lungi dal smentirlo, propose di cominciare intanto con il 2%. Una vera provocazione nello stile di chi mal sopportava il rapporto con l’Europa.

Oggi l’Europa è pressata da una situazione che richiede di accelerare decisioni politiche a lungo rinviate.

Tenere insieme l’Unione non sarà facile perché non è detto che tutti i Paesi Membri siano disposti a rispondere alla crisi in modo coordinato. Qualche assaggio lo abbiamo avuto dalla Germania che ha preso la decisione di aumentare unilateralmente e considerevolmente le proprie spese militari e dalla stessa Italia che l’ha seguita, anche sulle sanzioni si è avuta l’impressione che la disponibilità incondizionata dell’Italia, perfino alla rinuncia tout court all’importazione del gas russo, sia stata solo una furbizia perché certi dell’impossibilità della Germania di poter fare altrettanto, per non parlare dell’Ungheria di Orban che ha rifiutato di imporre sanzioni e del terzetto composto da Slovenia, Polonia, Repubblica Ceca che si è recata a Kiev per mostrare un di più di solidarietà rispetto  agli altri.

Non è più tempo per questi giochetti, oggi è il tempo in cui ciascuno deve assumersi una parte delle responsabilità, non mentire ai cittadini e lavorare  per l’interesse comune.

Sulla spesa militare c’è da dire, innanzitutto, che la spesa complessiva degli Stati dell’UE è quattro volte quella della Russia e quasi pari a quella della Cina. Partendo da questo dato non mi pare si giustifichino aumenti di sorta; altro è lavorare sulla razionalizzazione di questa spesa fatta di inutili duplicazioni, diseconomie, tecnologie divergenti e logiche difensive esclusivamente nazionali.

Molto si parla oggi della difesa Comune Europea, spesso lo si fa con leggerezza e si individua nel voto all’unanimità del Consiglio Europeo l’ostacolo principale: certo, l’unanimità non aiuta ma sono ben altre e altrettanto dirimenti le questioni da porre.

Il primo problema, e questo è presente nel dibattito, è che non ci può essere una politica di difesa comune senza una politica estera che la sostenga, quello che però non emerge è che questa politica non è compatibile con l’attuale struttura istituzionale dell’Unione Europea, quest’ultima condizione è essenziale, ma nessuno ne parla. Oggi la Politica Estera e di Sicurezza Comune è la più intergovernativa delle politiche dell’Unione, ciò vuol dire che i Parlamenti, a cominciare da quello Europeo, non hanno alcun potere nelle decisioni se non quello di essere informati.

Nella dimensione nazionale questa politica ha come riferimento le Costituzioni che limitano e regolano l’uso della forza; a livello europeo gli attuali Trattati non possono essere comparati neanche lontanamente ad esse.

Bisogna quindi guardarsi bene da cessioni di sovranità improvvisate, dettate da risposte emozionali ad eventi pur tragici, di cui potremmo amaramente pentirci. Solo un assetto federale basato su una Costituzione Europea che riprenda il meglio delle culture costituzionali nazionali potrebbe essere all’altezza di questa sfida.

L’obiezione è che non tutti gli Stati dell’attuale Unione sarebbero disponibili, la risposta è che nulla impedisce a chi lo volesse di procedere su questa strada. Non si tratta di escludere nessuno, perché è perfettamente compatibile, anche nell’attuale assetto, avere un nucleo di “Stati Federati” che raggiungono un livello più alto di integrazione preservando e, se possibile,incrementando la democrazia e lo Stato di Diritto. Una bella sfida per chi si propone di competere, spesso solo a parole, con le Autocrazie e gli autoritarismi.

Infine, il rapporto con la NATO. L’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza, ha sostenuto che la difesa europea non può essere a detrimento della NATO ma complementare. L’esperienza pregressa ci dice che non vi è spazio per una autonomia europea all’interno del sistema NATO che rimane uno strumento del potere USA soprattutto in Europa. Per contro, l’Europa ha interesse ad avere un suo sistema di relazioni che può anche divergere dagli interessi americani anche perché dal 1945 in poi la maggior parte dei conflitti hanno riguardato l’Europa stessa, come i Balcani, o aree molto più vicine all’Europa come il Medio Oriente, l’Africa, il Caucaso ecc… oggi la guerra è tornata nel cuore dell’Europa ed è interesse degli europei fermarla il prima possibile ed arrivare ad accordi che assicurino il massimo di stabilità per il futuro.

I toni del Presidente Biden e la sostanza del suo intervento  a Varsavia sono andati in tutt’altra direzione: guerra che durerà molto e cambio della leadership a Mosca.

L’unico ad aver preso le distanze pubblicamente è stato il Presidente Macron.

Tutto ciò segnala quanto siamo distanti dall’avere le redini del nostro stesso destino e della convivenza futura in questo continente anche con il rischio di instabilità perpetua e di isolamento.

Può sembrare paradossale parlare di isolamento europeo nel momento in cui si lavora per un isolamento della Russia ma proviamo ad immaginare l’ipotesi che le prossime elezioni americane le vinca di nuovo Trump, in che situazione ci ritroveremmo noi europei?

Non si tratta di costruire nemici, ma di lavorare per la propria autonomia anche in una alleanza che, non gli europei, ma gli stessi Stati Uniti potrebbero, in situazioni mutate, non ritenere prioritaria.

Questa guerra porta l’Unione Europea ad una subordinazione alle politiche della NATO come fino ad ora non abbiamo mai visto e non ho bisogno di spiegare che ciò significa una ancora maggiore subordinazione alle scelte geopolitiche ed economiche degli Stati Uniti.

In questa situazione è l’Europa la parte del mondo che rischia di più perché il destino che sembra profilarsi è quello di divenire ancor più “provincia dell’Impero”.

Infatti, oltre ad avere conseguenze per la sua coesione interna, sarà ancor più difficile avere relazioni autonome sia con la Cina che con il Medio Oriente e l’Africa.

Questa guerra avrà come risultato quello di tarpare le ali all’ Unione Europa, obiettivo da sempre perseguito dagli USA con una sorprendente continuità tra Trump e Biden, obiettivo perseguito altresì da Putin il quale potrebbe pagare molto caro questo risultato anche a rischio della stabilità sua e della Federazione Russa stessa.

La guerra di Putin ha raggiunto anche un altro risultato, quello di aver ridato centralità degli Stati Uniti dopo il fallimento Afghano, centralità destinata a pesare nei futuri equilibri globali. Stati Uniti i quali, nonostante le sanzioni, rimangono la parte del mondo che, non solo pagherà meno le conseguenze di questa guerra, ma che sta già acquisendo vantaggi a cominciare dalla fornitura del gas all’Europa che comporterà, un costo economico maggiore per noi ed anche un costo ecologico non indifferente. Tutto ciò sulle sofferenze e i lutti del popolo ucraino, e dei soldati russi; anche per questo non siamo e non potremo mai essere filoputiniani.

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