Il negoziato tra Ucraina e Russia pare procedere difficoltosamente e con lentezza, nonostante i passi avanti compiuti negli ultimi giorni. Quali sono i concreti obiettivi e le strategie delle due parti?

La strategia di Zelensky è di mantenersi al potere e di ricacciare indietro il più possibile i russi, operazione certamente non scontata, visto che, nonostante la resistenza ucraina, sono state prese d’assedio tutte le principali città ucraine e alcune sono in procinto di cadere, come Mariupol.

Per quanto riguarda Putin, all’inizio si proponeva, come aveva tra l’altro esplicitamente dichiarato, una sostituzione del Governo ucraino con uno a lui gradito, che avrebbe garantito alla Russia il controllo dell’intero paese. Ora, di fronte anche alle difficoltà incontrate dal punto di vista militare, ha probabilmente rivisto le sue ambizioni deviando il negoziato su due direttrici principali: la neutralità dell’Ucraina sancita da un trattato garantito internazionalmente (la mera dichiarazione d’intenti del presidente Zelensky sarebbe del tutto insufficiente); il controllo da parte russa dell’“Ucraina utile”, ovvero quella che affaccia sul Mar Nero e che garantirebbe alla Russia lo sbocco su un quadrante marino circondato dai paesi della Nato.

In che tempi tutto ciò? Potremmo dire ragionevolmente brevi. Infatti, secondo alcune voci provenienti da Mosca, l’intento di Putin sarebbe quello di presentarsi con un risultato alla sfilata del 9 maggio a Mosca, che ogni anno celebra il ricordo della fine, vittoriosa, della Seconda guerra mondiale.

In merito al trattato per stabilire la neutralità dell’Ucraina, la Russia vuole che anche gli Stati uniti partecipino alla stesura e alla firma? Stati uniti che, fra l’altro, paiono divisi internamente tra tre strategie principali da adottare: quella trattativista, emanante dall’amministrazione in carica; quella attendista, indirizzata al logoramento della Russia, stile Afghanistan degli anni ‘80, come suggerito da Hillary Clinton; quella interventista, come invocato in una lettera rivolta da ventisette esperti di politica estera al presidente Biden, nella quale si richiede l’attivazione di una almeno parziale no-fly zone.

Come spesso accade con gli Stati uniti, cercare di razionalizzare analiticamente le loro strategie è un tentativo fallimentare, perché tendono a mostrare una pluralità di vedute che in realtà non c’è. I tre piani d’azione citati probabilmente si intersecano fra di loro al fine di raggiungere nella maniera più efficace l’obiettivo che fin dall’inizio – dai moti di Euromaidan, lautamente finanziati – gli Usa si sono prefissati, ovvero di creare in Ucraina non un ponte con Mosca, come consigliava Kissinger, ma una roccaforte. Obiettivo in parte raggiunto, come possiamo vedere sul campo oggi. L’esercito ucraino sulla carta non avrebbe potuto resistere per più di 10-15 giorni alla pressione russa, e invece è ancora lì che combatte. Questo significa che negli ultimi anni gli Usa sono riusciti a introdurre nel paese moltissimi armamenti e preziosi consiglieri militari.

Circa l’accordo che dovrebbe sancire la neutralità dell’Ucraina, è evidente che gli Stati uniti, in quanto paese guida della Nato, devono garantirne l’efficacia con la loro ufficiale approvazione per renderlo effettivo.

Che ruolo potrebbe avere invece la Cina, da molti evocata come mediatore e al contempo alternativamente descritta come il soggetto che più potrebbe guadagnare o perdere da questa crisi?

C’è un interessante articolo pubblicato ieri sul Washington Post dell’ambasciatore cinese negli Usa Qin Gang, in cui dichiara che, pur riconoscendo la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, la Cina non ha condannato l’invasione perché la considera una reazione della Russia a tutela della propria sicurezza. Aggiunge poi che la Cina non è voluta intervenire perché non ha intenzione di ficcare il naso negli affari degli altri paesi, secondo la classica dottrina della non interferenza cinese. In ultimo, sottolinea come il caso Ucraina si distingua radicalmente dal caso Taiwan, essendo quest’ultimo una questione prettamente interna e non internazionale.

L’azione cinese è informata a ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo e dunque la Cina, seppur interessata a una fine del conflitto per motivi strategici ed economici, non intende esercitare una solitaria azione di mediazione diplomatica, ma solo partecipare a una condivisa a livello internazionale. Insomma, non vogliono cadere in una trappola diplomatica fallimentare.

E invece qual è la posizione dei paesi del Medio Oriente, in primis Turchia, Israele e monarchie del Golfo, e dell’India?

Sono tutti attori fondamentali. La Turchia, un paese della Nato da più di sessant’anni, non ha imposto alcuna sanzione economica a Mosca e continua a trattare con Putin. Lo stesso ha fatto Israele, il maggiore alleato degli Stati uniti. Ciò significa che questi paesi si sono sganciati dal campo occidentale per giocare una loro partita, in funzione di una stabilizzazione internazionale e del perseguimento dei propri singoli interessi. Questo è un messaggio significativo recapitato a Biden, rafforzato da quello di Emirati Arabi Uniti e di Arabia Saudita, che hanno messo giù il telefono quando il presidente statunitense gli ha chiesto di aumentare la produzione di petrolio per calmierarne i prezzi. L’India, infine, non solo non ha condannato l’invasione, ma anzi ha dichiarato il suo supporto a Russia.

Ciò ci fa capire che questa crisi drammatica non ha cambiato il mondo, come molti dicono, ma il mondo era già cambiato, solo che statunitensi e noi europei facevamo finta che non lo fosse.

Ecco, a proposito, noi europei possiamo giocare ancora qualche ruolo oppure siamo fuori dalla partita negoziale in toto?

Con l’invio delle armi l’Europa si è bruciata l’ultima possibilità di avere un piccolo margine di trattativa con Mosca. Oltretutto, è probabile che gli armamenti in uso fossero in gran parte già dentro il paese, e quelli in arrivo avrebbero in ogni caso scarse possibilità di modificare gli sproporzionati equilibri di forza, anche in un conflitto a fuoco dentro le città.

Nel frattempo però siamo costretti a mettere in allerta le nostre forze armate perché sappiamo perfettamente che questa non è la solita guerra per procura, ma una guerra per procura con una potenza in possesso di 6 mila bombe nucleari, che potrebbe considerarci un bersaglio sensibile in quanto base Nato e base Usa depositaria di numerose testate atomiche.

Come Italia, poi, le possibilità di esercitare un’influenza diplomatica sono ancora minori, viste anche le improprie dichiarazioni di alcuni nostri rappresentanti. Ci limiteremo a subire i problemi legati alle fonti d’energia, il cui vertiginoso aumento dei prezzi deriva sostanzialmente da una ovvia legge di mercato: quando un bene è difficile da reperire a fare il prezzo è il venditore, non il compratore, che lo fa invece quando il bene è abbondante. Per contenere i costi si possono limare accise e imposte, ma non si risolve certo così il problema a medio-lungo termine, soprattutto per quanto riguarda l’approvvigionamento. Per quello può essere certamente utile diversificare i fornitori, come avremmo potuto fare da tempo. Invece abbiamo sanzionato l’Iran, il secondo paese al mondo per riserve di gas: i giacimenti di South Pars soddisfarebbero tutto il fabbisogno europeo e anche oltre. Per non parlare della Libia, da lì con GreenStream a regime arriverebbero 30 miliardi di mq, più di un terzo dei consumi italiani.

Anche l’incontro di Versailles è stato fallimentare, specialmente per l’Italia, visto che non sono stati approvati aiuti in sostegno dei paesi in maggiore difficoltà per il contraccolpo delle sanzioni e per la crisi energetica, e nulla si è deciso anche sul rinvio sine die del patto di stabilità.

Insomma un quadro sconfortante. Purtroppo l’unico personaggio politico europeo in grado di avere influenza su Putin, Angela Merkel, è ormai in pensione. Sin dall’annuncio del suo ritiro nel febbraio scorso, si è creato un vuoto politico-diplomatico al centro dell’Europa. Qualcuno l’ha anche invocata come mediatrice, ma trovo davvero improbabile che voglia farsi coinvolgere in una situazione così complicata, resa ancora più grave dai numerosi errori commessi. Penso inoltre che sia molto arrabbiata sia con Putin che con gli Usa per quello che è successo.

In conclusione, come potrà chiudersi questa drammatica vicenda?

Bisogna in primo luogo ammettere che negli ultimi anni abbiamo tutti – analisti, politici e media – trascurato questo quadrante del mondo, pensando che gli accordi di Minsk fossero una piattaforma sufficiente, invece la loro applicazione non è stata mai davvero avviata. Stante questa generale scarsa conoscenza della situazione, formulare ipotesi attendibili è davvero molto complicato. Posso limitarmi a ripetere quello che ho detto all’inizio, ovvero che secondo alcune voci russe l’intenzione di Putin sarebbe quella di chiudere in tempo per la trionfante parata del 9 maggio.

Una sola cosa è certa: più si prolunga la guerra, più alto sarà il numero dei morti e dei profughi, e maggiore il rischio di un allargamento del conflitto.

Qui il PDF

2 commenti a “Guerra in Ucraina. Le difficoltà del negoziato”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *