Introduzione
Capita di frequente che dei personaggi che hanno lasciato una importante traccia nella storia contemporanea abbiano trascurato di far crescere dei successori abbastanza degni e capaci di raccogliere in qualche modo la loro eredità; si pensi così al deplorevole stato in cui Angela Merkel ha lasciato il suo partito e più in generale la politica tedesca, mentre ci ha regalato il trasferimento dai tranquilli sonni berlinesi a Bruxelles di una così inadeguata figura nella persona di Ursula von der Leyen.
Tra le sue frasi celebri bisogna ricordare quella secondo la quale sarebbe stato facile liberarsi del gas e del petrolio russo. La realtà, almeno per quanto riguarda il gas, appare piuttosto diversa, come cerchiamo di mostrare nel testo, esplorando, parzialmente almeno, la situazione dei principali paesi fornitori di gas all’Europa, a cominciare dalla stessa Russia, nonché le prospettive del nostro continente per questo inverno.
Comunque intanto una risposta indiretta alla von der Leyen viene da Ben van Beurden, il capo della Shell, la più importante società energetica europea, che ha di recente dichiarato che affermare che staccarsi dal gas russo sarà in qualche modo facile appare una fantasia che bisogna mettere da parte.
Diamo intanto il quadro sintetico della situazione attuale; secondo i dati disponibili (fonte: Eurostat), nel primo semestre del 2021 l’UE ha importato il 46,8% del suo fabbisogno di gas dalla Russia, il 20,5% dalla Norvegia, l’11,6% dall’Algeria, il 6,3% dagli Stati Uniti, il 4,3% dal Qatar e il 10,5% da altre fonti. Aggiungiamo che a livello dell’intero anno 2021 i dati sono variati di poco, ma si è registrata comunque una riduzione dell’apporto della Russia, che alla fine si è collocato intorno al 40% del totale, il che corrisponde a circa 155 miliardi di metri cubi di gas. Dal 24 febbraio ad oggi i paesi dell’UE hanno acquistato il 54% delle esportazioni russe di prodotti energetici, ma ora tale percentuale appare in diminuzione a favore di altri clienti. In termini più generali, in ogni caso, i consumi energetici dell’Unione Europea dipendono per il 70% dalle energie fossili.
Verso la fine di agosto di quest’anno i prezzi dell’energia hanno raggiunto più di 290 euro per megawattora per consegne di gas nel quarto trimestre dell’anno, anche se poi hanno subito un certo ridimensionamento – in attesa di nuovi rialzi –, mentre il prezzo pre-pandemia si collocava intorno ai 30 euro (The Economist, 2022, a) e quello della fine del terzo trimestre del 2021 intorno ai 50.
La UE, sulla spinta anche degli Stati Uniti, sta decidendo di mettere un tetto al prezzo del gas e del petrolio russo; la Russia, come è noto, ha risposto minacciando di tagliare del tutto le forniture relative ai paesi che metteranno in pratica tale decisione. Ne potrebbe seguire un periodo di caos. Secondo un’alternativa apparentemente più ragionevole, si potrebbe invece cercare di regolare il mercato ‘borsistico’ del gas, che si concentra al Ttf di Amsterdam, sul quale molti operatori stanno guadagnando somme enormi; ma gli olandesi sono restii a farlo (vedi in proposito le dichiarazioni di G. B. Zorzoli a Il fatto quotidiano del 6 settembre).
In relazione alla crisi ucraina, da qualche mese c’è un fitto, anzi frenetico, scambio di contatti tra i governi dei paesi europei e i principali produttori di gas, con l’obiettivo da parte dei primi di reperire risorse alternative a quelle russe.
Il quadro dei vari paesi
La situazione della Russia
La perdita progressiva dei mercati europei da parte della Russia per quanto riguarda il petrolio alla fine non sembra stia portando gravi danni al paese, che è riuscito a dirottare la vendita dei prodotti prima effettuata da noi in prima linea verso Cina e India, seguiti da Turchia ed Egitto. Se si chiudessero poi i rubinetti del gas, per colpa della Russia o per le sanzioni europee, il danno per il paese sarebbe di nuovo apparentemente relativo. Certo trasportare il gas è più difficile tecnicamente che non il petrolio, ma intanto la possibile perdita di volumi venduti è compensata in qualche modo dal forte aumento dei prezzi, mentre si riescono ad aumentare i flussi verso altre destinazioni anche se non come con il petrolio, e infine, comunque, qualche perdita di introiti non peserebbe poi molto, essendo la parte del gas nelle entrate russe dalle vendite di prodotti energetici comunque abbastanza ridotta, essendo quella di gran lunga più importante costituita dai prodotti petroliferi. Da segnalare che è stato di recente firmato un accordo con la Cina per la costruzione, oltre a quello già esistente, di un altro grande gasdotto tra i due paesi che sfrutterà proprio i giacimenti da cui vengono le forniture all’Europa; ma ci vorranno comunque diversi anni per portarlo a compimento.
Intanto nel 2022 gli incassi complessivi dei prodotti energetici da parte del paese dovrebbero essere superiori a quelli dell’anno precedente, mentre nei primi sei mesi del 2022 Gazprom ha generato utili record per 41,2 miliardi di dollari. Le ultime previsioni sull’economia del paese valutano ora che il suo Pil si ridurrà nel 2022 del 2,9% (qualcuno parla del 4%), molto meno delle stime di qualche mese fa.
Il tentativo in atto dei paesi della UE di porre un tetto ai prezzi di gas e petrolio comporterà, a detta di Mosca, come già accennato, la chiusura delle forniture. Non è chiaro, mentre scriviamo, quali saranno gli sviluppi della situazione su questo fronte.
Intanto, incidentalmente va ricordato che comunque molti paesi emergenti hanno rifiutato di condannare Mosca per la guerra in Ucraina e di aderire alle sanzioni, e che tali sviluppi contribuiscono a indicare come l’Occidente tenda a non essere più al centro del mondo, anche se esso sembra dimenticarlo: utilizzando per il calcolo il criterio della parità dei poteri di acquisto, già oggi il Pil dei paesi emergenti è pari al 60% circa del totale mondiale e quello della Cina ha superato quello degli Stati Uniti già da diversi anni, con un vantaggio del 20-25%. Ricordiamo infine che nel 2030 i due terzi almeno delle classi medie del mondo saranno concentrate in Asia.
Cina e India
Ci si può chiedere per quale ragione parliamo anche di questi due paesi. Il fatto è che, sorprendentemente, nel primo semestre del 2022 la Cina ha esportato gas liquido in Europa per circa il 7% del fabbisogno del continente. Parallelamente, sempre nel primo semestre dell’anno, la Cina ha importato dalla Russia il 63,4% di gas in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e dal momento che la crescita dell’economia del paese nel periodo si è rivelata minore del previsto, si è registrato un surplus della materia prima, che i cinesi hanno subito deciso di spedire sul mercato più redditizio che ci sia, che in questo momento è certamente l’Europa; così il gas russo è arrivato nel nostro continente anche per tale via, contribuendo a salvare la situazione (Hama, 2022) e rimpinguando contemporaneamente i bilanci di alcune società cinesi del settore.
Anche l’India nello stesso periodo ha fatto importanti affari con l’UE, rivendendo in particolare all’Olanda (oltre che agli stessi Stati Uniti e ad altri paesi) quantità rilevanti di derivati del petrolio russo.
Ma da noi pressoché nessuno ha commentato tali notizie; si è fatto finta di non vedere.
Gli Stati Uniti
Qualche mese fa, per convincere gli europei (non ci voleva peraltro un grande sforzo) a bloccare l’utilizzo del petrolio e del gas russo, Biden promise l’aiuto degli Stati Uniti con l’aumento delle forniture da parte del suo paese. In particolare il Presidente parlò a suo tempo di cedere all’UE 15 miliardi di metri cubi supplementari di LNG all’anno, pari al 10% delle importazioni di gas russo nel 2021, sin da subito, mentre raccontò di 50 miliardi di metri cubi a partire dal 2030 (The Economist, 2022, b).
Ma gli esperti hanno mostrato in proposito grande scetticismo. Gli USA hanno già il 100% della capacità degli impianti di liquefazione del gas utilizzata e non c’è praticamente niente di più da esportare nel breve termine. Per cambiare in maniera sostanziale la situazione occorrerebbero, secondo quanto riportato dall’Economist, da 4 a 5 anni e investimenti per decine di miliardi di dollari (35 miliardi, secondo una stima riportata dal giornale). Anche la UE dovrebbe aumentare di molto le sue infrastrutture per accogliere tale gas. Solo Spagna e Francia hanno dei terminali adeguati per riceverlo, ma essi non servono per coprire i fabbisogni della parte Est del continente, Germania compresa. Quest’ultima non ha terminali e occorrerebbero diversi anni per metterli in piedi.
Comunque, un po’ di petrolio e di gas in più è venuto in questi mesi da quelle parti; ma per quanto riguarda in particolare il gas, lo si è fatto dirottando verso il nostro continente qualche carico prima destinato all’Asia, mentre per il petrolio si è un poco attinto alle riserve. Il tentativo di Biden di spingere l’Arabia Saudita ad aumentare la produzione di petrolio da spedire in Europa non ha dal canto suo incontrato molto successo, anzi i paesi dell’Opec stanno decidendo di ridurre la produzione, sia pure di poco.
Ma ora il Governo statunitense registra forti pressioni da parte delle imprese domestiche volte a restringere l’export di gas naturale dal paese, dal momento che la domanda estera ha portato i prezzi Usa ad altezze mai viste da tempo, anche se sempre inferiori a quelle del mercato europeo. Intanto il ministro per l’Energia, Jennifer Granholm, ha inviato una lettera alle principali raffinerie del paese con la quale, deprecando i bassi livelli degli stock di prodotti energetici, collegati ai livelli record dell’export di prodotti raffinati, chiede alle imprese del settore di concentrarsi sulla ricostituzione delle scorte più che pensare a incrementare l’export, minacciando in caso contrario misure di autorità (Jacobs, 2022).
La Norvegia
Per quanto riguarda la Norvegia, tradizionalmente il nostro secondo fornitore dopo la Russia, ma che recentemente ha raggiunto il primato in ragione della riduzione in atto delle consegne dell’altro paese, si può dire che le riserve disponibili non sono più quantitativamente quelle di una volta. Comunque, essa ha subito promesso, per aiutare i paesi della UE, di aumentare per quello che poteva la sua produzione; ma una crescita rilevante della stessa appare legata all’avvio di rilevanti investimenti per sfruttare nuovi pozzi e questo richiederà ovviamente tempo e soldi. L’incremento effettivo delle consegne per il 2022, pari presumibilmente a circa 3,5 milioni di metri cubi, appare più o meno simile a quelli che il nostro ministro alla cosiddetta Transizione ecologica promette di estrarre dal mare Adriatico, che, incidentalmente, al di là delle grandi speranze riposte ufficialmente in tale fonte, non risulta in realtà possedere grandi potenzialità.
Ma intanto sempre la Norvegia, che è uno dei principali esportatori di energia del nostro continente, minaccia di interromperne le forniture per questo inverno per possibile mancanza di disponibilità.
L’Algeria
L’Algeria è soltanto il decimo paese al mondo come riserve di gas, ma comunque fornisce all’incirca l’11% delle importazioni europee.
Va ricordata sullo sfondo la profondità dei legami economici e politici tra l’Algeria e la stessa Russia, nonché le importanti relazioni economiche con Pechino. Il paese africano si è astenuto all’Onu sulla risoluzione che condannava l’invasione russa; esso non dimentica il sostegno ricevuto al momento della lotta per l’indipendenza, mentre oggi, tra l’altro, acquista il 70% dei suoi fabbisogni di armi dal paese amico e ha in generale rapporti cordiali con esso (Bobin, 2022). In ogni caso, ricordiamo che le forniture all’UE da parte di tale paese si sono ridotte di quasi un terzo tra il 2007-2008 e il 2021, e che nell’immediato le possibilità di un loro aumento sono limitate. Sono comunque necessari del tempo e dei grandi investimenti per incrementare le consegne, in una situazione che registra impianti obsoleti e che hanno già bisogno di un’ampia manutenzione.
La recente scoperta di un importante giacimento di gas a Hassi R’Mel, in pieno deserto, ha comunque galvanizzato i dirigenti del paese. Bisogna anche considerare che con la futura costruzione di un gasdotto che collega tale giacimento al porto petroliero di Warri in Nigeria si accrescerà il suo ruolo di fornitore di gas (Courier International, 2022).
Di recente l’Algeria ha comunque firmato un protocollo con l’Italia che si va traducendo in un incremento di un certo peso delle spedizioni verso il nostro paese; ma bisogna considerare che tali quantità aggiuntive sono nella sostanza sottratte alla Spagna, dopo che tra i due paesi si è sviluppato un contenzioso a proposito del Sahara occidentale. L’Algeria promette di aumentare le forniture nei prossimi anni, e la stessa promessa ha fatto alla Francia durante un viaggio di Macron nel paese.
Egitto e Israele
Israele ed Egitto hanno scoperto negli scorsi anni dei giacimenti marittimi di gas e gran parte della produzione viene incanalata verso l’Europa attraverso un impianto di liquefazione collocato in Egitto. Si prevede che attraverso questa via nel 2022 vengano esportati circa 7 miliardi di metri cubi di gas.
La solita von der Leyen ha qualificato “storico” l’accordo di Bruxelles con Israele ed Egitto per indirizzare verso l’Europa i giacimenti di gas recentemente scoperti nel Mediterraneo (sono almeno centinaia gli eventi dichiarati storici negli ultimi anni in giro per il mondo; presto i manuali scolastici diventeranno molto pesanti come numero di pagine). Ma potenziare la produzione richiede come al solito grandi investimenti e parecchio tempo (tre anni?). Va considerato che, su di un altro piano, l’accordo restringe i margini di manovra di Bruxelles e dei singoli paesi europei in relazione agli attentati ai diritti umani in Egitto e Israele.
Più in generale le riserve sottomarine nell’area potrebbero costituire una qualche alternativa per i paesi europei fra qualche anno, ma forse saranno poche le imprese dell’energia che rischieranno di condurre il lavoro di esplorazione, costruire le piattaforme di produzione e posare i gasdotti in un’area del Mediterraneo in cui sono presenti rivendicazioni varie da parte della Turchia, del Libano e dell’Hezbollah di quest’ultimo paese (The Economist, 2022, c).
Cipro e Azerbaijan
La stampa italiana ha posto molta enfasi sulla recente scoperta a Cipro da parte di Eni e Total di relativamente consistenti riserve di gas; sembrava, a leggere tali pagine, che essa avrebbe cambiato i dati del problema dell’energia, almeno per noi. Ma bisogna considerare che costruire le infrastrutture necessarie per l’arrivo della materia prima in Europa richiederà almeno 4-5 anni e alla fine quindi esso non aiuterà granché a risolvere le nostre questioni. Anche in questo caso, comunque, si profila l’ombra della Turchia.
Intanto l’UE ha firmato, sempre da poco, un altro “storico” memorandum con l’Azerbaijan, con il quale il paese asiatico si impegna a raddoppiare le forniture di gas entro il 2027, che così passerebbero da 10 a 20 milioni di tonnellate annue. Nel 2022 le spedizioni dovrebbero già aumentare di qualcosa. Ma saranno necessari, anche in questo caso, dei tempi lunghi e dei forti investimenti al riguardo (Tavsan, 2022).
Il Qatar
Per quanto riguarda il Qatar, paese politicamente alleato degli USA, esso possiede certo le terze riserve di gas al mondo, ma circa il 90% della sua produzione è vincolata da contratti di lungo termine, stipulati principalmente con diversi paesi asiatici e che non possono essere cambiati (Barthe, 2022). D’altro canto, esso non si può inimicare troppo Mosca in un’area, quale quella del Medio Oriente, che tende ad avere legami sempre più cordiali con la Russia e con la Cina, come hanno dovuto registrare in queste settimane i rappresentati statunitensi che si sono recati nell’area per verificare la disponibilità dei vari paesi a partecipare al gioco delle sanzioni. Con il Quatar il margine di manovra può riguardare comunque al massimo, al momento, soltanto il 10% di gas libero da contratti di lungo periodo; solo a medio termine il paese può diventare un fornitore importante, quando da una parte scadranno i contratti in essere (ammesso che gli attuali clienti si mettano graziosamente da parte) e, dall’altra, con investimenti adeguati, si sarà eventualmente, come al solito, aumentata la capacità di produzione.
Cosa fare
Dalla rassegna della situazione riscontrata nei vari paesi sul fronte del gas, si ricava abbastanza facilmente la sensazione che a breve termine ci sia certo una qualche possibilità, ma abbastanza limitata, che da tali paesi vengano maggiori forniture di gas. Diverso sarebbe il discorso nel medio-lungo termine; nell’arco di qualche anno e con rilevanti investimenti si potrebbe ottenere un’importante crescita delle forniture. Ma si possono esprimere dei dubbi sulla volontà degli investitori di impegnare risorse a lungo termine in un settore che ragionevolmente dovrebbe vedere in prospettiva una caduta della domanda a favore di fonti energetiche più pulite. D’altro canto le necessità dei paesi europei si concentrano prevalentemente sui prossimi due anni.
Ora, nell’arco di tempo di qualche anno, economizzare l’energia è il mezzo più ambizioso, il meno caro, il più sicuro, il più pulito e il più rapido per porre rimedio al problema (si vedano, ad esempio, le dichiarazioni in proposito di Amory Lovins riportate in Vidal, 2022). Nei paesi sviluppati almeno i due terzi di tutta l’energia fornita dai combustibili fossili potrebbe essere economizzata; e questo in particolare, anche se non solo, isolando gli edifici. Ovviamente, poi, bisogna puntare tutte le altre risorse sull’eolico e il solare, tecnologie dall’installazione rapida, a buon mercato e senza pericoli, le più redditive. Il nucleare è fortemente sovvenzionato, costoso e difeso da una lobby potente, richiede tempi lunghi e non si sa poi come disfarsi dei residui. D’altro canto la quota più importante del combustibile che alimenta il settore a livello mondiale viene sempre dalla Russia.
In Italia abbiamo purtroppo al momento un curioso ministro addetto all’ecologia, che non risparmia occasione per sottolineare i difetti della motorizzazione elettrica, mentre ha presentato un piano di nuove centrali solari ed eoliche nettamente più ridotto di quello messo invece a punto dagli industriali privati del settore e mentre qualifica gli ambientalisti con l’epiteto di “rinnovabilisti”. Ora, di fronte alla crisi del gas, tende appunto a privilegiare le fonti fossili a scapito di quelle rinnovabili.
Mentre almeno gli Stati Uniti dormono sonni tranquilli dall’alto della loro riserve energetiche e di costi molto inferiori, diversi paesi europei si domandano come riusciranno a passare l’inverno e a quale prezzo. È difficile a questo proposito fare della stime precise; comunque, secondo alcuni esperti, se l’inverno sarà moderatamente clemente e se la Russia aumenterà un poco le sue forniture, si riuscirà a scamparla, sia pure con qualche rilevante sacrificio; ma se l’inverno sarà invece duro e la Russia chiuderà del tutto i rubinetti, come sta nella sostanza già accadendo, le cose si potrebbero mettere molto male.
In ogni caso, è difficile scampare nei prossimi mesi a una recessione delle economie europee, guidati in questo da Germania, Italia e paesi dell’est europeo. Quanto essa sarà dura dipenderà per la gran parte da come si configureranno le cose sul fronte energetico. In ogni caso il problema è aggravato dal fatto che lo shock energetico sta coincidendo con l’aumento dei tassi di interesse da parte della BCE.
Di fronte al problema del gas, bisogna peraltro ricordare che non tutti i paesi europei e non tutte le classi sociali se la passano allo stesso modo. Così, è noto che in Europa tra i paesi più toccati ci sono la Germania e l’Italia; e che quelli dell’Est Europa son più vulnerabili di quelli del ricco Nord. Così il peso per una famiglia in Finlandia degli aumenti di prezzo significherà una spesa addizionale sul bilancio familiare del 4%, mentre in Estonia si tratta del 20%. Meno del 3% del mix energetico viene in Svezia dal gas e così nel paese nel 2022 il peso della fattura energetica aumenterà del 5% sul totale del reddito, mentre per la Gran Bretagna, paese in cui il gas pesa per il 40% del mix energetico, esso aumenterà del 10%, passando dal 6% al 16% (The Economist, 2022, d).
Se veniamo poi ai problemi delle classi disagiate, il caso più grave appare oggi di nuovo quello della Gran Bretagna, anche perché, nel paese, la gran parte delle case sono riscaldate con impianti a gas; e poi, in un gran numero di casi, gli impianti hanno forti perdite di energia mentre si usa molto gas per produrre elettricità. Il prezzo dell’elettricità è nel paese superiore del 30% a quello dell’Italia e molto di più rispetto agli altri importanti paesi del continente.
Secondo i calcoli della Child Action Group, nel 2021 il Regno Unito contava 4,5 milioni di famiglie in povertà energetica (che versano più del 10% del loro reddito per le fatture relative); in ottobre saranno 8,9 milioni, nel gennaio 2023 15 milioni, cioè più di una famiglia su due; qualcuno anzi stima che nel prossimo inverno almeno la metà delle famiglie dovranno scegliere se mangiare o riscaldarsi. Servirebbero politiche più mirate ai più bisognosi (Carrington, 2022; Albert, 2022). Peraltro il nuovo primo ministro, Liz Truss, ha promesso di intervenire al più presto sulla questione con un piano importante.
Last, but not least, ricordiamo comunque che ci sono degli altri problemi aperti. Così, se la Germania volesse chiudere, come sarebbe auspicabile e come alla fine dovrà fare, sia le centrali a carbone che quelle nucleari, dovrebbe sostanzialmente raddoppiare, almeno temporaneamente, i suoi fabbisogni di gas.
La strada davanti a noi si presenta irta di ostacoli.
Testi citati nell’articolo
– Albert E., La colère monte au Royaume-Uni, Le Monde, 28-29 agosto 2022.
– Barthe B., Le Qatar, un fornisseur alternatif, mais seulement à moyen terme, Le Monde, 1 aprile 2022.
– Bobin F., L’Algérie tiraillée entre son amitié russe et les sollicitations occidentales, Le Monde, 1 aprile 2022.
– Carrington D., Energy crisis: UK households worst hit in Western Europe, finds IMF, The Guardian, 1 settembre 2022.
– Courrier International, Elle est belle, ma rente gazière, Hors-Serie settembre-ottobre 2022.
– Jacobs J., Will the West energy alliance survive the winter?, Energy Source, Financial Times, 30 agosto 2022.
– Hama M., China throws a lifeline with LNG resale, Financial Times, 30 agosto 2022.
– Tavsan S., Azerbaijan eager to supply more gas to Europe in Russia’s stead, Financial Times, 19 luglio 2022.
– The Economist, A narrowing path, 3 settembre 2022, a.
– The Economist, A little help from a friend, 4 aprile 2022, b.
– The Economist, Fire hazard, 27 agosto 2022, c.
– The Economist, Putin’s present, 13 agosto 2022, d.
– Vidal J., La révolution energétique a eu lieu, désolé si vous l’avez manquée!, Courier International, Hors-Serie settembre-ottobre 2022, ripreso da The Guardian il 26 marzo 2022.
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