Sulla scia tracciata dalla mozione n. 121, approvata lo scorso giugno dal Consiglio capitolino, il Sindaco di Roma ha emanato la nuova direttiva (dir. n. 1 del 4 novembre 2022) sulle iscrizioni anagrafiche. La direttiva contempla i nuovi criteri per l’assegnazione della residenza alle persone che si trovano a vivere in immobili occupati. Si tratta di un punto di svolta nelle politiche dell’abitare. Una soluzione finalmente in linea con i principi della Carta repubblicana e con la cultura costituzionale dei diritti.
Com’è noto la legge n. 80/2014 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, recante misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015) prevede, a tale riguardo, che «chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge» (art. 5.1).
Una soluzione quanto mai drastica, destinata fatalmente a compromettere la tutela dei livelli essenziali di prestazione dei diritti civili e sociali (ex art. 117 Cost.) per un numero ampio e crescente di donne, uomini, interi nuclei familiari: dal diritto al lavoro (art. 4 Cost.) al diritto alla famiglia (art. 31 Cost.), dal diritto alla salute (art. 32 Cost.) al diritto all’istruzione (art. 33 Cost.), dal diritto all’assistenza sociale (art. 38 Cost.) al diritto alla eguale dignità sociale (art. 3 Cost.). E la ragione è evidente: oggi ai “senza residenza” non è consentita nemmeno la possibilità di procedere alla richiesta del medico di base per se stessi o di un pediatra per i bambini; aprire un conto corrente a fini lavorativi; iscrivere i figli a scuola; disporre nei luoghi dell’abitare di taluni beni essenziali (le utenze di luce, gas e acqua).
A scanso di equivoci appare opportuno tuttavia, allo stesso tempo, precisare che la direttiva non opera contra legem. Ma introduce significativi elementi di civiltà giuridica nella disciplina dell’emergenza abitativa sfruttando un varco presente nella legge stessa. Ci si riferisce all’art. 5.1-quater che prevede che «il sindaco, in presenza di persone minorenni o meritevoli di tutela, può dare disposizioni in deroga».
La direttiva, pertanto, si limita a rendere finalmente operativa la deroga, dando istruzioni alle anagrafi sul come applicarla. E lo fa garantendo il diritto alla residenza a individui che, costretti a vivere in immobili occupati, versano in uno stato di evidente malessere sociale e “politico”: persone che si trovano in condizioni di «particolare fragilità e vulnerabilità sociale» (disabili, minori o anziani sopra i 65 anni) (lett. a); i nuclei a basso reddito (lett. b) e che versano in situazioni di forte disagio abitativo «sotto il profilo delle condizioni igenico-sanitarie» (lett. d); i richiedenti asilo politico e i titolari di protezione internazionale (lett. c).
A ciò si aggiunga che le misure di deroga adottate – che riconoscono ai soggetti beneficiari la possibilità di accedere anche alle prestazioni del servizio sanitario nazionale – non sono destinate a operare sine die, essendo la loro applicazione limitata alla «fase transitoria che precede la ricollocazione» (punto 2). Non è un caso che la direttiva a tal fine abbia anche espressamente riconosciuto ai suddetti soggetti la possibilità di partecipare al bando per l’assegnazione di un alloggio popolare (punto 3).
Tutto ciò induce, in definitiva, a ritenere che il Comune di Roma abbia, in questa circostanza, non solo operato legittimamente nel rispetto delle disposizioni contenute nella normativa del 2014, ma abbia anche correttamente interpretato la natura giuridica della deroga.
I nodi che oggi tendono a emergere sono invece altri e concernono i profili applicativi della direttiva. La deroga disposta dal Comune di Roma, per quanto significativa e legittimamente fondata, dovrà nei prossimi mesi essere attentamente presidiata sul piano amministrativo, diligentemente collaudata sul terreno dei diritti, coerentemente monitorata nella sua applicazione (sulla direttiva è recentemente intervenuto il Prefetto di Roma, proprio chiedendo maggiori verifiche prima della sua applicazione). E questo significa che i municipi e gli uffici anagrafici dovranno quanto prima dotarsi di soluzioni procedurali idonee a inverare i contenuti della deroga, prevedere penetranti strumenti di tutela sul piano dei diritti, evitando soluzioni applicative deboli, restrittive ed eccessivamente dilazionate nel tempo. Tutto ciò sarebbe in contrasto non solo con i contenuti della direttiva, ma anche con quelli della legge che prevede in contesti emergenziali il ricorso alla deroga e la sua immediata applicazione.
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