Hegel avvertiva che la nottola di Minerva vola soltanto al crepuscolo. Il suo monito risulta quanto mai sensato, dal momento che è soltanto al di fuori dei coinvolgimenti emotivi e delle impasse particolaristiche del momento che si riescono a cogliere più lucidamente i passaggi storici cruciali. Nel caso di Tangentopoli, un evento che ha fortemente segnato le dinamiche della storia italiana attuale, il monito hegeliano si rivela maggiormente utile, dal momento che qualche perplessità si era già delineata in corso d’opera. Non soltanto i discorsi in Parlamento di Bettino Craxi, ma anche le voci che sollevavano perplessità sull’uso disinvolto che la procura milanese faceva della carcerazione preventiva, invitavano ad adottare una maggiore cautela sull’azione giudiziaria che sancì la fine della prima Repubblica.
A trentun anni di distanza da Tangentopoli, la nottola di Minerva sembra avere ripreso a volare, come nel caso del libro di Andrea Marino L’imprevedibile 1992. Tangentopoli; rivoluzione morale o conflitto di potere?(Viella, Roma, 2022, pp. 180). L’autore, per analizzare le dinamiche dell’evento principe della nostra storia contemporanea, sceglie di imboccare una strada originale, ponendosi in controsenso rispetto alle letture dominanti. Laddove la visione dogmatica di Tangentopoli come rivoluzione morale confligge (forse apparentemente) con chi la inquadra come una restaurazione dall’alto, guidata dai poteri forti, Marino decide di adottare la lettura del conflitto tra i poteri, apparentemente difficile, ma assolutamente proficua sul piano analitico.
Si dà per scontato, da più parti, che lo scoppio di una crisi di legittimità fosse automatico per via della caduta del muro di Berlino, che avrebbe comportato la fine dell’anomalia italiana, ovvero il partito comunista più forte dell’Europa occidentale e il consociativismo come contrappeso alla cosiddetta democrazia bloccata, a partire dalla quale l’Italia si era ricavata lo spazio di quinta potenza industriale. Gli eventi del 1989 avrebbero determinato una pressione internazionale per porre fine a questa peculiarità. Dall’altro lato, le istanze di rinnovamento interne, avrebbero contribuito a orientare la stagione di rinnovamento morale. A leggere il libro di Marino, entrambe le interpretazioni mostrano la corda. Dalla fine del 1991 al periodo immediatamente successivo alle elezioni del 5 aprile del 1992, niente lascia presagire che da una tangente di 7 milioni di lire possa prendere luogo la più grave crisi di legittimità dell’Europa occidentale, col tracollo conseguente di una classe politica, portando l’Italia a diventare l’unico paese europeo senza una dinamica partitica di tipo bipolarista. L’arresto di Mario Chiesa, prima di essere trattato da Craxi come il caso di un “mariuolo”, in principio viene letto dalla maggioranza dell’opinione pubblica come uno dei casi di ordinaria corruzione che aveva avuto come protagonista il Psi per tutti gli anni ‘80. Già l’inchiesta di Milano sulla P2, quella di Trento del giudice Palermo, quella di Torino sui semafori intelligenti, il caso Teardo in Liguria, il caso Trane in Puglia, avevano evidenziato responsabilità politiche e penali di esponenti del Garofano, senza mai scalfire i consensi del partito. Le elezioni nazionali avevano toccato marginalmente il Psi penalizzando piuttosto la Dc e l’ex Pci, che scontava anche la scissione post-Bolognina. Le elezioni regionali di maggio avevano rafforzato la maggioranza, neutralizzando gli attacchi del neonato Pds e di forze politiche emergenti come la Lega e la Rete contro la maggioranza.
Sul versante giudiziario, Antonio Di Pietro non godeva di una reputazione particolarmente gratificante presso la magistratura milanese, e Mario Chiesa stava per chiedere il rito abbreviato per risolvere la sua vicenda penale. Ad innescare la valanga, interviene una concatenazione di eventi: Di Pietro deposita in ritardo gli esiti dei primi interrogatori; Chiesa rimane dentro, viene isolato dai suoi sodali di partito, e decide di assecondare la richiesta di collaborazione che gli viene avanzata in modo sempre più pressante dal magistrato molisano. Ne conseguono altre inchieste, altri arresti, altri usi discutibili della carcerazione preventiva, dal momento che, nei casi di corruzione, l’arresto è previsto in casi eccezionali che la formula della “dazione ambientale”, coniata da Di Pietro, non copre e giustifica. Sono i rituali di degradazione pubblica, la perdita di status seguite alla carcerazione, a spingere gli amministratori coinvolti a rilasciare dichiarazioni ai magistrati, fino a coinvolgere esponenti del mondo imprenditoriale che, per evitare di fare fronte al deterioramento della loro reputazione pubblica, allargheranno a macchia d’olio il cerchio delle confessioni. È questo corto circuito tra azione repressiva della magistratura e confessioni di politici e manager a innescare quella che Marino chiama, sulla scia di quanto sostiene Elias, la massa di capovolgimento, ovvero un’interazione collettiva che rovescia la disposizione degli assetti di uno spazio sociale.
In particolare, troviamo tre attori coinvolti nella costruzione e diffusione della massa di capovolgimento. In primo luogo, l’industria mediatica, che spazia da Samarcanda al Corriere della Sera, dall’Indipendente a Milano Italia, concede spazi illimitati, senza alcun filtro, agli umori della piazza, con l’obiettivo di aumentare l’audience e la vendita di copie. In secondo luogo, le campagne mediatiche trovano la sponda politica di forze che, o vogliono uscire, come il Pci-Pds, dalla marginalità in cui erano stati schiacciati per tutti gli anni Ottanta, rivalorizzando ex-post la questione morale di Enrico Berlinguer per prendersi la rivincita sul Psi, oppure vogliono emergere sulla ribalta pubblica, come la Lega e la Rete. Proliferano gli appelli alla trasparenza, alla legalità, al ritorno al potere nella mani dei cittadini, mentre una terza categoria di forze politiche, ovvero quelle escluse in nome della pregiudiziale antifascista, si fa strada per rivendicare la propria estraneità al sistema dei partiti, quindi alla corruzione, per rivendicare la legittimità della sua collocazione all’esterno dell’arco costituzionale in nome di legge e ordine. In terzo luogo, questo contesto permette agli imprenditori di uscire dall’imbarazzo che le inchieste giudiziarie avevano loro causato, costruendo, a partire dalla dicotomia società pulita/politica corrotta, la loro identità di “vittime del sistema”, presunti martiri delle vessazioni messe in atto dalla partitocrazia.
Le stragi di Capaci e via D’Amelio finiranno per catalizzare questa lettura binaria delle dinamiche politiche, producendo la riforma elettorale maggioritaria, l’elezione diretta dei sindaci, l’innalzamento della soglia minima della maggioranza parlamentare necessaria a varare i provvedimenti di amnistia, nonché inaugurando, con l’esecutivo Ciampi, la stagione infinita dei governi tecnici.
L’esito di Tangentopoli non era predeterminato. Senza l’apporto dell’imprenditoria morale mediatica e della sponda delle forze politiche in cerca di legittimazione, con una maggiore attenzione all’uso indiscriminato della carcerazione preventiva, Tangentopoli non avrebbe avuto luogo. Se avvenne lo si deve all’innesco di queste convergenze, che, tuttavia, non hanno prodotto gli esiti sperati. In particolare è la sinistra, soprattutto quella proveniente dall’ex-Pci, a dovere svolgere una riflessione critica. La convinzione che una riproposizione postuma della questione morale, in cambio dell’annullamento delle culture politiche e della progettualità, potesse portare a un consolidamento dei consensi elettorali e a una vittoria politica, venne drammaticamente smentita il 27 marzo 1994. La legalità, se declinata acriticamente, assecondando le gogne mediatiche e i processi di piazza, come quello a cui venne sottoposto Bettino Craxi il 30 aprile 1993 all’uscita dell’Hotel Raphael, sfocia nell’aumento dei consensi di quelle forze che fanno della giustizia sommaria e della repressione tout court la loro cifra. In altre parole, delle forze di destra, come stiamo avendo modo di vedere. Inoltre, il Pds aveva trascurato il mutamento qualitativo che aveva investito la società italiana dagli anni Ottanta in poi. Dalla costola del movimento operaio erano usciti la Lega e Forza Italia. Chissà se la nottola di Minerva servirà a riparare a qualche errore.
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