Da qualche giorno, Pisa conosce una nuova figura istituzionale, il sindaco-genitore.
Da quando la città è al centro delle cronache per via dei manganelli usati dalle forze dell’ordine per impedire a un corteo per la Palestina neanche troppo imponente di entrare in Piazza dei Cavalieri, quella della Scuola Normale Superiore, il primo cittadino si affanna a prendere posizione come genitore. Michele Conti, al governo della città del 2018, deve molto del consenso ottenuto a questa specifica capacità di “non buttarla in politica”, rappresentandosi come un buon amministratore, un pisano, uno di noi. Quando i video sulle manganellate hanno cominciato a circolare, così espliciti nel mostrare la violenza sproporzionata sui corpi e le intenzioni di studenti giovani e giovanissimi, il sindaco si è giocato un altro jolly, lanciando un amo ai tanti genitori che in quelle ore stavano chiedendosi ragione dell’accaduto o magari stavano andando di corsa al pronto soccorso, dove ben 13 ragazzi sono stati portati, alcuni nel reparto di pediatria dove, come è noto, si viene ospedalizzati fino alla maggiore età. Mentre il sindaco cercava di capire come metterci una pezza, dovendosi occupare anche di chiedere ai consiglieri della sua maggioranza di centrodestra di cancellare immediatamente i post in cui davano dei “delinquenti” agli studenti e invocavano daspo e tutto il resto, i video sono diventanti virali, seminando sconcerto ma soprattutto un diffuso desiderio di reagire, di prendere posizione, di “fare qualcosa”, usando le proprie reti e le proprie forze. In poche ore sono stati organizzati due presidi, uno sotto il Comune, voluto dagli studenti e sostenuto da “Una città in Comune”, e uno sotto la Prefettura, lanciato dal “Progetto Civico e Progressista” (la coalizione che riunione le forze del centro sinistra in consiglio), a cui hanno aderito più di 30 sigle, dagli scout ai pacifisti al sindacato ai circoli Arci e Acli. I due presìdi sono confluiti in Piazza dei Cavalieri, in un corteo spontaneo e “non autorizzato”, con la complicità di chi, in fila in auto sui lungarni, l’ha lasciato passare. Cinquemila persone si sono ritrovate e guardate in quella stessa piazza cui era stato negato l’accesso al corteo degli studenti. Anche quelle immagini sono diventate virali, hanno fatto il giro dei social e del paese. Il sindaco-genitore non c’era, ma in quella piazza c’erano davvero tutti a condividere la sensazione di un risveglio, la presa di coscienza collettiva di un pericolo, una minaccia di cui tener conto e che, espressa contro quei giovani corpi, si è resa evidente. Non è stato il paternalismo a prevalere in città, negli adulti, in chi in piazza è sceso davvero da genitore, non è stato nemmeno l’istinto di “difendere i propri figli”, quanto piuttosto quello di difendere uno spazio ritenuto libero e diventato inaccessibile a forza di botte. Cinquemila persone in piazza hanno difeso per gli studenti e per tutti la possibilità di muoversi e di agire, agire politicamente. Per questo sono state così importanti le prese di posizione dei professori delle scuole, che mentre esprimevano sgomento rinnovavano il loro ruolo di educatori attraverso la denuncia, la condanna, la richiesta di giustizia, trovando le parole di una politica comune. Il punto in cui il corteo è stato bloccato è davanti a una scuola, il liceo artistico Russoli, e le riprese dall’alto delle manganellate le dobbiamo agli studenti affacciati alle finestre, molte anche ai professori che sono scesi in cortile cercando di ricondurre alla ragione i poliziotti. In uno dei video una professoressa, non trovando risposta alle ripetute richieste ai poliziotti di smettere di colpire gli studenti e di lasciarli andare, ha detto con fermezza: “Siamo pubblici ufficiali come voi, stiamo riprendendo tutto quello che fate”. Sono tanti i comunicati e le prese di posizione degli insegnanti delle scuole cittadine, ma quello degli insegnanti del liceo Russoli dice in poche righe tutto quello che c’è da dire ed è rilevante, politicamente e simbolicamente, che sia stato pubblicato sul sito della scuola.
Il direttore della Scuola Normale e la rettrice della Scuola Sant’Anna hanno espresso la loro condanna, chiedendo che venga fatta chiarezza, con toni e parole che vanno oltre quello dell’intervento dovuto; lo stesso ha fatto il Rettore dell’Università di Pisa. Dal 23 febbraio l’intera città sta cercando di capire, di non lasciar cadere la cosa: ci sono assemblee promosse dagli studenti, presidi, incontri dibattiti.
Il consiglio comunale di lunedì 26 febbraio, interamente incentrato su questo, non ha portato a molto: la maggioranza si è limitata a votare compatta l’ordine del giorno proposto dal sindaco (sconfortante, dove l’intera vicenda si risolve con un invito alla magistratura a fare il suo lavoro) e a rifiutare in blocco, bocciandoli uno dopo l’altro, i diversi ordini del giorno presentati dai consiglieri di minoranza, anche quelli che cercavano una mediazione. La presenza degli studenti, voluti anche in commissione consiliare due giorni dopo, non ha mosso la maggioranza verso un atto di chiarezza e nemmeno verso un gesto autentico di solidarietà, confermando un modo di considerare “i ragazzi” che nega loro la soggettività politica che essi rivendicano con forza, così come rivendicano le ragioni del loro essere in piazza: cessate il fuoco in Palestina, stop al genocidio.
La strategia intrapresa dalla destra, in città e nel paese, continuando ad alimentare le fake news su presunti infiltrati e sulla presunta intenzione degli studenti di marciare contro la Sinagoga (da tutt’altra parte) non sta trovando l’appoggio della città. Non basterà infantilizzare il corteo, instillare dubbi su “l’autonomia di pensiero dei minorenni” (è stato detto anche questo in consiglio comunale). È chiaro a tutti che la giovane età dei manifestanti è un aggravante per il comportamento tenuto dalla polizia, che, oltre a usare una violenza senza senso, ha chiuso le vie di fughe impedendo ai ragazzi di sottrarsi ai manganelli.
“Violenza chiama violenza”, ha detto impudicamente una consigliera di maggioranza prendendo posizione “contro la gogna mediatica a cui sono sottoposte le forze dell’ordine”. Non sembra. Quello che questa ha violenza ha chiamato è una città che ritrova sé stessa oltre l’improbabile corredo di stendardi e bandiere che la vorrebbero riportare a un unico punto della storia: la gloria delle repubbliche marinare. Pisa sembra aver ritrovato tutta un’altra storia mettendosi sui passi di chi pensando di essere libero di manifestare il proprio dissenso ha scoperto che sta diventando molto difficile, per tutti.
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