Materiali

La lunga strada di sabbia, oggi

Michael Ernst ripercorre il viaggio sulle coste italiane raccontato nel 1959 da Pier Paolo Pasolini e Paolo Di Paolo per la rivista "Successo". Si specchia nel passato, insidiato dalla persistente nostalgia del tempo che corre in fretta, dalla paura di aver omesso qualcosa, persino dalla propria vanità.
Pubblicato il 30 Maggio 2024
Cultura, Materiali, Scritti, Temi, Materiali

Purtroppo, da quando Pier Paolo Pasolini e Paolo Di Paolo compirono il viaggio lungo le coste italiane che De Fiore rivisita sulla scorta di recenti iniziative editoriali, l’impurità dell’aria che respiriamo è diventata una faccenda molto più letterale di quanto non sia nel celebre incipit delle Ceneri di Gramsci. Gli anni trascorsi dal 1959 sono precisamente quelli nei quali prima si è incubata, diciamo fino al 1990, e poi è esplosa la crisi dei nostri rapporti con l’ambiente, ormai vicinissima, in senso tecnico, a veri e propri punti di catastrofe. Per tanti aspetti, le coste sono un luogo elettivo delle sue manifestazioni, e lo diventeranno sempre di più, viste le pressioni attese dal Sud del mondo. Dio solo sa che cosa troveremmo a rifare il viaggio tra altri sessant’anni: a volte, può sembrare meglio non pensaci. E invece, alquanto paradossalmente, il primo e migliore antidoto contro lo sconforto sta nella residua lucidità che ancora possiamo esercitare nel non “tirare pietosi veli sulla realtà” – come pure nel provare a unire ai più severi accertamenti delle cose le risorse della comprensione artistica.

***

Anche se in questi giorni in cui scrivo, almeno qui a Roma, “non è di maggio questa impura aria”, ormai la stagione è avanzata, non tarderà l’estate e le spiagge si affolleranno lungo tutta la penisola. I giornali già danno notizia delle bandiere blu e gli istituti di ricerca avanzano previsioni su quanti italiani potranno concedersi una vacanza e, nel caso, di quanti giorni. Nel frattempo, quanto e come è cambiato il paesaggio costiero italiano?

Già gli estremi – Ventimiglia a ovest, Lazzaretto a Trieste a est – sono certo diversi da quando, nel 1959, segnavano il lunghissimo percorso di Pier Paolo Pasolini e Paolo Di Paolo lungo le coste italiane. La prima località costiera, allora permeabile transito con la Francia, è oggi la blindata ultima spiaggia per i migranti che arrivano dal sud del mondo. A est, la località friulana marcava il confine con una nazione – la Jugoslavia – che non c’è più, e oggi introduce in Slovenia. Diversità, molte, e invarianze, poche, sono state di recente annotate da un freelance tedesco, Michael Ernst, che da solo ha percorso nuovamente su una Lancia Kappa coupé (a suo modo, anch’essa un’auto d’epoca) quella “lunga strada di sabbia” che il settimanale “Successo” (anch’esso scomparso) aveva richiesto di percorrere ai due Paoli, al trentasettenne scrittore e al trentaquattrenne fotografo: Pasolini, sulla Millecento messagli a disposizione dall’amico Fellini, Di Paolo sulla sua MG coupé carrozzata Bertone.

Dopo il primo tratto, i due capirono di esser partiti con obiettivi diversi. Nella prefazione alla “sua” edizione di La lunga strada di sabbia, pubblicata recentemente in Germania (teNeus, 2023, con testi in italiano, tedesco e inglese), Di Paolo sostiene che «Pasolini cercava un mondo perduto di fantasmi letterari, un’Italia che non esisteva più. Io cercavo un’Italia che guardava al futuro. Ho concepito il titolo La Lunga strada di sabbia significando il cammino faticoso percorso dagli italiani per raggiungere il benessere e le vacanze dopo la guerra». La nuova edizione tedesca di Di Paolo, rispetto all’italiana edita da Contrasto (2014) bene illustrata da Philippe Séclier, è arricchita da circa duecento fotografie originali, delle quali all’epoca fu possibile pubblicare sulla rivista solo una piccola selezione di quarantasette immagini. Foto che mostrano paesaggi e persone, vita cittadina e, soprattutto, le spiagge di un’altra Italia, rispetto a oggi.

Ernst ha pubblicato un estratto del suo resoconto sulla “Frankfurter Allgemeine” e ne ha fatto anche una seguita trasmissione radio, all’indomani della pubblicazione di una nuova edizione tedesca del libro, illustrato però da foto di Paul Almasy (Die lange straße aus Sand, Corso, 2023, postfazione di Peter Kammerer) e in attesa di dare alle stampe per intero il proprio resoconto del viaggio ripetuto, sulle orme dei due italiani.

Ma che senso ha oggi, in piena guerra europea tra Russia e Ucraina, ripercorrere quel tragitto vacanziero di quattromila kilometri? Cosa cercavano Pasolini e Di Paolo e che cosa troveremmo ai nostri giorni lungo quelle strade, su quelle coste? Azzardiamo una risposta. Pasolini, percorrendo le coste sabbiose d’Italia, non si riprometteva soltanto un’esplorazione dei luoghi. Contava di dar conto dei nuovi italiani, così come li cercava il sodale fotografo, la gente che d’estate affolla gli arenili (il reportage si svolse tra fine giugno e i primi di settembre), una quindicina d’anni dalla fine della guerra. Quelle stesse persone che, di lì a non molto, Pasolini avrebbe intervistato in Comizi d’amore. E, insieme, il viaggio provocava e innescava l’incontro tra la sua individualità tormentata, ma sempre aperta agli altri, e quella gente italiana uscita dal fascismo e dalla Resistenza e appena coinvolta dal boom economico. Uomini e donne che stavano rifacendo il Paese, marciando però verso l’omologazione e che sarebbero andati incontro, con gli anni, a quella che Pasolini considerava una vera mutazione antropologica in negativo, in nome di uno sviluppo sganciato dal vero progresso. Per questo motivo poeta e fotografo sono d’accordo nel saltare le località a costa alta, pur splendide, punteggiate magari dalle prime ville borghesi, ma impervie per la gente comune.

Le annotazioni di Pasolini, e gli scatti di Di Paolo, pur fuori sincrono, si riallineano poi nelle tre puntate del reportage su “Successo” nel comune fuoco d’interesse per i volti, l’abbigliamento, i costumi, gli sguardi di quegli italiani in vacanza, tutti tesi, scrisse Pasolini, «a impegnarsi con tutte le forze per essere felici, e quindi esserlo realmente, a guardare, a mostrarsi, in una sagra d’amore». Le incomprensioni in viaggio non minarono il rapporto tra lo scrittore e il fotografo. Pasolini, per esempio, già a Genova aveva fotografato a sua volta Di Paolo, poco dopo l’inizio del tour. E anni dopo gli chiese di curare per lui un servizio fotografico a Roma, dal quale provengono alcune delle foto più note delle molte che ritraggono Pasolini: sono del fotografo scomparso l’anno scorso, per esempio, le immagini di Pasolini al Monte dei Cocci di Testaccio.

Fin dalla prima tappa, le sensazioni perspicaci del nuovo cronista fanno da contrappunto alle antiche del poeta e ai folgoranti scatti in bianco e nero del fotografo: a Ventimiglia, «mare increspato, nuvole a ondate e luce mutevole; come non liberarsi dalla tetra realtà? Ebbene, la realtà vi raggiunge lo stesso, e anche molto rapidamente. Intorno ai Giardini Pubblici imperversa la frenesia del mercato del venerdì, con furgoni parcheggiati accanto a furgoni in doppia fila e bancarelle su bancarelle. Ecco le importazioni più a buon mercato dall’Estremo Oriente, migliaia di calzature di insulsa brutalità. Cinture, calze, calzettoni e corsetteria la cui mostruosità sembra inconcepibile che le persone possano volontariamente indossare». C’è anche della bellezza, appannaggio ad esempio della «donna africana, dagli occhi seducentemente sorridenti, che non solo trae la propria sicurezza dall’abbigliamento folkloristico e dal suo perfetto italiano, ma dall’impegno con cui è intenta a vendere prodotti artigianali disposti con grande gusto estetico, mentre non fa mancare attenzioni ai propri bambini». Al calar della sera, va in scena invece lo spudorato passeggio di giovani e giovanissimi: avida solitudine, che il cronista si chiede se Pier Paolo avrebbe apprezzato.

Poi giù, a sud lungo l’Aurelia, attraversando quei luoghi – Sanremo, Imperia, Savona, Genova, Rapallo, Sestri Levante – un tempo perle di una collana splendente di sole e di fiori, e che oggigiorno costituiscono un continuum senza confini, un’unica regione metropolitana dalle dimensioni incredibili. Tappa a Sanremo, patria – dicono – della canzone italiana. Direttamente di fronte al casinò sosta un’intera fila di veicoli di grandi dimensioni, limousine e SUV di lusso. Hanno tutti il parabrezza oscurato di nero, alcuni hanno targhe russe, altri ucraine. Uno dietro l’altro, tutti insieme. E la guerra? Di chi saranno i soldi che i proprietari si stanno giocando in questo momento? Di certo non sembrano auto di rifugiati.

Ecco Portofino, ai tempi del viaggio pasoliniano al contempo borgo di pescatori e già “teatro per miliardari”, ancora non toccato però dal turismo di massa. Adesso, paradossalmente, è tra le località che più rassomigliano ad allora, al netto delle botteghe delle griffe di lusso: la ricchezza dei nuovi proprietari ha preservato le casette multicolori, dopo averne espropriato ovviamente gli antichi abitanti.

La Kappa continua a rollare curva su curva. Le Cinque Terre sono alte sulla costa, quindi aggirate, e si prosegue dritti per La Spezia e Lerici, dove Pasolini viene colpito da un’adolescente in costume: «Una ragazzina del popolo: ma i suoi precoci quattordici anni fanno quasi paura. Così passa la sua prima adolescenza una Manon: a esibirsi, calda, popolana, innocente e già perfida, già conscia non del bene, ma del male che c’è nei suoi seni appena spuntati, nei suoi capelli biondi ancora da bambina». La stessa cura nella descrizione, nell’immaginare il paesaggio interiore dei soggetti che Di Paolo metteva nel ritrarre le persone, come la foto famosa che blocca l’ammirazione quasi insolente di due maschi in Vespa che lumano due belle pupe, evidentemente turiste.

Passata Livorno, subito eletta dal poeta a sua città preferita, il passaggio per Ostia offre ad Ernst il pretesto per tornare sui luoghi dell’assassinio di PPP, e per riproporsi quelle domande che da cinquant’anni attendono inutilmente risposta: Pino Pelosi era solo? Che ruolo hanno giocato, se lo hanno avuto, i servizi? E ha avuto un ruolo anche la malavita organizzata dei tempi?

Il sud tirrenico scorre, a mano destra il mare lucido a volte dardeggiato dal maestrale, sempre più meridionale, oltre le curve insensate e sublimi della Costiera, fino all’amata (da Pier Paolo come da Ernst) Ravello, e quindi la Calabria, già fonte allora di polemiche e adesso… Adesso, il tedesco è a Steccato di Cutro, la triste spiaggia sulla quale nel febbraio 2023 sono morti 94 migranti. Quasi sessant’anni fa, a seguito del reportage, il sindaco di quel minuscolo paese aveva denunciato Pasolini che aveva definito Cutro “villaggio dei banditi”. In una lettera alla comunità Pier Paolo si era poi spiegato: «I banditi mi sono molto simpatici. Quindi da parte mia non c’era la minima intenzione di offendere i calabresi e Cutro. Comunque, non so tirare pietosi veli sulla realtà: e anche se i banditi li avessi odiati non avrei potuto fare a meno di dire che Cutro è una zona pericolosa, ancora in parte fuori legge […]. Quanto alla miseria, non vedo perché ci sia da vergognarsene. Non è colpa vostra se siete poveri ma dei governi che si sono succeduti da secoli, fino a questo compreso». L’inviato della “Frankfurter” commenta, sessantacinque anni dopo: «Anche io mi sento come nella scenografia di un film western. Nessuno per strada, voci di uomini rumorose dietro una porta solo accostata, mentre si sporge il viso di una donna di almeno cento anni che chiude rapidamente la persiana quando mi vede guardare verso di lei. Non resterò un’ora in questo posto, anzi nemmeno mezza!».

Il sentore della guerra, avvertito a Sanremo, torna appena Ernst – lasciata la costa orientale siciliana – inizia a risalire lo stivale. Il mare è adesso lo Jonio. Passato Taranto e la sua complessa, tragica storia di acciaierie, sviluppo, occupazione e inquinamento, ecco biancheggiare Gallipoli: il cronista viene ricompensato dal sole più caldo del viaggio e da un eccellente bicchiere di vino, fino a quando la spiacevolezza del reale lo raggiunge di nuovo con il tuono dei caccia, alzatisi da Gioia del Colle. Volano bassi sul mare, disegnando cerchi tonanti e rendendo evidente lo stato di tensione nel Mediterraneo, già palese negli affogati di Cutro. Magari sulle coste del Mar Nero le spiagge saranno altrettanto belle, riflette Ernst, ma gli aerei là ora portano morte e distruzione, e il piacere offerto da Gallipoli scema rapidamente.

La risalita sulla costa adriatica, nella rievocazione, è veloce, si susseguono rapide le tappe segnalate da Pasolini: scorrono come su un nastro assolato i paesi del Gargano, e poi Ortona, Rimini e le sue “spiagge bilingui” (come le definiva lo stesso Pasolini ginnasiale che a Riccione passava la villeggiatura), lì dove «il pratico la vince su tutto; la spiaggia si fa funzionale: bagni d’acqua e di sole»; e poi Ravenna, e di lì «dopo Porto Corsini, la Bellezza ritorna. E allora, correre in macchina, su verso Chioggia, diventa una vera, esaltante avventura, per gli occhi, per il cuore». Fino a Venezia, luoghi e genti che avrebbero meritato lunghe soste pensose.

Infine, anche questo ripercorrere finisce. Siamo al confine sloveno, ed Ernst si accomiata dai testi del primo Paolo e dalle immagini iconiche dell’altro Paolo, provando una gioia contenuta, per la fortuna di esser stato insidiato solo a tratti, in alcuni giorni, anche se più volte, dalla malinconia, dalla persistente nostalgia, dal tempo che corre in fretta, dalla paura di aver omesso qualcosa, persino dalla propria vanità. Tutto tornerà presto nel libro in preparazione, con maggior dovizia di particolari e di sensazioni. I momenti malinconici vengono spazzati via a Lazzaretto, la spiaggia triestina di frontiera con la Slovenia: «Qui, riconosco di nuovo la descrizione di Pasolini, mi siedo nello stesso semplice caffè sulla spiaggia, mi avvicino al confine e avverto di esserti davvero grato, Pier Paolo».

Qui il PDF

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *