Democrazia, Internazionale, Politica, Temi, Interventi

I risultati delle elezioni del 1° settembre in due Länder della Germania orientale non possono essere definiti altro che disastrosi: In Turingia, l’AfD ha ottenuto il 34,2%. È la prima volta che un partito di estrema destra è diventato il gruppo parlamentare più forte nella Germania del dopoguerra. In Sassonia, questo non si è realizzato per un soffio: qui la CDU al governo (34,4%) ha ancora una volta superato l’estrema destra, ma solo per un sottile margine; l’AfD ha raggiunto il 34%.

In Italia, due anni fa sono saliti al Governo gli eredi del partito che cento anni prima aveva guidato la prima dittatura autoritaria di massa della storia. La Germania impiegherà gli undici anni che ha impiegato Hitler per emulare il suo modello Mussolini? Dopo questa domenica in Turingia e Sassonia, c’è da temere che sarà più veloce.

Questo successo elettorale è già spaventoso – e in Turingia è stato ottenuto da un partito il cui leader, Björn Höcke, è stato nuovamente processato per aver usato slogan nazisti poche settimane prima delle elezioni, dopo essere stato certificato come “fascista” da un tribunale amministrativo nel 2019. Le conseguenze di questa domenica sono così drammatiche da andare ben oltre i due Parlamenti statali. Anche senza far parte di alcun Governo e sebbene il famoso firewall (Brandmauer) sia ancora in piedi negli Länder e a livello nazionale – nessuna coalizione, nessuna cooperazione tra i democratici e l’AfD – un post-nazismo normalizzato sta influenzando in modo molto profondo la politica tedesca, da diversi anni ormai. Tra l’altro, come in Italia, la storia personale e i processi dell’ex insegnante di storia Höcke in particolare, così come il suo ruolo dominante nel partito federale, sarebbero una ragione sufficiente per chiedersi quanto “post” sia effettivamente questo post-nazismo.

Una reazione diffusa nella stampa e nella politica dopo quel devastante 1° settembre è stata quella di minimizzare. L’edizione online del settimanale borghese “Die Zeit” ha riportato che dei poco meno di due milioni di abitanti della Turingia, “circa 400.000 hanno votato per l’AfD domenica. Ciò equivale all’incirca alla popolazione di Berlino-Mitte”. E ancora: “Le posizioni dell’AfD sono quelle di una minoranza”.

Quello che il commentatore dimenticava è che molte di queste posizioni godono da tempo di una maggioranza (di governo) a livello nazionale: nella settimana successiva alle elezioni, Nancy Faeser, la Ministra degli Interni socialdemocratica ha ordinato controlli a tutte le frontiere tedesche – in precedenza un tabù per il suo partito, per non parlare del fatto che questo provvedimento viola la legge europea. L’ultimo tentativo di imitare l’AfD, ma solo uno dei tanti. Olaf Scholz, il Cancelliere federale, faceva campagna a favore della “deportazione coerente” già anni prima della catastrofe del 1° settembre. E l’opposizione democristiana non conosce più confini retorici: in un discorso tenuto nel Brandeburgo, dove il 22 settembre si eleggerà anche il nuovo Parlamento, il leader della CDU Friedrich Merz ha ancora una volta attribuito la colpa delle carenze dell’assistenza sanitaria agli immigrati. Si dice che siano anche responsabili della carenza di alloggi e delle scuole pubbliche poco attraenti. Ai tempi della suo predecessora Angela Merkel, nessuno avrebbe pensato che queste frasi sarebbero state pronunciate da un politico di alto livello della CDU.

La democrazia, lo Stato di diritto, l’uguaglianza dei diritti per tutti, l’aiuto ai perseguitati: noi tedeschi nati nel dopoguerra, in particolare, li consideravamo un patrimonio sicuro, una lezione indistruttibile dai crimini del nostro Paese, soprattutto dalla Shoah e dalla guerra mondiale che la Germania aveva scatenato. Tutto questo sembra sciogliersi come ghiaccio al sole. Eravamo forse tutti democratici perditempo, che non si rendevano conto che la democrazia doveva essere difesa? Abbiamo fatto troppo facilmente e volentieri affidamento sul fatto che le strutture democratiche, le regole e la nostra costituzione sarebbero state abbastanza forti da impedire una fine come quella di Weimar, la prima democrazia tedesca?

I giuristi di verfassungsblog.de, un forum per le questioni di diritto costituzionale, hanno infranto questa illusione qualche mese fa con un esperimento di pensiero. Hanno mostrato come sarebbe relativamente facile svuotare la Legge fondamentale tedesca mantenendo le sue lettere e riempire il vuoto in modo autoritario. Una famosa frase dell’ex giudice costituzionale Ernst-Wolfgang Böckenförde (1930-2019), poco compresa in tempi migliori, sta dimostrando solo ora la sua importanza: “La democrazia vive di precondizioni che non può garantire di per sé”. Dove sono ora le nostre precondizioni? Quello che è successo in Ungheria e in Polonia non dovrebbe poter accadere anche qui? E noi, nipoti della Germania nazista, saremmo in grado di raccogliere l’energia democratica, la determinazione delle polacche e dei polacchi e tornare indietro nel tempo?

Finora sono mancate energia e determinazione. I partiti che si considerano democratici hanno reso facile al partito che si definisce “Alternativa per la Germania” vendere il proprio nome come un marchio di qualità. Innanzitutto impedendo alternative democratiche. Non c’è bisogno di guardare alla Francia, dove il Presidente della Repubblica si è rifiutato di dare il mandato di governare alla vittoriosa alleanza di sinistra. In Germania, per molti anni ci sono state grandi coalizioni tra SPD e CDU, anche se i socialdemocratici avrebbero potuto governare con la sinistra, carne della loro stessa carne. Nel frattempo, questa alternativa democratica è stata distrutta, la Linke è ridotta in macerie. L’ultima volta che una candidata socialdemocratica si è candidata a Berlino, ha abbandonato l’alleanza sinistra-verde dopo le elezioni e da allora governa con i suoi rivali democristiani.

Contemporaneamente i partiti democratici si sono astenuti dall’assumere una linea dura contro la crescente destra. Al contrario, hanno coltivato la sensazione di dover adottare essi stessi gli slogan della destra per togliere il vento dalle vele dell’originale. Forse è un argomento per la socialpsicologia il motivo per cui l’élite politica democratica – compreso gran parte dei media – tenti ripetutamente l’autocritica, giungendo curiosamente alla conclusione di non aver “guardato in bocca” abbastanza al popolo o di non aver preso sul serio le “legittime preoccupazioni” di esso. Naturalmente, questo non si riferisce ai tagli sociali neoliberisti, che pure la socialdemocrazia tedesca onora da decenni, ma alla presunta preoccupazione della popolazione – quella autoctona, ovviamente – di dover condividere lavoro, prosperità e welfare con gli immigrati e di temere per la propria vita a causa loro.

Che la mitica gente comune sia effettivamente preoccupata non è mai stato dimostrato da un politico che abbia fatto questa affermazione. L’affermazione che la migrazione distrugge la prosperità è altrettanto raramente sottoposta a riscontro con la realtà. Accademici di varia estrazione politica hanno dimostrato più volte il contrario, ma lo slogan viene ripetuto con tale ostinazione che da tempo ha annientato l’evidenza. Debbo a un italiano un’intuizione per la quale probabilmente ormai e tardi: “Tutti ripetono che la migrazione è la nostra rovina, ogni giorno”, mi ha detto Filippo Miraglia, portavoce della Tavola rotonda sull’integrazione in Italia, quando l’ho intervistato poco tempo fa, “ma non c’è un solo partito, in nessun paese, che dica ogni giorno la verità, cioè il contrario”. Così come non c’è nessun giornale o emittente televisiva che lo faccia. La politica e i media mainstream si rafforzano così a vicenda in modo fatale.

L’autoritarismo oggi non ha più bisogno di colpi di Stato militari o di elezioni truccate, ha scritto recentemente il giurista Maximilian Steinbeis nella rivista politica mensile Blätter für deutsche und internationale Politik, riferendosi in particolare alle elezioni in Turingia. Steinbeis è il gestore del già citato blog costituzionale e, insieme ai suoi coautori, ha analizzato la Turingia come un modello di presa di potere da parte della destra. “Si impadronisce delle istituzioni dall’interno…, anche e soprattutto nelle nazioni madri della democrazia per eccellenza”. In effetti, la costituzione democratica offre “opportunità per far deragliare i dibattiti e bloccare le decisioni”. Potrebbe persino “bloccare i processi democratici”. Sembra proprio che questa operazione stia ora prendendo slancio.

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