Intervento tenuto alla riunione della “Via Maestra” dell’08.02.2025.
Com’era prevedibile sulla sentenza di inammissibilità della Corte, è in questi giorni maturato un ampio e articolato confronto politico e istituzionale che ha visto coinvolti associazioni, partiti politici, sindacati e numerosi costituzionalisti. Per la verità, rispetto a quanto ci era già stato “comunicato”, la sentenza non dice molto di più. La decisione non risolve alcune elementi di incoerenza già presenti nel comunicato. E da parte nostra rimangono non poche perplessità su alcuni suoi contenuti, sui contenuti della decisione della Cassazione e, soprattutto, sul modo in cui sono venuti dipanandosi, in questa vicenda, i rapporti fra le due Corti.
Ciò non deve però indurci a cedere allo sconforto, al vittimismo, alla tentazione di tirare i remi in barca. Anche perché non ve ne sono le ragioni. La Corte ha accolto gran parte delle nostre istanze. E nell’accoglierle ha demolito la legge Calderoli, non i motivi della nostra opposizione. In termini tecnici, la sentenza n. 10/2025 non ha dichiarato inammissibile il quesito referendario così come formulato dal Comitato promotore e sottoscritto da un milione e trecentomila cittadini, ma il quesito «come risultante all’esito della sentenza n. 192 del 2024».
E l’intervento della Corte sulla legge non è stato un intervento marginale o di contorno, perché il giudice costituzionale ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale di molteplici disposizioni della predetta legge; ha dichiarato l’illegittimità costituzionale consequenziale di altre disposizioni della medesima e di altra legge (l. 197/2022); ha fornito l’interpretazione costituzionalmente orientata di ulteriori disposizioni» (sent. 10/2025).
La Corte ha quindi giocato d’anticipo, travolgendo, già in sede di giudizio di legittimità, l’asse politico della legge Calderoli perché incostituzionale. E su molti altri punti ha fornito un vademecum che il legislatore è tenuto a rispettare se non vuole esporsi al rischio di un’ulteriore censura d’incostituzionalità (si pensi al riconoscimento del potere del Parlamento di emendare o di respingere i contenuti delle intese concluse fra Regioni interessate e Stato). Di qui l’esigenza segnalata dalla Corte di un nuovo intervento legislativo.
Il solco è stato quindi tracciato. E fuori da questo quadro non mi pare esistano margini per ulteriori interventi di natura referendaria o soluzioni affini concretamente esperibili. Dobbiamo liberarci dell’ossessione della legge Calderoli. Vi ha già provveduto la Corte.
Certo, la partita non è chiusa. E cosa accadrà nel prossimo futuro non possiamo prevederlo con certezza. Il Governo, forzando la mano, proverà a procedere alla conclusione delle intese già avviate pur in assenza di una nuova normativa? Tenterà di riscrivere la legge? Assisteremo all’avvio di una nuova stagione di collaborazione, fra le componenti della maggioranza più critiche verso la legge Calderoli e le forze di opposizione più sensibili al tema dell’autonomia differenziata, per scrivere una nuova normativa?
Tutto è possibile. Ciò che invece, da parte nostra, è necessario è mantenere alto il livello della mobilitazione democratica e rafforzare l’opposizione sociale nel Paese. Dobbiamo provare a catalizzare lo spirito, la passione e il successo che si sono manifestati, questa estate, in occasione della raccolta delle firme, per farne massa critica. Anche al di là della pur stringente e cruciale questione dell’autonomia differenziata.
Opponendoci a essa non abbiamo posto una sterile questione di riparto di competenze e di clausole residuali. Ma abbiamo intrapreso una lotta per i diritti e per l’eguaglianza nel segno della Costituzione. E una lotta per i diritti e per l’eguaglianza è quella che anima e sorregge l’appuntamento referendario previsto per la prossima primavera per i diritti del lavoro e per l’estensione della cittadinanza.
Una sfida non facile e lo sappiamo. Per questo è necessario avviare sin da ora una straordinaria mobilitazione nel Paese, che sia in grado di convogliare la passione democratica emersa la scorsa estate e, per altre vie, sfociata nelle recenti proteste giovanili contro il ddl Sicurezza. L’offensiva delle destre è ampia e articolata, ma ha un bersaglio comune: la dissoluzione dei diritti costituzionali. La risposta del fronte democratico, a difesa della Costituzione, dovrà esserlo altrettanto.
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