I giudici della Corte Costituzionale che si sono pronunciati per l’ammissibilità hanno chiarito che, nel caso di approvazione, la vecchia legge 91 del 1992 sull’immigrazione sarà modificata solo su un punto, il requisito di 10 anni di residenza legale in Italia per poter presentare richiesta di cittadinanza. Un punto importante, che spiana la strada alla sua riduzione a 5 anni. Restano dunque immutati i soggetti che possono fare richiesta, gli altri requisiti obbligatori, la natura di atto discrezionale del provvedimento di concessione della cittadinanza, i tempi entro cui ottenerlo1.
Stabilizzazioni, nuove cittadinanze, studenti senza cittadinanza italiana
Sebbene l’Italia non sia tra i paesi che concedono più facilmente la cittadinanza (i 10 anni di residenza lo dimostrano) negli ultimi anni è sensibilmente cresciuto il numero dei neocittadini. Nel 2022, sono stati 213.716 (+76% rispetto al 2021), il 21,6% delle nuove cittadinanze rilasciate in ambito UE. Nel 2023 sono 196.000. Un andamento in controtendenza rispetto ai permessi di soggiorno,. che nello stesso anno sono stati solo 330.730, con un calo del 26,4% sul 2022.
Il trend delle nuove cittadinanze si spiega con la forte consistenza in Italia di un’immigrazione residente anche da decenni, non solo “prime” ma anche “seconde” e talora “terze” generazioni, e con la sua composizione. Negli ultimi 5 anni gli stranieri legalmente residenti si sono stabilizzati attorno ai 5 milioni, di cui 1.300.000 di provenienza comunitaria. I modesti tassi di crescita sono dovuti oltre al rallentamento dei flussi, anche a trasferimenti in altri paesi UE (numerosi sono stati quelli negli anni del Covid, ma oggi ce ne sono di ascrivibili anche ai “cervelli in fuga”) e a una riduzione della natalità anche nell’immigrazione. I neocittadini sono in buona misura molto giovani, nel 2022 il 37% ha meno di 19 anni.
Un indicatore di stabilità è dato dall’alto numero di studenti con background migratorio. Nel 2022 gli studenti senza cittadinanza italiana (il Ministero dell’Istruzione non censisce quelli già diventati cittadini), hanno superato i 900.000, l’11% del totale studenti, una percentuale destinata a crescere per l’andamento demografico negativo degli italiani per nascita. Più del 67% sono nati in Italia, altri sono arrivati in età prescolare, altri più tardi per ricongiungimenti familiari, poi ci sono i minori non accompagnati protetti fino ai 18 anni da convenzioni internazionali. La robusta crescita delle iscrizioni alla scuola superiore, sempre di più anche ai licei, segnala la crescente propensione delle famiglie all’istruzione medio-lunga, un indicatore di stabilità e di investimento su un futuro in Italia.
L’Italia sono anch’io
È dalle seconde generazioni che è venuta negli anni 2000 la spinta a modificare la legge 91/1992 sull’accesso alla cittadinanza. È infatti ingiusto, e anche poco lungimirante, che centinaia di migliaia di ragazzi che crescono da noi, imparano a scuola la lingua e la cultura italiana, hanno esperienze vita e di formazione generative di legami, appartenenza, partecipazione, non possano richiedere la cittadinanza se non alla maggiore età. Restando per anni, proprio quando si scelgono percorsi di studio, di qualificazione, di lavoro, condizionati dalla perdita della protezione speciale dovuta ai minori ma senza certezze sul se e sul quando potranno essere riconosciuti cittadini. Sappiamo come è andata. Le proposte legislative di anticipare la cittadinanza legandola all’esperienza scolastica si sono tutte arenate o non hanno potuto completare l’iter di approvazione, come è successo nel 2015. Una porta in faccia che ha lasciato una scia di frustrazioni, risentimenti, sfiducia, con il rischio di estraneità e di identificazioni su base solo etnica e religiosa pericolose per la democrazia.
Il referendum è oggi la sola opportunità concreta di un decisivo cambio di passo
Una proposta di buon senso, quella della riduzione a 5 anni della residenza legale, che prende finalmente di petto la questione, non limitandola agli studenti ma rivolgendola ai maggiorenni extracomunitari che, acquisita la cittadinanza, la trasmettono linearmente ai figli. Dieci anni di residenza legale senza interruzioni significano, nei fatti, una fase molto più lunga in un paese che non prevede permessi di soggiorno per la ricerca del lavoro, centellina regolarizzazioni e sanatorie, prevede – la Bossi-Fini – che si possa perdere il permesso perché si è perso il lavoro. Lasciare nell’illegalità per periodi più o meno lunghi un gran numero di residenti non è solo una intollerabile lesione dei diritti di persone che sono ormai parte integrante della società e che sono necessarie al mondo del lavoro e spesso anche alla nostra vita familiare. Significa anche esporre loro e noi agli effetti nefasti della ricattabilità, del lavoro nero, della precarietà, dell’evasione fiscale, e di rischi anche peggiori. Continuare a rendere il più possibile stretta, lunga, impervia, faticosa la strada dell’integrazione a pieno titolo non serve, notoriamente, neppure ad esercitare una deterrenza nei confronti di nuovi flussi in ingresso. Perciò votare sì al referendum per la riduzione dei tempi di ingresso nella cittadinanza è una scelta non solo buona e giusta ma anche intelligente. Non c’è dubbio che di giustizia e di intelligenza ne abbiamo un gran bisogno.
Nota
1 In sintesi: a) i soggetti che possono avanzare la richiesta sono gli stranieri maggiorenni extracomunitari (per i comunitari restano in vigore i 4 anni di residenza legale); b) i requisiti richiesti sono adeguate fonti di sussistenza, un certo livello di conoscenza della lingua italiana, l’ottemperanza agli obblighi tributari e contributivi, l’assenza di cause ostative collegate a ragioni di sicurezza della Repubblica e all’ordine pubblico; c) l’amministrazione pubblica, oltre a verificare l’esistenza dei requisiti oggettivi, deve considerare (come precisato dalla giurisprudenza) l’effettiva integrazione del richiedente. Niente di automatico, insomma (ma l’eventuale non concessione deve essere motivata); d) tempi previsti per l’ottenimento del provvedimento sono 24 mesi, con possibile proroga a 36; e) il dimezzamento da 10 a 5 anni del tempo di residenza legale per presentare la richiesta è in linea con la normativa di gran parte dei paesi europei, tra cui Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Svezia, Gran Bretagna.
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