Raccogliendo la sollecitazione Contro l’astensionismo, che i referendum siano votabili da tutti!, pubblicata su questo sito ai primi di gennaio 2025 sulla questione del voto delocalizzato, Maurizio Landini e Riccardo Magi, nella Conferenza Stampa del 5 marzo 2025, hanno posto con grande enfasi la questione (purtroppo chiamandola “diritto di voto per i fuori sede”, ridenominazione, come vedremo infelice) e l’hanno poi portata all’attenzione del Governo nel successivo incontro, ottenendo che fosse trattata nel decreto leggo 19 marzo 2025, n. 27: Disposizioni urgenti per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2025.
Lo spirito dell’iniziativa che avevamo lanciato non era solo di facilitare partecipazione alle votazioni dei referendum per chi vive (cioè ha domicilio) in luogo diverso da quello della residenza, ma anche fare un significativo passo avanti per “assicurare [a tutti] il pieno esercizio dei diritti civili e politici in occasione delle consultazioni elettorali e referendarie” come recitava la premessa del decreto legge 29.01.2024, n. 7, che ha permesso la sperimentazione del voto agli studenti fuori sede in occasione delle elezioni europee dell’8 e 9 giugno 2024. Ora che non si tratta più di una sperimentazione, il diritto va garantito a tutti gli elettori.
E invece la formulazione presente nel d.l. n. 27 è tale da introdurre delle ingiustificabili restrizioni che priveranno molti della possibilità di votare per i referendum. Infatti il d.l. (art. 2, comma 1) restringe l’applicazione del voto agli “elettori che per motivi di studio, lavoro o cure mediche sono temporaneamente domiciliati, per un periodo di almeno tre mesi nel quale ricade la data di svolgimento delle predette consultazioni referendarie” (da cui il termine “fuori sede”). E chiede loro (comma 3) di allegare “la certificazione o altra documentazione attestante la condizione di elettore fuori sede secondo quanto previsto dal comma 1”. In applicazione a questa formulazione, il Ministero degli Interni ha approntato un modulo con cui chi vuole usufruire del voto fuori sede deve fare domanda al Comune di temporaneo domicilio “almeno trentacinque giorni prima della data prevista per lo svolgimento della consultazione”, quindi nel caso dei prossimi referendum dell’8 e 9 giugno entro domenica 4 maggio.
Quella del domicilio, come quella della residenza, è una libera scelta del cittadino, che non è tenuto a fornire spiegazioni a nessuno. Ma mentre per chiedere la residenza si deve sottostare a delle verifiche da parte del Comune in cui si intende fissarla, il domicilio – come abbiamo tutti capito durante il Covid – non sottostà ad analoghi vincoli e può essere solo autocertificata da parte del cittadino, sotto la propria responsabilità. Quindi la richiesta di fornire “la certificazione o altra documentazione attestante la condizione di elettore fuori sede” è arbitraria e introduce un inutile ostacolo. Facciamo un caso concreto, che riguarda personalmente i firmatari di questo articolo: da 5 anni viviamo in un paesino della Liguria dove siamo venuti al momento del Covid e siamo rimasti. Non possiamo addurre ragioni di studio o lavoro essendo pensionati, possiamo addurre ragioni di salute in quanto stiamo qui perché la vita e più salubre, ma non possiamo documentare le cure mediche presso una qualche struttura.
Ma soprattutto perché dovremmo farlo? Riccardo Magi, radicale, ma tutte le forze politiche che dicono di credere nella democrazia liberale (quindi tutte, almeno a parole), dovrebbero essere sensibili al tema delle libertà individuali, al fatto che a nessun cittadino, per esercitare i propri diritti costituzionali, deve essere richiesto di certificare e documentare scelte che competono a lui solo.
Ed è pure inutile e arbitraria la richiesta che il temporaneo domicilio duri “per un periodo di almeno tre mesi” (altra richiesta presente nel comma 1): se anche una persona sapesse di essere in un Comune di verso da quello di residenza giusto nei giorni delle votazioni, perché non dovrebbe poter chiedere di votare lì? Forse qui affiora il timore, da parte di chi ha scritto la norma, di non poter più contare sulla spinta ad andare al mare (di craxiana memoria) per disincentivare il voto.
La prossima conversione in legge in Parlamento del d.l. n. 27 è il momento per chiedere la modifica dei commi 1 e 3 dell’art. 2 in maniera che sancisca davvero la volontà di “assicurare [a tutti] il pieno esercizio dei diritti civili e politici in occasione delle consultazioni elettorali e referendarie”.Facciamo appello alle forze politiche perché operino in tal senso.
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