Articolo pubblicato su “L’Unità” dell’08.04.2024.
Votando a favore del piano di riarmo europeo, il Pd calcola di giocare a lungo con il fuoco, ma le acrobazie verbali potrebbero non bastare per evitare le scottature. La politica è certo anche l’abilità di gestire l’ambiguità. Nella ressa per l’apprensione del potere è impossibile adottare la regola habermasiana del dialogo trasparente sempre orientato alla magia della reciproca comprensione. Finché in ballo ci sono l’influenza, il dominio, insomma la distribuzione dall’alto delle risorse, il delicato incastro di essere e sembrare, postulato da Machiavelli, rimane un cardine della contesa. E però, quando l’ambivalenza pare eccessiva, la scorza di opacità, da elemento fisiologico, si converte in confusione che lacera ogni credibilità.
Nei bei tempi andati, dovendo districarsi tra piazza e palazzo, il Pci coniò la formula del partito di lotta e di governo. Una mediazione tra le diverse sensibilità, che si concluse nondimeno con un nulla di fatto: né movimento né istituzione. Per il Pd è oggi tutto più sfacciato nel racconto della guerra. La segretaria avanza qualche riserva rispetto allo spirito di “vittoria” che imperversa nell’industria militare e nei leader europei? I suoi deputati la mettono subito in riga. Al preṡentatàrm i caporali di giornata rispondono stringendo più forte sul capo l’elmetto. Questa doppiezza riduce il Nazareno a teatro di una commedia, con il risultato esiziale di pregiudicare la flebile costruzione di un’alternativa – intanto Calenda è già altrove e lusinga la memoria della Meloni trasformando il palco di “Azione” in quello di “Azione Giovani”.
Con il sì al documento sulla cosiddetta “prontezza europea” che indica la Russia come “la minaccia più grave e senza precedenti per la pace nel mondo”, il Pd, più che da vecchio soggetto di lotta e di governo, ha agito semplicemente da partito di Letta e di Picierno. Se in epoca renziana l’intero studio televisivo non era sufficiente per contenere lo scontrino degli acquisti effettuati con i mitici “80 euro” in busta paga, adesso il foglietto da 1000 miliardi in panzer, obici e missili potrà coprire la distanza complessiva che separa l’Irpinia da Strasburgo. A ottant’anni dalla Liberazione dalla barbarie della Wehrmacht, senza ritegno rigonfiano d’oro le casse della rediviva Rheinmetall e affermano che con il riarmo teutonico stanno in realtà proteggendo la inerme democrazia europea dall’aggressione siberiana alle porte.
Con la Seconda guerra mondiale, le truppe di Italia, Germania e Giappone procurarono oltre 60 milioni di cadaveri. Queste tre potenze di sterminio dovrebbero difendersi solo con la fionda, tanti sono i crimini accumulati in passato. Ciò nonostante, invece di dire addio ai sogni d’acciaio, di chiudere i ruderi degli stabilimenti di Krupp e simili, organizzano le officine per una rinnovata economia di guerra. I bersagli degli statisti con lo zainetto della sopravvivenza sulle spalle sono individuati nelle due autocrazie (la Russia e la Cina, che hanno pagato con oltre 45 milioni di vittime la volontà di conquista dei tre custodi della civiltà allora fusi in un Patto tripartito). Accanto a Berlino e alla sua ritornante infatuazione per quel che sa fare meglio, cioè produrre in serie gli strumenti della crudele morte (nel 2023 è triplicato l’export tedesco in armamenti rispetto al 2018), si agita soprattutto Parigi, il secondo Paese al mondo nella esportazione di pezzi di artiglieria, con un presidente che ha più bombe che voti.
Anche Meloni, che ora dispone del terzo esercito continentale, non si accontenta di mantenere una capacità di gittata che è preceduta solamente da quella di Starmer e Macron. Per provocare ‘chi vuole l’Ue come una comunità hippie’, la Patriota prenota altri 60 miliardi all’anno in cingolati. Niente è più temibile, per la tenuta del costituzionalismo ferito, dell’ottusità di un liberalismo autoritario che espropria gli spazi di democrazia e marcia verso un indefinito stato di emergenza. Dopo l’impegno assunto a Bruxelles di educare i fanciulli alla nobile ferocia, che nei secoli distingue un vero guerriero europeo, non resta che certificare che con la regia di Ursula si sancisce la “finis Europae”.
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