Con un possibile errore statistico di 2-3 punti, l’Italia di oggi gira attorno a 3 numeri: 40% (soglia ormai consolidata di elettori che si astengono), 30% (quota di elettori di orientamento conservatore) 30% (quota di elettori di orientamento progressista).
Con questa articolazione del corpo elettorale accade che, in un evento molto politicizzato, la convergenza degli astenuti con una area politica determina la nullità di uno strumento democratico fondamentale come il referendum. E accade che, in elezioni politiche in cui contano i voti validi, un’area che riesce a tenere unito il suo 30% può riuscire a prendere addirittura il 60% dei seggi stravolgendo cosi la democrazia parlamentare.
Insomma un paese con queste tre componenti, in presenza di leggi non ben armonizzate, può diventare è una democrazia affidata a pure combinazioni statistiche.
In questa legislatura stiamo sperimentando tutti gli scenari possibili.
Perché allora meravigliarsi se dopo il voto politico una non maggioranza stravince o un’area addirittura più larga straperde? Veramente qualcuno pensava che dopo la trovata di Letta, mai con i 5S, e con quella legge elettorale, la Meloni potesse non stravincere nel 2022? O che adesso, in un clima di astensionismo diffuso e con Governo e media impegnati per il non voto, andassero a votare più del 50% degli elettori?
O qualcuno pensava che gli elettori sono così deboli nei loro convincimenti da poter mutare improvvisamente e in misura significativa i loro orientamenti di voto?
Questo, credo, denoterebbe una ingenuità/incompetenza politica ancora più grave.
Perché allora andare al voto si potrebbe dire se l’esito è ben prevedibile e quasi scontato? La domanda circola anche a sinistra.
Ed è legittima in uno schieramento con un grande sindacato promotore e con il centro-sinistra impegnato, e anzi spintosi, a politicizzare il confronto politico.
È doveroso, perciò, non eluderla.
Perché la politica è fatta di processi dinamici che rafforzano o indeboliscono, di rapporti tra soggetti organizzati, movimenti più o meno spontanei e, soprattutto, tra rappresentanti e rappresentati.
E perché essi gettano le premesse per processi futuri e futuri assetti, alleanze, riorganizzazioni dei soggetti politici.
Insomma la politica è costruzione permanente di azioni e movimenti su temi diversi che creano flussi e movimenti di opinione, cultura politica, egemonie, e che nel vivo di questi percorsi realizzano l’emergere di soggetti, quadri, esperienze che preparano le forze ed i soggetti del domani. Che altro è la politica se non vitalità di un corpo sociale nel vivo delle lotte che ogni fase storica produce? Dai problemi dei lavoratori – precarietà, sicurezza, dignità, diritti – ai temi più grandi della giustizia sociale, della distribuzione dei redditi, dell’uguaglianza, fino ai diritti dei popoli, alle libertà, alla guerra ed alla pace? Si può oggi ignorare Gaza?
E allora che bisognava fare? Mettersi in panchina ad aspettare le prossime elezioni politiche?
No. Abbiamo fatto politica. Nelle condizioni date, in una fase storica non certo favorevole alle istanze progressiste. Importante è, adesso, consolidare esperienze e relazioni e dedicarsi al futuro.
Non abbiamo dato uno spettacolo teatrale che chiude il sipario e spegne le luci dopo il voto. Ma agito per cambiare, per trarre insegnamento da questa esperienza e proseguire con una analisi scientifica dell’esperienza e dei risultati. Si è parlato – ma occorre approfondire l’analisi – di un risveglio del voto e dell’impegno giovanile. Se così è significa che la scelta di aver ridato centralità al tema del lavoro, della precarietà, del salario va consolidata con iniziative diffuse, alleanze con studenti e ricercatori, con un nuovo impegno parlamentare dei partiti, oltre che, come è naturale dei sindacati, dando occasioni e visibilità ai giovani impegnati e impegnabili, affiancando a queste attività la ricerca e l’elaborazione sui temi del lavoro del e nel futuro, dell’intelligenza artificiale, della mutazione genetico-digitale, del rapporto scienza, tecnica, applicazioni, formazione…
La destra ha goduto di una legge elettorale che l’ha fatta stravincere ed è più unita del centro-sinistra.
Ma la sinistra c’è ancora e, come ha dimostrato il Cattaneo, i 15 milioni di elettori che hanno votato sono un patrimonio da curare e allargare. La destra che detiene media, poteri, ed è ancora gasata per la sopravvalutazione che ha avuto dalla legge elettorale, ha la zavorra del passato e non sembra avere ali per volare verso il futuro.
E poi chi non vota oggi potrà votare domani. Potrà.
Naturalmente se non mancherà, come ha scritto, Goffredo Bettini “una riflessione su quanta strada ancora ci sia da fare”.
Ma un passo nella direzione giusta è stato compiuto. Che da qui cominci una buona e nuova politica è tutto da vedere. Molto dipenderà da come si svilupperà il dibattito appena appena avviato nel PD e da come evolveranno le relazioni tra i soggetti e le stesse persone e i leader che si sono impegnati insieme in questi giorni. La convivenza Fratoianni-Bonelli e le loro relazioni con Conte e Schlein sono anche un esempio – mi scuso per questa banale conclusione – di una convivenza possibile tra diversi. Ciascuno avrà i suoi problemi interni – ed è prevedibile che ce ne saranno per tutti – ma se saranno curati i rapporti e il clima “tra” soggetti diversi e convergenti il futuro sarà ancora da scrivere.
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