Peppino Cotturri ci ha lasciato. La sua scomparsa rappresenta una perdita incolmabile per il mondo politico e culturale della sinistra e per tutti coloro che hanno avuto il privilegio di conoscerlo, di apprezzarne le doti umane, lo spessore culturale, la dolcezza del suo carattere. Così è anche per me che con Peppino ho condiviso gli anni della mia formazione culturale a Via della Vite presso il Centro Riforma dello Stato da lui diretto dal 1981 al 1993 e poi collaborando attivamente con Democrazia e diritto, la rivista del Centro che Cotturri ha guidato per un intero decennio (1993-2003).
Dirigente politico del Pci (e poi del Pds), ha insegnato, negli anni Settanta, Dottrine Giuridiche e Diritto comparato nelle Facoltà di Scienze politiche di Catania e Messina (anni 1970-75). E, a partire dagli anni Ottanta, Storia delle istituzioni politiche e Sociologia della politica presso l’Università Aldo Moro di Bari.
Cotturri ha dedicato tutta la sua vita allo studio delle dinamiche sociali e istituzionali italiane. Per tutti noi è stato una guida: per la sua passione politica, il rigore intellettuale, la sua pervicace capacità di coniugare ricerca e impegno civile.
I suoi scritti sono stati un punto di riferimento per intere generazioni di studiosi. Soprattutto per noi che, giovani giuristi in erba, su quei testi ci siamo formati. Di questi suoi lavori mi piace ricordarne anzitutto uno: “Stato e giuristi tra crisi e riforma”, scritto insieme a Pietro Barcellona. Un libro che ha rappresentato un punto di riferimento nel dibattito giuridico degli anni Settanta, per la sua capacità di leggere e reinterpretare in modo nuovo il rapporto tra diritto e conflitto, le trasformazioni dello Stato, il ruolo del giurista come agente critico del cambiamento e difensore dei principi costituzionali.
Per decenni, Cotturri ha saputo interpretare i cambiamenti della società italiana con uno sguardo critico e attento al rapporto tra istituzioni e partecipazione democratica. Un impegno che lo porterà a sostenere attivamente Cittadinanzattiva, movimento civico di cui ha condiviso le battaglie per i diritti e le garanzie sociali.
Pochi mesi fa mi chiese di presentare il suo ultimo libro al CRS e mi propose di esserne parte (insieme a Maria Luisa Boccia, Franco Ippolito, Emma Amiconi, Onofrio Romano). Un invito che accolsi con piacere e anche con una profonda emozione. Leggendo compresi che quel volume era diverso dai suoi precedenti. Più intenso, più esplicito, più immediato. Né avrebbe potuto essere diversamente trattandosi del suo testamento culturale e personale: un appello rivolto alle giovani generazioni a non piegarsi agli imperativi dell’esistente e alle nuove forme del dominio. Un’esortazione a tenere alta la voce del pensiero critico.
Fu l’ultima volta che lo vidi. Il titolo di quel libro era “Io ci sono”. E oggi anche noi sentiamo che è così: Peppino c’è.
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