La straordinario successo in tutta Italia delle mobilitazioni del 22 settembre dimostra la capacità che ha avuto il sindacalismo di base di interpretare politicamente l’umore popolare e di offrirgli la possibilità di esprimersi. Ne abbiamo parlato con Vincenzo Miliucci, storico esponente dei Cobas e da sempre tenace sostenitore della causa palestinese.

Che valutazione dai della grande giornate di mobilitazione del 22 settembre?

L’eccezionale giornata di lotta vissuta in tutta Italia, così come la grande partecipazione allo sciopero politico indetto dalle organizzazioni sindacali conflittuali dal titolo “Stop genocidio, con la Flotilla, blocchiamo tutto”, è il risultato di un moto generale voluto e partecipato dalla gente comune, sfinita dall’orrore quotidiano suscitato dalla totale distruzione di Gaza, dal genocidio in corso, dall’esodo impietoso nella Striscia, dal sistematico annientamento del popolo palestinese. 

Lo strazio infinito ha prodotto un movimento dal basso e insieme un terremoto politico con cui fare i conti, una nuova speranza militante di riuscire a fermare la guerra che viene avanti giorno dopo giorno, alimentata da una reazionaria deriva riarmista “contro il nemico russo”, di cui l’economia di guerra e le limitazioni dei diritti costituzionali sono le tragiche conseguenze. 

Una nuova leva di giovani, che sembra rinnovare la passione rivoluzionaria che fu della “generazione del Vietnam e dei movimenti di liberazione”, oggi mette sotto accusa e combatte il sionismo negatore di esistenza e umanità, al pari degli imperialismi invasori e sopraffattori.

La straordinaria ampiezza della partecipazione e la grande varietà politica che la alimenta ha sembrato cogliere di sorpresa commentatori e opinionisti mainstream.

Non conoscono la ricchezza e la vitalità del sentimento popolare. Questo movimento l’ho colto e l’ho visto crescere facendo da 2 anni ogni fine settimana il resoconto pubblico a Radio Onda Rossa delle innumerevoli iniziative e dei commenti più autorevoli “per la Palestina”. 

Tutta Italia, lungo gli oltre 8.000 comuni, è divenuta via via partecipe delle vicende palestinesi. Dai villaggi, alle contrade e ai borghi, dalle comunità montane a quelle marittime, dalle cittadine alle metropoli, è stato ed è un susseguirsi di una varietà senza fine di iniziative: dalla raccolta diretta di fondi alle cene di finanziamento, dai gemellaggi all’accoglienza di bambini palestinesi; dalla presentazione di libri e docufilm, all’allestimento di mostre fotografiche, raccolte di poesie e disegni; dal riconoscimento della Palestina da parte delle amministrazioni locali alla esposizione della bandiera palestinese; da preghiere, veglie notturne, sermoni pubblici da parte delle confessioni religiose a marce, maratone, partite di calcio e rugby, biciclettate; dalle proteste lungo il Giro d’Italia e le tappe italiane di Tour e Vuelta, agli striscioni negli stadi e alla contestazione della prossima partita Italia-Israele a Udine; dalle manifestazioni pro Palestina alla Mostra del Cinema di Venezia ai grandi eventi musicali come la “Notte della Taranta” o il ricordo di Pino Daniele a Napoli. A queste iniziative si sono aggiunti innumerevoli appelli firmati da scienziati, accademici, artisti, molti dei quali hanno partecipato anche direttamente alle manifestazioni. Si sono mobilitate le più diverse associazioni professionali, come Sanitari per Gaza, Emergency, Medici Senza Frontiere, Amnesty, Antigone, Giuristi Democratici, Rete NO Bavaglio. Ci sono state occupazioni di scuole, facoltà universitarie, con l’interruzione, in molti casi, degli scambi con atenei israeliani. C’è stato il boicottaggio delle merci, in particolare dei medicinali TEVA. C’è stato il tentativo, riuscito, di bloccare i porti al transito delle armi sioniste e degli scali aerei per impedire ai militari assassini dell’IDF di villeggiare in Sardegna. E, soprattutto, nelle metropoli, ogni venerdì e sabato sono scese in piazza a decine di migliaia, e interi quartieri popolari a Roma sono scesi in sciopero manifestando concretamente in terra il loro sostegno alla Global Sumud Flotilla.

La Global Sumud Flotilla, una spedizione suggestiva e propositiva, con la voglia di rompere l’assedio e di restituire un briciolo di umanità. Subito attaccata da Israele, che vede in questo tentativo di rompere dal mare il blocco di Gaza un pericoloso nemico di cui sbarazzarsi al più presto. Le ripetute aggressioni notturne alle barche della Flottiglia con droni incendiari e urticanti, oltre ai danni procurati, annunciano un crescendo militare senza limiti, che dobbiamo sventare-fermare con la mobilitazione permanente degli “equipaggi di terra”.

Cosa pensate di fare, come sindacati di base, nel caso di attacchi alla Flottiglia?

È già stata resa pubblica da parte dei Cobas e di altri sindacati conflittuali una dichiarazione di sciopero generale in tempo reale nel caso di assalto alla Flotilla. Se mai dovesse avvenire l’Italia si fermerà e tornerà in piazza bloccando attività e istituzioni. Sarà una imponente marea umana, il j’accuse nei confronti di Israele e dei suoi complici alleati, che indicherà al mondo Israele come nemico dell’Umanità.

Mentre già sono convocate le manifestazioni nazionali a Roma del 4 ottobre alle 14 a porta S. Paolo  (“Stop genocidio,Palestina libera”) e quella dell’8 novembre (“Fermiamo genocidio, guerra e riarmo”).

Infine è importante non dimenticare che c’è un pezzo di Palestina da liberare qui in Italia. Riguarda il processo a L’Aquila, ormai alle battute finali, che vede imputati 3 palestinesi accusati di “resistenza all’occupante israeliano”, di cui due, Ali e Mansour, sono stati liberati anche grazie alla mobilitazione che siamo riusciti a costruire intorno al processo.

Resta invece ancora in carcere Anan Yaeesh, che è da quasi 2 anni prigioniero in regime speciale nel carcere di Terni. Contro di lui un processo inconsistente, che non avrebbe dovuto nemmeno celebrarsi, che che va avanti a causa della volontà persecutoria del Governo Meloni, complice anche in questo del regime israeliano, che ne pretendeva l’estradizione. Estradizione finora resa impossibile dal fatto che in Italia sono ancora vigenti le norme del diritto internazionale.

Domenica 21 settembre sotto il carcere di Terni c’è stato l’ennesimo presidio per chiedere la libertà per Anan. Il giorno dopo Anan è stato trasferito al carcere di Melfi. Non ne conosciamo i motivi, ma è facile immaginare che si tratti di una punizione a causa della solidarietà acquisita sia tra i detenuti sia tra chi si è mobilitato all’esterno del carcere. 

Ma i suoi carcerieri, il Ministero di Nordio e il Governo Meloni, non riusciranno a impedire che Anan anche a Melfi, all’interno e all’esterno del carcere, avrà da tutta Italia per la sua liberazione lo stesso sostegno e impegno che oggi riempie le piazze per la liberazione della Palestina.

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