Articolo pubblicato su “Il Sole 24 Ore” il 19.10.2025: https://guidovetere.nova100.ilsole24ore.com/2025/10/19/il-vero-pericolo-dellai/?refresh_ce=1
L’AI è divenuta potente, ma proprio per questo cresce l’ansia per le minacce esistenziali che essa potrebbe arrecare. Sicché, nel corso dell’ultima Assemblea Generale dell’ONU, la viribus illustribus mondiale s’è mobilitata per salvare il pianeta. Come? Con un sito di faccette tra cui spiccano Nobel come Joseph Stiglitz e Giorgio Parisi, ‘padri’ dell’AI come Geoffrey Hinton e Yoshua Bengio, politici come Enrico Letta e Yanis Varoufakis, e l’immancabile Yuval Noah Harari, la cui presenza giustifica il sospetto che si tratti in sostanza di una iniziativa pop. Bisogna – dicono – tracciare una “linea rossa”: limite invalicabile che l’AI non deve superare: armi autonome, ingegneria genetica, manipolazione delle coscienze, eccetera. Bisogna scongiurare il pericolo che l’AI, diventata autonoma, sveli un’anima maligna come in un b-movie di fantascienza. Facciamo appello ai governi affinché si raggiunga un accordo internazionale sui limiti per l’IA entro la fine del 2026, garantendone l’effettiva applicazione attraverso solidi meccanismi di controllo e di attuazione – gridano gli illustri nel deserto del diritto internazionale.
Un po’ meno drammatiche – ma non meno insistenti – sono le geremiadi di coloro che vedono nell’AI il declino delle prerogative umane, tra cui la ricerca della verità. La pirotecnica parlantina degli automi, che avviene senza contezza dei fatti e delle cose, farebbe sì che lo slop (sbobba) creato dalle macchine sia indistinguibile dalla “verità vera”. L’informatico Walter Quattrociocchi parla di “epistemia”: l’incapacità di distinguere ciò che suona come conoscenza da ciò che è conoscenza, come se l’umanità – quella che oggi vagheggia il ritorno ai totalitarismi novecenteschi – avesse mai dimostrato di saperlo fare. Difficile che l’AI possa peggiorare l’eterna imbecillità umana, su questo ha ragione Maurizio Ferraris. Sembra invece più probabile che, per una vasta platea, possa rendere meglio accessibile e in qualche misura indagabile quella babele di problematiche conoscenze che abbiamo riversato nella rete da trent’anni a questa parte. Certo, ci vorrà un po’ di buona volontà e di capacità critica, ma a questo penserà la scuola – o no?
Il vero pericolo dell’AI non è la sua supposta autonomia — in fondo, chi le paga la bolletta della luce? — né l’inquinamento della sorgente della verità, che nessuno sa dove si trovi, neanche lei.Il pericolo autentico lo corre il gusto: il piacere della bella prosa, o il desiderio creativo di portare alla luce una forma che non s’era mai vista. L’insidia maggiore dell’AI non è etica né epistemica: è estetica. Il rischio è che la stereotipazione — che nel linguaggio è sempre in agguato — venga promossa a norma tecnica. “In ogni segno sonnecchia un mostro: lo stereotipo”, ricorda l’amico Luca Sossella rileggendo Roland Barthes. E l’AI sembra proprio intenzionata a coccolarlo, quel mostro.
Il suo manierismo retorico — paradiastole ed epanortosi (“non è X, ma Y”), analogie e similitudini (“dire X è come dire Y”) — benché riconoscibile anche a occhio nudo, penetra nel ventre molle della coscienza pigra e vi si insedia. Non solo la prosa dell’automa ci appare oggi naturale: presto ci sembrerà naturale parlare come lui, cioè bene, ma senza invenzione.
Sull’etica e sull’epistemica possiamo — almeno in teoria — intervenire. Sull’estetica, no. Nessuna legge, né dottrina, può proteggerci dall’impulso naturale e nefasto della ripetizione. È sul fronte del bello che si combatterà dunque la battaglia della nostra umanità, a cui tutti saremo chiamati di persona. Dovremo educarci all’uso creativo della generatività automatica, a usarla per forzare gli stereotipi, non per eternarli. Dovremo tornare a Italo Calvino.
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