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Sabato 24 settembre presso la Casa della Letteratura di Francoforte, Simonetta Crisci ha ricevuto il premio Hans Litten 2022. L’importante riconoscimento, intitolato alla memoria dell’avvocato tedesco che condusse alla sbarra Adolf Hitler prima di venire, con l’avvento del nazismo, recluso nel campo di concentramento di Dachau dove venne lungamente torturato e trovò la morte. Viene assegnato ogni due anni dall’Associazione tedesca dei Giuristi Democratici VDJ alle avvocate e agli avvocati che maggiormente si distinguono nel mondo nella difesa dei soggetti deboli e perseguitati. Nel passato, ne sono stati insigniti personaggi illustri nella storia dei diritti umani nel mondo: dall’israeliana Lea Tsemel, che ha dedicato la propria professione alla difesa del popolo palestinese e degli attivisti israeliani per la pace; a Selçuk Kozağaçlı, avvocato perseguitato in Turchia a causa dell’identificazione con i propri assistiti. Tutti accomunati dall’impegno nella lotta contro ogni forma di discriminazione, di aggressione e dal ripudio della guerra e di qualsiasi dittatura.

Ed è esattamente alla causa della difesa dei più vulnerabili e dei popoli oppressi, in primis quello curdo, che Simonetta Crisci ha dedicato la propria vita professionale.

Come presidente dell’associazione Senzaconfine, fondata da Dino Frisullo, membro del direttivo della Casa internazionale delle donne e del Legal Team Italia, ha sempre coniugato la propria attività professionale con un forte impegno civile.

La consegna del premio è avvenuta da parte del Presidente della VDJ Joachim Kerth-Zelter, ed è stata preceduta dalla laudatio (riportata di seguito) tenuta dall’Avv. Cesare Antetomaso dell’Esecutivo dell’Associazione nazionale Giuristi Democratici.

Parlare di Simonetta, per me, è particolare. Perché significa parlare di qualcuno che pensi di conoscere da sempre, anche se in realtà abbiamo cominciato a frequentarci più assiduamente a livello associativo, e amicale, a partire dal periodo immediatamente successivo al summit G8 del luglio 2001 a Genova.

Questo perché lei e mio padre erano entrambi avvocati nella Roma, nell’Italia di fine anni ’60 – inizio anni ’70. Un Paese scosso da tante tensioni, nel quale si cominciava ad affermare la legislazione dell’emergenza che tanti disastri, violenze e privazioni della libertà personale arrecò – finanche tra gli avvocati! – in risposta ad una grande stagione di lotte per i diritti civili e sociali, fin qui unica nella storia per durata e partecipazione di massa.

Loro, insieme ad altre ed altri, scelsero di praticare la professione da persone libere, sapendo che questa scelta poteva costargli un prezzo molto alto. E non solo perché non provenivano da una famiglia di avvocati.

Così cominciò l’esperienza di Simonetta in “Soccorso Rosso”, una delle aggregazioni di legali che provavano a offrire un contributo scientificamente valido alla richiesta di difesa del diritto al dissenso, a fronte di un apparato statuale repressivo che non si faceva remore di utilizzare, tra l’altro, anche i manicomi criminali.

Di quegli anni sono anche le rivolte nelle carceri che avrebbero portato, qualche tempo dopo, con le lotte condotte anche dagli avvocati progressisti, a una legislazione innovativa (prima con la legge Zagari, poi con la Gozzini), più in linea con la Dichiarazione universale dei diritti umani oltre che con la Costituzione e la Convenzione EDU.

Simonetta e il marito Vincenzo sono stati giovani militanti iscritti al Partito Comunista Italiano. A fronte però di un aspro dissenso, dovuto soprattutto alla chiusura del Partito nei confronti dei movimenti di quegli anni, se ne allontanarono, sebbene con dolore.

Lei, invece, era profondamente in sintonia con le rivendicazioni del movimento studentesco, operaio e femminista. Ma le conquiste nel campo del lavoro e in particolare quelle nel campo dei diritti civili, con le vittorie nei referendum per il divorzio e per l’interruzione volontaria di gravidanza, in una nazione fortemente segnata da una cultura cattolica retriva e maschilista, non sono state solo una storia di campagne di successo. Hanno significato sacrifici della libertà per tante e tanti attivisti. Qui, matura la scelta di Simonetta di non retrocedere; e di dedicare la propria vita alla tutela e alla promozione dei diritti fondamentali. In Italia, così come in alcune delle terre più disgraziate del pianeta.

Nella sua attività professionale, Simonetta è stata, ed è, certamente un riferimento per diverse generazioni di giovani avvocate ed avvocati. Ne è dimostrazione la nutrita e affezionata rappresentanza oggi qui presente. Varie volte ha definito il proprio studio come un collettivo, anzi, fu proprio questa la parola che adoperò quando la incontrai in Tribunale ancora laureando e, scherzando con mio padre, mi disse: “Che ci stai a fare a studio con lui, vieni con il nostro collettivo!”.

Questo suo spirito, gioviale e determinato insieme, credo sia stato e sia il suo tratto caratteristico fondamentale. Un approccio alla vita, prima ancora che alla professione, che le ha fruttato la stima non solo delle e dei colleghi più giovani, ma dalle tante e tanti clienti e compagni di strada: fossero questi studenti, occupanti di case, migranti, lavoratrici e lavoratori, donne vittime della violenza maschile. In questo, con evidenti analogie con quanto rappresenta a Napoli la figura di un’altra nostra grande compagna, Elena Coccia.

O ancora persone private dei propri più elementari diritti civili e politici, in Palestina, così come in Turchia, in Kurdistan o in Siria. Anche quando vittime di questi regimi autoritari sono proprio gli avvocati.

E questo, nonostante nella sua attività non siano purtroppo mancati momenti in cui sia stata minacciata. Quando, di fronte al Tribunale militare, difese gli eredi dei militari italiani trucidati a Cefalonia; quando assunse le difese di diverse decine di famiglie pakistane nel naufragio della “nave fantasma”, scomparsa nel Mar Mediterraneo nel Natale del 1996; o ancora prima quando venne tratta in arresto semplicemente per aver partecipato a manifestazioni per l’interruzione volontaria di gravidanza o per il divorzio od ancora per le campagne per l’autoriduzione delle bollette dell’energia elettrica. A proposito, dobbiamo attrezzarci nuovamente in questo senso, Simonetta, non penserai mica di sederti sugli allori!

La sua attività politico-giuridica la illustrerà meglio lei stessa nel suo intervento di ringraziamento. Per quanto riguarda noi, Giuristi Democratici, mi preme dire che Simonetta è una di quelle compagne che ha sempre fornito un grande apporto all’associazione: a livello internazionale, insieme a Barbara Spinelli; e, tra le altre cose, come difensore di donne doppiamente sfruttate, migranti e lavoratrici in nero, come fu per la nostra compianta Claudia Piccolino, prematuramente scomparsa e alla quale va sempre il nostro ricordo affettuoso.

Lo ha fatto condividendo tante battaglie, ma anche non sottraendosi al confronto su temi sui quali non si trovava d’accordo con le impostazioni della maggioranza. D’altronde, e qui mi consentirete una nota di merito per la nostra associazione, abbiamo – caso forse più unico che raro – resistito alle vicende che hanno visto dilaniarsi tante esperienze a sinistra, proprio privilegiando il dialogo e preservando gelosamente la nostra autonomia dai responsabili giustizia dei partiti e la nostra trasversalità, sia nell’appartenenza politico-partitica che nella provenienza dai settori professionali: magistratura, avvocatura, università, pubblico impiego.

Credo, in sostanza, che Simonetta meriti pienamente il prestigioso Premio che voi, compagne e colleghi, avete deciso di conferirle, intitolato ad Hans Litten, che nella storia del bellissimo e terribile XX secolo rappresenta un faro per tutte e tutti noi.

In primo luogo, perché c’è tuttora un grande bisogno di avvocate e avvocati determinati e coraggiosi come lei: ce lo testimoniano i soprusi che i nostri colleghi subiscono nel mondo, così come le violazioni dei diritti fondamentali che non di rado si verificano anche alle nostre latitudini.

E Simonetta ha dimostrato, con il proprio esempio, di interpretare la professione esattamente come va fatto: non retrocedendo nella difesa dei propri assistiti, anche quando ciò poteva condurre a una pericolosa identificazione del difensore con il difeso, come oggi accade ancora troppo spesso, proprio nella Turchia del despota Erdogan. Dando prova di aver svolto al meglio quello che, in definitiva, è il nostro compito ultimo: quello di ultima barriera tra l’individuo e la violenza dello Stato. Con la consapevolezza che per gli avvocati non esistono governi e poteri “amici” e che non esiste miglior difensore dell’esercizio della libera professione dell’avvocato stesso.

Complimenti ancora Simonetta e… al lavoro e alla lotta!

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