Un versione ridotta del testo è stato pubblicata col titolo “Racconto di un ultimo appuntamento” su “il manifesto” del 5 gennaio 2023.
L’appuntamento era per le quattro e un quarto a piazzale Flaminio. C’era tutto il tempo per prendersela con calma. Era alle cinque e mezzo che dovevamo parlare delle inedite pagine di diario di Michele Rago, tra 1951 e 1956 appena pubblicate dalla casa editrice romana InSchibboleth. La presentazione alla quale pure, oltre noi due, recavano la loro testimonianza le figlie di Michele, Laura e Marina, e la curatrice del volume Elena Riccio, aveva luogo in una Enoteca ‘letteraria’ al Pigneto. Avevamo calcolato che, dal piazzale Flaminio, al massimo in mezz’ora saremmo giunti a destinazione. Prima delle cinque dunque.
Arrivo e Filippo è lì, nella sua macchina accostata al lato del marciapiede davanti al vecchio Caffè dell’Orologio. Siamo puntuali entrambi. Mi siedo accanto a lui: il suo sorriso e l’affetto che traspare dai suoi occhi. Occhi senza età, di velluto scuro. Lo stesso sguardo pulito, aperto, ‘tutto per te’ che Filippo – ho sempre pensato – ha conservato intatto fin da bambino.
A scanso di ritardi, Filippo preferisce aggeggiare con i pulsanti di un satellitare che ci indirizzi nella scelta della via più breve per il Pigneto. Entra in azione: una voce femminile, metallica e suadente. Comincia: «Fra cinquanta metri prendere a sinistra». Ci muoviamo.
Oggi è venerdì due dicembre ed è in corso a Roma uno sciopero dei mezzi pubblici. Abbiamo preso il Muro Torto e procediamo lentamente incolonnati. Andiamo così piano che la voce femminile ha modo di ripeterci ogni due, tre minuti il percorso da tenere, quasi non avessimo capito.
Filippo non ha voluto che il suo nome apparisse nella locandina che annunciava l’incontro promosso per parlare dei diari di Rago. Nei giorni precedenti, al telefono, gli avevo chiesto perché. Perché lui, che aveva conosciuto Rago negli ultimi mesi del 1968 fin dalle prime riunioni del gruppo che avrebbe messo capo a «il manifesto», preferiva non apparire? Mi disse che non si sentiva preparato per parlare adeguatamente di Rago e che la sua sarebbe stata una testimonianza di poco conto, che non aveva senso annunciare nel programma. Avevo tentato di insistere ma, presa una decisione (e figurarsi poi una decisione di carattere ‘personale’), era assai difficile che Filippo ci tornasse su.
Abbiamo cominciato a conversare e la nostra chiacchiera fila con un senso di reciproco piacere. Conveniamo che non si tocchi l’argomento Michele Rago e dintorni. Siamo giunti a piazza Indipendenza e cerchiamo, per quanto possibile seguendo la nostra guida sonora, di guadagnare una delle traiettorie che portano al Pigneto.
Siamo nel pieno dell’ingorgo del traffico. Procediamo a passo d’uomo. Comincia a piovere. Azioniamo i tergicristalli. Piove forte. Lo strusciare ritmato, a destra e a sinistra, avanti e indietro, delle due racchette sul vetro stabilisce un contrappunto con la voce meccanica della nostra ufficiale (ufficialessa?) di rotta. Siamo praticamente fermi. La pioggia battente picchia sul parabrezza, sul tettuccio e sul cofano e completa con lo strofinio dei tergicristalli la funzione di batteria. Accompagna la voce che ora sembra dare le sue indicazioni seguendo una imprevista musica percussiva orchestrata dalla nostra automobile.
Arriviamo all’enoteca con gran ritardo, passate le sei. Filippo cerca un posteggio. Io entro per rassicurare della nostra presenza. Ecco Filippo. Ci sono Laura, Marina e Elena. Siamo tutti, si comincia. Gli amici dell’Enoteca, accanto alla consueta bottiglia dell’acqua minerale, han posto sul nostro tavolo calici di vino rosso. Filippo chiede di intervenire per ultimo. E, ora che scrivendo queste righe mi illudo d’esser lì ad ascoltare le sue parole, mi dico che faremmo bene a trascriverle e pubblicarle. Il suo arrivo da Napoli, assai giovane, alla Commissione culturale; le donne e gli uomini nell’impegno politico quotidiano nelle stanze delle Botteghe Oscure. I primissimi incontri che metteranno capo a «il manifesto». E un ritratto di Michele Rago che per acume e intelligenza completa e arricchisce quello che ce ne ha delineato Rossana Rossanda. Nelle sue parole Michele Rago vivo. Ma Filippo aveva pur detto che non mettessimo il suo nome nella locandina, ché non era all’altezza di dir qualcosa su Michele, lo dicessi io alle figlie. Ma non sarebbe mancato, le rassicurassi, quel due dicembre, venerdì, alla presentazione dei Diari.
Ci tratteniamo a cena in una trattoria che apre sul marciapiede di fronte all’Enoteca. Amatriciana, fagioli, polpette. Al nostro tavolo siamo una dozzina nella confusione della stretta sala. Intorno risa. Voci alte, quel composito rumore delle osterie. Vassoi con pietanze dai ricchi intingoli passano alti, pericolosamente sopra il mucchio dei nostri soprabiti e delle sciarpe.
Filippo e io ci proponiamo con Laura e Marina di incontrarci a metà di gennaio, dopo le feste, per ragionare sulla pubblicazione dei molti scritti lasciati da Michele, che bene sarebbe raccogliere e ristampare. Quando usciamo non piove più. Filippo e io saliamo in macchina. Anche il traffico della città è come sparito d’incanto. Sui selciati e gli asfalti bagnati si riflettono le luci e i nostri fari. Ci diciamo che l’iniziativa è riuscita. Giunti a piazzale Flaminio, prima di salutarci, confermiamo di vederci in ogni caso ai primi di gennaio, con l’anno nuovo. C’è quell’impegno per Rago. E poi perché ci vogliamo bene.
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