Europe_satelliteQuesto numero di Democrazia e diritto è dedicato all’Europa.
Non c’è bisogno di giustificare questa scelta, del resto preannunciata nella Presentazione del fascicolo precedente, e che rappresenta l’impegno maggiore del numero. La trasformazione istituzionale progettata per l’Unione europea, la necessità  che dovrebbe essere a tutti comune di acquisire all’Europa un «senso» più profondo ed esigente, i nuovi rapporti e le tensioni insorte tra di essa e gli Usa: tutto questo e altro impone di cercare di mettere a fuoco, in una rivista che voglia interloquire sui principali aspetti della vita e delle istituzioni della società  italiana, la nostra riflessione su un terreno tanto delicato e incisivo. La costruzione di un quadro europeo culturalmente, politicamente e giuridicamente più solido richiede sicuramente un impegno intellettuale e pratico particolarmente intenso ed è destinata a occupare sempre più, nei prossimi anni, l’orizzonte della nostra vita.
Pur non intendendo fare una trattazione completa d’una tematica dotata di risvolti tanto molteplici, ci siamo misurati su alcuni dei versanti più importanti e abbiamo allineato analisi mirate su vari aspetti delle prospettive uscite dalla Convenzione per la nuova istituzionalizzazione di sapore costituzionale (ma non certo di forma né probabilmente di sostanza costituzionale vere) dell’Unione. Su questo tema, da molte parti si condivide la convinzione che, benché grandi siano le inadeguatezze del progetto di trattato e molte le delusioni che provoca, tuttavia, per i passi avanti che contiene, esso meriti di essere sostenuto, soprattutto di fronte ad alcuni peggioramenti che si possono temere dalla Conferenza intergovernativa, a patto che non si rinunci alla critica e si mantenga l’apertura politica e giuridica ad ulteriori e non remoti progressi.
Entro quale temperie politica e di civiltà  si colloca questo nuovo trattato? Il rapporto dell’Europa col resto del mondo non rende il quadro previsto altrettanto poco esaltante quanto quello attuale? Che natura, che radici e che possibili sviluppi ha la tensione che si è aperta con gli Usa? E le divisioni ch’essa provoca dentro l’Europa stessa non sono una prova della difficoltà  di quei rapporti? Quale senso l’Europa intende assumere nei confronti del mondo esterno e in particolare del sud del mondo, sui terreni decisivi della pace e della giustizia economica? La pace, un corretto rapporto distributivo tra i paesi del mondo e un dialogo rispettoso tra culture sono nei fini dell’Unione? È possibile, rispetto agli Usa e in rapporto con il sud, pensare «un altro Occidente»?
Il dibattito su temi così impegnativi e sui vari aspetti del Progetto, anche se già  vivace, è ancora in fase di avvio e non stupisce che vi siano, anche tra coloro che condividono orientamenti comuni, incertezze di lettura, problemi di valutazione e opinioni non pienamente convergenti, le quali percorrono anche i vari contributi a questo fascicolo. Necessariamente, quindi, il discorso proseguirà  nello «spazio pubblico» di cui facciamo parte e nel quale interloquiremo ancora.
Ma nell’insieme, dagli scritti qui pubblicati traspaiono alcune linee comuni. Un «altro Occidente» (Cassano) non sta ancora nascendo, in questa fase, a livello di politiche ufficiali e di prodotti istituzionali, e non meraviglia che non sia questa l’idea che sostiene i valori e gli obiettivi adottati in teoria, perseguiti nella pratica ed esposti nel progetto della Convenzione. Molti saggi danno conto di questa insoddisfazione e si soffermano a indicare come questa sia la tempesta che tormenta il confronto con gli Usa, tra l’ostinato perseguimento da parte loro di un progetto di egemonia, le cui diverse ma tutte preoccupanti interpretazioni il fascicolo mette in rilievo, e le insufficienti prese di posizione da parte dell’Europa, percorsa da titubanze su quale sia l’originalità  della sua storia e della sua missione e se un’originalità  vada perseguita. Sono queste titubanze quelle che devono preoccuparci di più. Mai come oggi, infatti, come dice il saggio di apertura di Biagio de Giovanni, l’Europa «si è trovata dinanzi ad alternative che possono indirizzare in direzioni opposte il suo sviluppo»; mai come oggi il suo «orizzonte normativo deve incontrare la dimensione esistenziale».
Tuttavia non di Europa unicamente questo numero si occupa: per tener conto delle priorità  ineludibili per chi oggi opera in Italia, è necessario continuare ad esprimersi sul ventaglio dei problemi che il numero precedente ha trattato, raccogliendoli sotto il titolo di Sistema Berlusconi e percorrendoli in un’ottica che ha attirato, ci pare di poter dire, l’interesse e l’adesione dei lettori.
Di questo, visto appunto come un sistema che impatta profondamente con tutta la società  e la politica italiane e osservato con le armi combinate di un’analisi pluridisciplinare — filosofica, giuridica, politica, sociologica, economica, ecc. — abbiamo studiato le radici profonde, prospettando (non siamo i soli: basta pensare al recente libro di Paul Ginsborg, Berlusconi, Einaudi, 2003) la nostra percezione che il fenomeno Berlusconi nasca dal profondo della storia e della società  del nostro paese, e sia specchio di una forte componente di esso, purtroppo divenuta non solo politicamente ma anche culturalmente egemone, prima di divenire — indubbiamente lo è, anche — origine e artefice del suo rafforzarsi ed estremizzarsi. Abbiamo nel contempo rilevato, con considerazioni generali e con copiose esemplificazioni, l’espan-dersi del suo raggio d’azione alla generalità  dei settori della vita nazionale, della legislazione e della gestione politico-amministrativa. Ciò nella convinzione che entrambi questi punti di osservazione, ben lungi dal disarmarli, possono fornire agli studiosi e agli operatori politici e giuridici strumenti per muoversi con maggiore consapevolezza e produrre più costruttivi risultati nell’af-frontare i non leggeri danni che le modifiche così introdotte nell’intero ordinamento del paese arrecano a quest’ultimo.
Gli avvenimenti e gli sviluppi di atteggiamento seguiti alla confezione dei nostri contributi, non solo hanno confermato le diagnosi in essi contenute, ma le hanno messe in più viva luce, aggiornate e portate ad un culmine imprevisto dai più. Il perfezionamento legislativo di misure di ordinamento processuale (si fa per dire) volte ad assicurare impunità  al maggior capo politico; l’avanzare di normative e di istituti che attentano all’indipendenza della magistratura; le forzature impresse all’adozione di mutamenti che aggravano le situazioni precedenti nel sistema televisivo e dell’intera comunicazione; il completamento o l’avanzamento dell’iter di strumenti legislativi nel campo del lavoro, della fiscalità , dell’ambiente; la gestione spregiudicata di alcune commissioni di inchiesta: di tanto numerosi provvedimenti — pur affiancati da alcune misure globalmente più sensate, come la legge La Loggia sull’at-tuazione del nuovo ordinamento delle autonomie — sarebbe difficile fare l’elenco esauriente. Tutto ciò, inoltre, è stato accompagnato e seguito, durante l’estate, da una serie di clamorose prese di posizione, da parte di Berlusconi in persona e prima e dopo di lui dai suoi più stretti collaboratori (e le cose non si fermeranno qui: «una bomba al giorno» sembra essere davvero il loro motto), dalle quali la politica italiana è stata portata a una condizione di irregolarità  che rende increduli. Non si può non correre col pensiero (anche da parte di chi non trascura le differenze esistenti tra fascismo e berlusconismo, ma non può non cogliere insieme le preoccupanti somiglianze), alla tragicommedia — più tragedia che commedia, naturalmente — di cui fu protagonista quel Mussolini che Berlusconi pretende di assolvere dalle sue più gravi colpe. Le continue vociferazioni del capo del governo, pronunciate da Strasburgo a Porto Rotondo, da Roma a Istanbul a New York, i cui effetti non sono certo diminuiti dalle smentite poi diramate, accompagnate del resto da conferme e aggravamenti, e la spettacolarizzazione, intensamente ricercata di fronte al pubblico italiano e ai dirigenti stranieri, delle invettive e delle calunnie rivolte agli oppositori, della demolizione dei magistrati trattati come esseri antropologicamente tarati, delle ingiurie rivolte agli stranieri ritenuti non amici, delle autogiustificazioni di sé, hanno lo scopo — e forse purtroppo ancora il risultato — di ribadire sempre più quello che uno di noi (M. Dogliani, in Il manifesto, 7 settembre) ha giustamente qualificato, con riferimenti a Le Bon e a Freud, come la rinuncia del singolo al proprio ideale dell’io per sostituirlo con l’ideale collettivo incarnato dal Capo. Nella stessa linea di spettacolarizzazione, in questo caso «monarchica», la politica estera viene condotta dal presidente del consiglio, con aperta e umiliante riduzione in subalternità  del ministro degli esteri, in termini di rapporti familisti e privati: dalla partecipazione testimoniale ai matrimoni di Madrid e di Istanbul, ai moltiplicati ricevimenti nella villa di sua proprietà  di capi di stato e di governo, legati a sé con gli ammiccamenti (che essi paiono purtroppo accettare) di un’esibita amicizia personale, accompagnati peraltro da riservati accordi di profitto economico reciproco e da promesse, quasi sempre non adempibili, di intercessione politica. Il tutto non è certo spettacolo innocuo: come sul piano interno l’offensiva del sistema Berlusconi ha effetti ben sostanziali nell’al-terazione degli equilibri della società  democratica, così sul piano internazionale i guasti che le posizioni della nostra politica estera producono sono gravissimi per il posto del nostro paese nel mondo e per il mondo stesso.
Da ultimo, alcune iniziative legislative aggravano all’estremo la situazione, anche a non tener conto delle proposte in tema di pensioni che vengono riprese nel giorno in cui questo numero si chiude. Il progetto di riforma costituzionale messo a punto dal consiglio dei ministri sotto la spinta particolare di Bossi (ma anche di Berlusconi) coinvolge in misura decisiva la posizione del presidente del consiglio e del governo, del presidente della repubblica, delle regioni (e reciprocamente dello stato) e della corte costituzionale e inventa un senato federale che è tutto fuorché conseguentemente rappresentativo delle istituzioni territoriali, ponendo una sfida molteplice e grave, che andrà  attentamente contrastata. Il condono edilizio, estrema misura dell’indi-rizzo antilegalitario descritto nel nostro precedente numero, che vanamente si era sperato nei mesi scorsi di non vedere avanzare, darà  un colpo grave all’ambiente, all’equilibrio territoriale e alla moralità  pubblica presente e futura.
La difficoltà  di consolarsi fondatamente — in questa situazione — con la previsione di una rapida autodistruzione di questo sistema, rapidità  che sembra contrastare con il suo radicamento nella storia e nei vizi della società  e della politica italiane, non facili da superare senza una lotta consapevole e mirata, impone di accrescere il livello di vigilanza e di attacco nei confronti delle aberrazioni a cui si assiste. Ciò è necessario avvenga non solo da parte degli organi di garanzia — il presidente della repubblica in questo senso ha, negli ultimi tempi, rafforzato significativamente l’esercizio del suo ruolo —, non solo da parte del personale politico, che troppo spesso dall’opposizione ha mancato alla severità , combattività  e creatività  richieste da quello che dovrebbe essere il suo atteggiamento, ma ad opera della società , che è il finale e più decisivo protagonista della propria salvezza.
Il nostro contributo in questo fascicolo (ma dovremo continuare) è dato soprattutto dalla rubrica Ricercacontinua, nella quale alcuni autori proseguono le analisi già  fatte con gli Interventi nel numero precedente, evocando ulteriormente aspetti già  rilevati — come l’alienazione del capitale pubblico — e altri abbastanza riposti ma non secondari, quale il trattamento della protezione delle catastrofi e la connessa espansione abnorme della funzione di protezione civile (in occasione dell’emanazione di nuove norme sismiche), che coinvolgono distorsioni ordinamentali consapevolmente mirate dal governo; o l’alterazione del regime garantista del commercio degli armamenti ereditato dall’età  precedente e su cui si erano e si sono avute notevoli lotte da parte di alcuni movimenti sociali; mentre con la rubrica Itinerari istituzionali accenniamo ad alcuni aspetti dei problemi attinenti ai rapporti centro-periferia, che costituiscono un altro dei settori in continuo movimento della nostra vita politica.
Umberto Allegretti

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