Riproduciamo la Premessa di Alberto Olivetti al volume di Pietro Ingrao e Rossana Rossanda, pubblicato nella collana Misure dell’editore Bordeaux (2021).

L’inedita conversazione sul problema dei giovani «nella loro espressione più violenta» tra Pietro Ingrao, allora presidente della Camera dei deputati, e Rossana Rossanda, si svolse nel febbraio del 1978. Era destinata ad essere pubblicata su «il manifesto». Si stampa nel presente volumetto quarantatré anni dopo.

Una decisione che si giustifica, a così grande distanza di tempo, almeno per due considerazioni che ci son parse valide: la rinomanza ed il prestigio dei due interlocutori, l’argomento sul quale si interrogano e il momento nel quale la conversazione si ebbe, ovvero nell’imminenza del 16 marzo giorno del sequestro che, cinquantacinque giorni dopo, si sarebbe concluso con l’assassinio di Aldo Moro.

Abbiamo corredato i ragionamenti di Rossanda e Ingrao con due testi che risalgono essi pure a quei giorni drammatici: un articolo di Rossanda pubblicato su «il manifesto» il 28 marzo 1978, Moro prigioniero, destinato ad essere ricordato per la locuzione dell’album di famiglia relativa alle Brigate rosse e la vicenda comunista; il discorso in commemorazione di Aldo Moro tenuto da Ingrao alla Camera il 10 maggio 1978, il giorno successivo alla sua morte.

Si dà del colloquio qui la stesura finale, quale fu approntata da Rossanda e ad Ingrao consegnata, verisimilmente, per una sua approvazione prima della stampa, che è conservata nell’Archivio Pietro Ingrao (faldone B 14, I) presso il Centro di studi e iniziative per la Riforma dello Stato, a Roma.

Consta di venti fogli dattiloscritti, alcuni su carta intestata «il manifesto», altri su carta extra strong. Cinque pagine riportano i ritagli di precedenti trascrizioni, inseriti e fissati con nastro adesivo trasparente. Numerose sono le correzioni autografe di Rossanda, tutte ad inchiostro nero. Lo stato delle carte documenta bene il lavoro svolto con puntiglio da Rossanda nel redigere il testo in stretto concerto con Ingrao, e nell’evidente e condiviso intento di restituire il dialogo tra loro intercorso nella forma d’una scrittura particolarmente attenta a scansare i toni consueti dell’intervista.

Le venti cartelle sono prive di titolo. Per mano, forse di Licia Mastroianni, la segretaria di Ingrao, sulla prima pagina si legge in alto a destra un appunto vergato a penna biro che recita: «Conversazione con Rossanda sui giovani/(I[ngrao]. pres[idente]. Camera)/(non pubblicata)».

Manca una indicazione di data. La datazione al febbraio del 1978 da far risalire, con buona probabilità, all’ultimo scorcio del mese, si giustifica, a mio giudizio, proprio con la mancata pubblicazione. La mattina del 16 marzo Aldo Moro viene sequestrato dalle Brigate rosse ed è plausibile che la conversazione, pur redatta ormai nella sua veste definitiva nel corso delle due settimane precedenti, per l’argomento che affrontava e svolgeva, consigliasse quanto meno i due autori ad un rinvio della pubblicazione da realizzarsi, se del caso, in tempi più opportuni. Cosa che non avvenne.

Il discorso sulla Democrazia cristiana di Rossanda appare in prima pagina su «il manifesto» il 28 marzo, tredicesimo giorno della prigionia di Moro. Il lettore attento non mancherà di rilevare come l’argomento de ‘l’album di famiglia’, sollevato in riferimento alla lotta armata, sia da Rossanda avanzato nella prima battuta scambiata nel dialogo con Ingrao quando esordisce chiedendo: «Perché sparano? Qualcuno dice perché somigliano ai primi, vecchi comunisti. Sparano perché ci somigliano, o perché non ci somigliano?». E Ingrao, netto, risponde: «Non ci somigliano». Ma non manca, Ingrao, di constatare, «vissuta come contraddizione grave, che la critica comunista della democrazia poteva portare, come è avvenuto dopo il 1917, a forme politiche regressive. A meno libertà». E lamenta: «Lo stalinismo per noi è stato un nodo grosso». Nel fondo de «il manifesto» Rossanda torna sul tema e puntualizza: «In verità, chiunque sia stato comunista negli anni Cinquanta riconosce di colpo il nuovo linguaggio delle Brigate rosse. Sembra di sfogliare l’album di famiglia: ci sono tutti gli ingredienti che ci vennero propinati nei corsi Stalin e Zdanov di felice memoria. Il mondo – imparavamo allora – è diviso in due. Da una parte sta l’imperialismo, dall’altra il socialismo. L’imperialismo agisce come centrale unica del capitale monopolistico internazionale (allora non si diceva “multinazionali”). Gli stati erano “il comitato d’affari” locale dell’imperialismo internazionale. In Italia il partito di fiducia – l’espressione è di Togliatti – ne era la Democrazia cristiana».

La Commemorazione di Aldo Moro fu tenuta da Ingrao nella sua qualità di presidente della Camera ad apertura della seduta del 10 maggio 1978, all’indomani del ritrovamento della salma in via Caetani. «Erano nate una stima e un’amicizia», scrive Ingrao in Memoria (Roma, Ediesse 2019, p. 154. Il libro fu steso nel 1998) delineando quello di Moro nei suoi confronti come «un rapporto accompagnato anche da una informazione gentile sul suo pensiero», il che spiega l’intenso tenore, lontano dal protocollo, dell’elevato discorso.

Ci atteniamo in questo libretto ai tre testi della tragica primavera del 1978, ma ciò non ci esime dal rinviare il lettore interessato alla questione sollevata da Rossanda almeno alle limpide pagine di Ingrao contenute nel tredicesimo capitolo di Memoria (pp. 154-168) dedicate alla vicenda Moro nelle quali, tra l’altro, egli motiva come e perché abbia «faticato a riconoscere i brigatisti come ‘rossi’». Così come riteniamo utile richiamare contestualmente il lettore alla Prefazione che Rossanda appone a Brigate rosse: una storia italiana, l’intervista che, con Carla Mosca, fece nell’estate del 1993 a Mario Moretti (Milano, Anabasi, 1994, pp. VII-XXIII).

L’eliminazione di Aldo Moro ha segnato irreversibilmente la storia dell’Italia repubblicana.

Le inchieste, le istruttorie e le testimonianze, come i contributi e gli studi sul caso Moro, rivelano un disegno tanto mosso ed articolato quanto opaco in certi suoi raccordi centrali e sfrangiato, sfocato in più di un margine.

La realizzazione di quel disegno fu perseguita con successo grazie ad una strategia sapiente e priva di improvvisazioni, alimentata da dinamiche differenziate, ma tali da poter confluire, ciascuna a suo modo, entro l’alveo maggiore che si veniva loro tracciando a che, (concordia discors o discordia concors?), sincronicamente sfociassero nella soppressione di Moro.

In virtù di collaborazioni, concomitanti opportunità, interessi convergenti e attivi in un ampio e multiforme contesto, là dove equilibri interni ed internazionali si incrociano per conciliarsi, cospirando, ad imbastire e cogliere una favorevole contingenza al momento opportuno. A conferma di patti da lungo tempo serbati e rinnovati e, ora, nell’anno 1978, giunti a maturazione nella congiunzione che consente di realizzare il fine perseguito.

L’eliminazione di Moro scombina, blocca, storna il faticato cammino verso la piena realizzazione, in Italia, di una democrazia parlamentare compiuta nel rispetto dei dettami costituzionali, non più amputata da esclusioni preventive in nome di vincoli internazionali sanciti alla fine della seconda guerra mondiale.

Del resto, fino dal 1948 la salda compagine fedele allo spirito e alla lettera della Costituzione, composta da uomini pur di diverso sentire ideale e afferenti a partiti diversi, fu contrastata, in modo più o meno esplicito, dagli esponenti di quei medesimi partiti che si muovevano su posizioni dubbiose, di fatto ostili, per ragioni di Realpolitik alla Costituzione. Forze estranee ed ostili alla democrazia parlamentare per ragioni e principi anche lontani tra loro: dalla borghesia reazionaria alla componente comunistica rozzamente eversiva, dai nostalgici della Repubblica sociale agli apparati dello stato di educazione fascistica, fino alle frange anticomuniste dell’integralismo cattolico.

Par legittimo constatare che queste forze anticostituzionali, differentemente attive e diversamente dislocate, raramente sovrapponibili e, nelle dichiarazioni di intenti, opposte, trovarono la maniera di combinarsi nella fitta serie di atti terroristici, in crescendo, tra 1968 e 1978, fino a cancellare nel sangue la linea politica intesa a consolidare la democrazia repubblicana in Italia, che in Moro aveva il suo perno strategico. Un decennio ove ristagnano ombre dense e ancora non diradate. Così, pur dopo mezzo secolo, ogni documento che abbia attinenza con quella vicenda, e più alla luce della attuale condizione in cui versano le istituzioni democratiche, chiede di essere tenuto nella debita considerazione.

Qui il link al sito dell’editore

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