Un estratto dal libro di Walter Tocci, per gentile concessione dell’editore Donzelli

L’esaurimento delle tre rendite (statale, immobiliare e simbolica n.d.r.) è il filo conduttore di questo libro e avremo modo di tornarci in seguito. Qui, intanto, vale la pena tratteggiarne la periodizzazione in una breve storia a ritroso distinta in quattro fasi: negli ultimi 10 anni si sono aggravati tutti i fattori di malessere; bisogna capire perché la rinascita iniziata circa 25 anni fa non ha avuto seguito; per molti aspetti le cause discendono dallo sviluppo degli ultimi 50 anni; ma la ricerca delle radici più profonde mette in discussione l’intero ciclo dei 150 anni della capitale.

Della crisi esplosa negli ultimi 10 anni la pubblicistica ha raccontato gli aspetti contingenti, ma vale la pena riassumerne i principali fenomeni strutturali.

1. Il più grave di tutti è costituito dalle disuguaglianze sociali. Come hanno mostrato le Mappe di Keti Lelo, Salvatore Monni e Federico Tomassi, sono insostenibili gli squilibri tra centro e periferia in termini di reddito, occupazione, salute e istruzione. Nessun programma di governo sarà credibile se non proporrà azioni concrete per «rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana», secondo l’articolo 3 della Costituzione.

2. La questione ecologica si avverte in tutte le dimensioni del malessere urbano: l’inquinamento delle risorse vitali, la fragilità idrogeologica del territorio, l’incuria dello spazio pubblico e delle infrastrutture, l’inadeguatezza dei servizi di trasporto e di nettezza urbana.

3. Il collasso della classe politica è l’esito di due fallite ambizioni nazionali, di sinistra e di destra, seppure accompagnate da risultati nel primo caso molto positivi e nel secondo molto negativi per la città. In entrambi i poli c’è stato il tentativo di prendere la guida dei rispettivi schieramenti nazionali, facendo di Roma una capitale politica. Rutelli e Veltroni sono stati candidati a premier dal centrosinistra come riconoscimento del buon lavoro svolto come sindaci. Dopo le sconfitte elettorali però si è visto che dietro le loro leadership non era cresciuta una classe politica capace di proseguire e migliorare l’opera. Anche a destra, Storace e Alemanno tentarono di affermare la «destra sociale» come soluzione alla declinante leadership di Bossi e Berlusconi. Ma l’illusione è naufragata nei pessimi governi della Regione e del Comune che hanno lasciato solo macerie alle amministrazioni successive.

4. La criminalità ha sviluppato una potente rete di relazioni nazionali e internazionali. Le diverse mafie italiane – la ’ndrangheta, la camorra e le cosche siciliane – e quelle straniere – russe, slave, nigeriane – pur essendo abituate a occupare i territori in modo esclusivo sono riuscite a concordare patti di convivenza. Ciascuna organizzazione opera senza entrare in conflitto con le altre e tutte insieme cooperano come hub dei flussi mondiali della droga. Paradossalmente, solo nella criminalità rimane attiva la funzione mediatrice della capitale.

In questi quattro fenomeni emergenti si avverte l’esaurimento della rendita capitale. Non sarebbe bastato a mettere in ginocchio la città, però, se non fosse stato aggravato dalla crisi mondiale del 2008. Il povero linguaggio degli economisti ortodossi alimenta l’illusione che si possa tornare allo stesso tipo di crescita, come fosse un ordinario ciclo di stagnazione e sviluppo. Non è solo una crisi economica è una grande trasformazione del mondo, dei rapporti tra democrazia e potere, dei modi di produzione e di consumo, degli immaginari collettivi, dei rapporti tra le civiltà. E il decennio approda alla guerra mondiale contro la pandemia, modificando tutte le relazioni, da quelle interpersonali a quelle internazionali. Per certi versi solo adesso comincia il XXI secolo e si conclude non il breve ma il lungo Novecento.

[…]

Tutto comincia negli anni settanta, quando si pongono i grandi problemi che i decenni successivi non riusciranno a risolvere, fino a oggi. Questa dinamica è molto chiara in Italia, ma è meno evidente a Roma. Perché le crisi già innescate in quel decennio vengono oscurate dalla vittoria del movimento popolare di emancipazione nato nel dopoguerra.

Da questa tensione emerge la grandezza di Luigi Petroselli: non solo è stato il sindaco che in soli due anni ha lasciato un’impronta indelebile, ma la sua figura si erge sul crinale di due epoche storiche.

Diventa sindaco nel 1979 quando comincia un nuovo ciclo della politica mondiale, ma nel contempo porta a compimento le aspettative e i bisogni dei Trenta Gloriosi. Oltre la memoria affettuosa di tanti romani verso la sua persona, rimane l’interrogativo di come avrebbe saputo governare con il vento contrario degli anni ottanta.

L’irrisolvibile dilemma assume un significato tragico se si pensa alla modalità della morte, a Botteghe Oscure durante la riunione del Comitato centrale del Pci. Il suo cuore sofferente cessa di battere appena concluso un appassionato discorso sulla nuova fase della politica italiana e mondiale, per la prima volta in dissenso con Enrico Berlinguer.

Sentieri interrotti

Infine, merita una riflessione la conclusione del ciclo dei 150 anni.

Al tramonto di una storia torna sempre in mente l’inizio. Anche nelle vicende personali, quando comincia una vicenda d’amore o professionale o di impegno civile sono aperte molte strade, ma poi si prende una direzione e si abbandonano le altre. Quando la via prescelta arriva ad un cul-de-sac, vengono alla memoria i sentieri interrotti dell’inizio.

Gli obiettivi non realizzati a fine Ottocento costituiscono i sentieri interrotti di Roma capitale. E oggi appaiono paradossalmente come ambizioni per l’avvenire.

Gli intellettuali europei sollevavano due problemi nel dialogo con la sapiente classe politica della destra storica. In primo luogo il pericolo di limitare il carattere universale della città in un contenitore nazionale.

«Ma che cosa intendete fare a Roma? Questo ci inquieta tutti: a Roma non si sta senza avere di propositi cosmopoliti», così Theodor Mommsen ammoniva Quintino Sella dopo Porta Pia. E il ministro rispondeva che non sarebbe stata una città burocratica e neppure una città industriale, ma un centro di produzione della cultura.

Utilizzava un’espressione bellissima – il luogo del «cozzo delle idee» – per sottolineare il confronto e perfino il conflitto dei saperi come condizioni per la crescita della conoscenza. La rammemorazione di quel progetto è oggi un incoraggiamento a ripensare il carattere universale della capitale nella produzione culturale contemporanea.

C’era un altro interrogativo degli intellettuali europei45: come risolverete il problema dell’Agro romano? La letteratura del Grand Tour aveva rappresentato lo stupore e il timore dei visitatori nell’attraversare, dopo il bel paesaggio toscano, la campagna malarica, misteriosa e selvaggia, per poi trovarsi all’improvviso a Porta del Popolo, finalmente a Roma. Del grande vuoto il Belli ha dato una rappresentazione drammatica nel sonetto Er deserto: «l’unica cosa sola c’ho trovato/ in tutt’er viaggio, è stata una bbarrozza/ cor barrozzaro ggiù mmorto ammazzato».

Nei decenni post-unitari l’Agro diventa il tema di ricerca per diversi saperi: nella sanità, lo studio della malaria; in economia, lo studio pioneristico del giovane Werner Sombart sullo sviluppo locale; nell’ingegneria, le tecniche della bonifica; nella pittura, lo studio del paesaggio e così via. Nonostante il fervore ottocentesco di studi e di progetti, la Roma del Novecento ha risolto il problema nel modo peggiore, con la disseminazione edilizia nel territorio.

I programmi più ambiziosi di Roma capitale – il cozzo delle idee e la rinascita dell’Agro – sono stati negati o stravolti. Proprio questi sentieri interrotti, però, oggi indicano la via d’uscita dalla crisi della città coloniale. L’idea di Roma cosmopolita, al netto della retorica idealistica e positivistica, può essere attualizzata come Città Mondo aperta alla globalizzazione. Il problema della Campagna romana può trovare nuove soluzioni nella dimensione della Città Regione.

Non si tratta solo di un ampliamento di orizzonti globali e locali, ma è un cambiamento di paradigma. Se la capitale otto-novecentesca è stata generata dalla coppia nazione-città, la capitale del nuovo secolo troverà le sue opportunità nella coppia mondo-regione. La prima coppia ha attivato relazioni verticali, di natura politico-burocratica,

nell’economia esogena e protetta. La seconda coppia va pensata come un insieme di relazioni orizzontali, di natura sociale e culturale, nell’economia endogena e creativa.

Il futuro di Roma dipenderà meno dal rapporto Comune-Stato e si giocherà nelle due dimensioni più ampie e più aperte: che cosa saprà fare nelle relazioni internazionali e come saprà strutturare la sua area regionale.

In conclusione, i sentieri interrotti costituiscono la dolorosa domanda su come sarebbe stata la capitale se fossero stati realizzati i migliori propositi dell’Ottocento. La riflessione storica qui non solo non è pacificata ma sovverte il conformismo attuale e riapre la prospettiva.

Qui il link al sito dell’editore

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