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Attenti al polline! Come il riscaldamento globale peggiora le allergie

Inquinamento ambientale e aumento delle temperature hanno contribuito in modo decisivo al cambiamento climatico. L’alterazione significativa dell’ecosistema ha favorito la proliferazione di piante fortemente allergeniche il cui polline ha acquisito proprietà ancora più irritanti.
Pubblicato il 19 Settembre 2024
Ambiente, Materiali, Salute, Scritti, Temi, Materiali

Una storia istruttiva

Negli anni successivi alla fine della seconda mondiale, migliaia di cittadini statunitensi sofferenti di allergie e asma decisero di trasferirsi a Tucson in Arizona. Qualcuno aveva suggerito che in questa città i loro sintomi sarebbero miracolosamente migliorati. Ed era vero, per un motivo molto semplice: in Arizona le specie vegetali allergizzanti originarie del territorio erano poche e dunque meno pericolosi i pollini stagionali presenti periodicamente nell’aria.

Il consistente movimento migratorio verso quest’area, durato almeno due decenni, era però destinato a produrre una significativa modificazione dell’ambiente urbano sicché le rilevazioni effettuate nel corso degli anni ‘70 mostrarono che la quantità di pollini presenti nell’aria era aumentata di almeno 10 volte. Di chi la responsabilità? In primo luogo delle persone emigrate che, in ricordo delle piante che avevano ornato le case e i giardini dei luoghi nativi, avevano introdotto ex novo molte di queste specie nelle nuove residenze. Fra queste, gelsi, alcune specie di ulivo e gramigna costituivano il maggior pericolo dal punto di vista allergico. Ma, oltre a ciò, la rapida urbanizzazione dell’area aveva provocato un graduale aumento sia della temperatura ambientale che dei livelli di inquinamento, rendendo così Tucson un luogo assai meno salubre per le persone allergiche. Lo stesso fenomeno fu descritto in altre città nord-americane, dal Nevada al New Mexico, costringendo le amministrazioni locali a proibire la vendita di svariate specie vegetali produttrici di pollini “pericolosi” 1.

Tutto ciò suggeriva, forse per la prima volta, quanto la pressione incontrollata dell’uomo sull’ambiente possa condizionare negativamente la salute di coloro che lo abitano.

A proposito di allergie

I sintomi della cosiddetta febbre da fieno sono familiari per molte persone che soffrono di allergia: irritazione e gonfiore agli occhi, naso chiuso con abbondante secrezione di muco, respirazione difficoltosa, prurito alla gola etc. In almeno i due terzi dei casi l’allergene responsabile è l’ambrosia, un’erba infestante molto diffusa che fiorisce alla fine dell’estate e in autunno producendo un polline molto irritante che si disperde facilmente con il vento.

Cos’è un allergene?

È una sostanza di natura proteica che, in particolari condizioni di esposizione, induce la produzione nell’uomo di anticorpi della classe IgE in grado di innescare una reazione allergica. Quelli presenti nell’ambiente esterno (allergeni outdoor) possono essere di origine vegetale (pollini) o fungina (spore fungine), quelli presenti in ambiente domestico (antigeni indoor) possono essere di origine animale (acari della polvere, insetti, derivati epidermici, peli, forfore, piume), di origine fungina o occasionalmente pollini accumulati dall’esterno.

Attraverso una serie di interessanti esperimenti di laboratorio, è stato dimostrato che:

• l’ambrosia cresce più rapidamente e produce maggiori quantità di polline allorché la quantità di CO2 nell’aria aumenta (figura 1)2.Al ritmo di crescita attuale delle emissioni da combustibili fossili, la produzione di polline potrebbe pertanto aumentare del 60-100% entro il 2085;

• i pollini dell’ambrosia, indipendentemente dalla quantità presente nell’aria, incrementano il proprio potenziale allergico allorché il tasso di CO2 cresce, attraverso la produzione di una proteina altamente irritante per le vie respiratorie.

Fig. 1. La produzione di polline d’ambrosia è strettamente correlata all’aumento della CO2 (risultato ottenuto sperimentalmente in laboratorio)2.

Anche l’edera infestante, molto diffusa in America, ma recentemente identificata anche in alcune regioni italiane, cresce assai più rapidamente e diviene più “tossica” se la concentrazione di CO2 nell’atmosfera aumenta. Negli USA l’esposizione fortuita a questa pianta provoca ogni anno di oltre 350 mila casi di dermatite da contatto3. Anche in questo caso, in presenza di livelli elevati di CO2, la pianta produce una sostanza allergenica (urushiol) più potente in grado di scatenare reazioni allergiche particolarmente severe; inoltre, il suo ritmo di crescita tende a sopravanzare quello di altre specie vegetali con un impatto negativo sugli ecosistemi forestali a causa delle sue capacità infestanti.

In un importante studio retrospettivo sulla presenza e stagionalità dei pollini allergenici, apparso nel 2019 su Lancet Planetary Health, i ricercatori hanno analizzato i dati provenienti da 17 località sparse in diversi continenti nell’emisfero settentrionale, evidenziando un aumento dei pollini annuali in ben 12 località e un allungamento della stagionalità in 11. Anche in questo caso, l’aumento annuale delle temperature massime presentava correlazioni significative con il carico di pollini4.

Rimanendo in Italia, numerose segnalazioni documentano da tempo non solo una produzione aumentata di pollini per numerose specie tra cui betulla, ontano, cedro e ambrosia, ma anche un anticipo della stagione pollinica per artemisia, parietaria, graminacee e quercia 5.

Un studio effettuato in Liguria, per esempio, ha segnalato il prolungamento della stagione pollinica per la parietaria (fino a 85 giorni), l’olivo e il cipresso (18 giorni) con un anticipo della fase di impollinazione. Parallelamente nei soggetti esaminati è stato osservato un aumento della sensibilizzazione a tutti questi pollini 6.

In definitiva, più sostanze allergeniche nell’aria significano più attacchi di asma e rinite allergica per le persone che ne soffrono e, sotto questo profilo, la residenza nelle grandi città aggrava i rischi per questi soggetti a causa del c.d. effetto “isola di calore” che si verifica nelle aree urbane per la presenza di materiali (asfalto, rivestimenti degli edifici) che più facilmente assorbono il calore, unita alla relativa penuria di aree verdi. Tutto ciò favorisce da un lato la produzione di pollini e dall’altro l’inquinamento atmosferico (vedi oltre). Anche l’impatto economico appare, inutile dire, preoccupante se si pensa che solo negli USA allergie e asma costano annualmente più di 32 miliardi di dollari in termini di cure dirette e di perdita di produttività7.

I danni alla biodiversità

Peraltro, il cambiamento climatico non solo peggiora la condizione di coloro che già soffrono di allergia8, ma è in grado di innescare nuove allergie in persone precedentemente immuni da queste patologie, modificando profondamente i meccanismi di difesa che ogni individuo sviluppa naturalmente nei confronti di sostanze estranee all’organismo, grazie ai quali è possibile impedire o limitare al minimo la comparsa di danni alla salute.

In questa complessa dinamica giocherebbe un ruolo decisivo il declino in atto della biodiversità, vale a dire la scomparsa sempre più rapida di specie animali e vegetali (oltre 1 milione di specie a rischio!), anch’essa correlata in vario modo alle modificazioni del clima. Secondo questa ipotesi, ribadita recentemente in una dichiarazione ufficiale dalla World Allergy Organization, l’interazione fra la popolazione e un ambiente naturale biologicamente modificato, il cui patrimonio microbico si è drasticamente ridotto, provoca in ultima istanza una parallela alterazione del microbiota umano, cioè della flora batterica che vive abitualmente nel nostro organismo esercitando importanti attività di regolazione del sistema immunitario fra le quali, appunto, la predetta tolleranza nei confronti di sostanze estranee presenti nell’ambiente9.

L’alterazione del microbiota, anche detta disbiosi, aumenta di fatto il rischio di malattie infiammatorie e autoimmuni. L’esempio più classico, noto da tempo, riguarda la pratica diffusa del parto mediante taglio cesareo (e quindi non per via vaginale) o il mancato allattamento al seno che di fatto pregiudicano, proprio nella fase iniziale della vita, la fisiologica colonizzazione dell’organismo del neonato a opera dei germi ambientali, favorendo lo sviluppo nelle età successive di allergie respiratorie e alimentari10, 11.

Dati appena pubblicati e riferiti ad una popolazione inglese, indicano che il numero di persone con allergie alimentari è più che raddoppiato tra il 2008 e il 2018, con un tasso di incidenza in età prescolare che arriva al 4%. Ma un trend analogo è stato recentemente riportato da un gruppo di ricercatori italiani secondo i quali, in una popolazione infantile della Campania, fra il 2009 e il 2021 l’aumento delle allergie è stato del 34% nella fascia d’età tra 0 e 14 anni e addirittura superiore al 100% in quella da 0 a 3 anni12, 13.

Un fenomeno singolare: l’asma da temporale

Con questa denominazione si indica la comparsa di attacchi severi di asma in occasione di violenti fenomeni temporaleschi, la cui frequenza e intensità sono destinate ad aumentare con il cambiamento climatico.

La causa è rappresentata dalla diffusione massiva di pollini o spore fungine che, per effetto dell’umidità e della aumentata carica elettrostatica dell’atmosfera, si rigonfiano e vanno incontro a rottura. In tal modo si verifica un rilascio abbondante nell’aria di microparticelle presenti nei granuli di polline, le cui dimensioni particolarmente ridotte ne facilitano la penetrazione nelle vie respiratorie favorendone lo spasmo e quindi l’innesco di una crisi asmatica che in soggetti particolarmente predisposti o curati male può rivelarsi estremamente pericolosa14, 15.Catastrofico fu l’evento verificatosi nel 2016 a Melbourne, in Australia, che fece registrare in poche ore un aumento di ricoveri al Pronto soccorso del 360 %, il ricorso in alcuni casi alla terapia intensiva e 10 decessi. Il fenomeno si è ripetuto un po’ dovunque ed è stato descritto più volte anche in Europa (figura 2)16.

Legenda (in senso orario): Piante in fioritura; granuli di polline integri > 30 μm (micron); granuli di polline integri dispersi nelle nuvole; rottura dei granuli di polline per effetto osmotico ed elettrostatico; i venti trasportano a distanza gli aeroallergeni; correnti discendenti trascinano al suolo le particelle; particelle di polline < 2,5 μm, piccole spore fungine (o frammenti).

Pollini e inquinamento

A complicare ulteriormente la situazione vi è l’interazione fra i pollini allergizzanti e le sostanze inquinanti presenti nell’atmosfera da cui scaturisce il probabile potenziamento reciproco dei singoli effetti.

Per esempio, con una concentrazione elevata di ozono a livello del terreno la quantità di pollini necessaria a scatenare una crisi allergica/asmatica risulta assai inferiore. L’ozono rende le vie respiratore più sensibili agli allergeni e altrettanto fanno le particelle inquinanti emesse dai motori diesel. In quest’ultimo caso è stato dimostrato come i granuli di polline aderiscano strettamente alle polveri inquinanti penetrando profondamente nei polmoni dove permangono a lungo. Infine, secondo alcuni studi, le piante cresciute in ambienti inquinati producono polline più ricco di proteine allergizzanti17.

Conclusioni

Inquinamento ambientale e aumento delle temperature hanno contribuito in modo decisivo al cambiamento climatico. L’alterazione significativa dell’ecosistema ha favorito l’invasione di specie animali e vegetali in grado di adattarsi meglio al caldo e alla siccità. Oltre alla diffusione di insetti vettori di malattia a latitudini finora sconosciute, abbiamo assistito alla proliferazione di piante fortemente allergeniche il cui polline, oltretutto, ha acquisito, grazie al clima, all’inquinamento e all’aumento della CO2 nell’aria, proprietà ancora più irritanti. Complessivamente, il cambiamento climatico ha alterato il profilo di molte sostanze ambientali cui il nostro organismo è sottoposto, con il reale pericolo che i nostri sistemi di tolleranza, pur sofisticati, vengano inattivati.

Se è vero che il nostro organismo ha una capacità straordinaria di adattarsi ai mutamenti ambientali, è pur vero che tale adattamento richiede generazioni. Pertanto, è assolutamente urgente che la popolazione sia consapevole delle minacce immediate per la propria salute determinate dalla nuova situazione climatica. I pazienti allergici al polline, per esempio, dovranno essere assai più consapevoli dei rischi legati alla insorgenza di crisi asmatiche in particolari ambienti o condizioni climatiche nonché adottare rigide precauzioni quando si deve soggiornare all’aperto nella stagione delle fioriture.

Il cambiamento climatico non è più solo una questione che investe il futuro, ma riguarda tutti noi qui ed ora; se non agiamo subito il suo impatto sulla salute umana può solo peggiorare.

Riferimenti

1 Mitman G. Breathing Space: How Allergies Shape Our Lives and Landscapes. New Haven, Connecticut: Yale University Press 2007: pp.312.

2 Ziska LH, Caulfield FA. Rising CO2 and pollen production of common ragweed (Ambrosia artemisiifolia L.), a known allergy-inducing species: implications for public health. Functional Plant Phisiol 2000; 27: 893-8.

3 Bronstein AC, Spyker DA, Cantilena LR Jr, Green JL, Rumack BH, Giffin SL. 2008 annual report of the American Association of Poison Control Centers’ National Poison Data System (NPDS): 26th annual report. Clin Toxicol 2009; 47: 911-1084.

4 Ziska LH, Makra L, Harry SK, et al. Temperature-related changes in airborne allergenic pollen abundance and seasonality across the northern hemisphere: A retrospective data analysis. Lancet Planet Health 2019; 3: e124-e131.

5 D’Amato G, Chong-Neto HJ, Monge Ortega OP. The effects of climate change on respiratory allergy and asthma induced by pollen and mold allergens. Allergy 2020; 75:2219-28.

6 Ariano R, Canonica G W, Passalacqua G. Possible role of climate changes in variations in pollen seasons and allergic sensitizations during 27 years. Ann Allergy Asthma Immunol 2010; 104:215-22.

7 American Lung Association. 2010, Trends in Asthma Morbidity and Mortality. Available at: http://www.lungusa.org/finding-cures/for-professionals/asthmatrend-report.pdf (Accessed March 22, 2010).

8 Katelaris CH, Beggs PJ. Climate change: Allergens and allergic diseases. Intern Med J 2018; 48, 129–34.

9 Haahtela T, Holgate S, Pawankar R, et al; WAO Special Committee on Climate Change and Biodiversity. The biodiversity hypothesis and allergic disease: World allergy organization position statement. World Allergy Organ J 2013; 6: 3.

10 Bridgman SL, Kozyrskyi AL, Scott JA, Becker AB, Azad MB. Gut microbiota and allergic disease in children. Ann Allergy Asthma Immunol 2016; 116: 99–105.

11 Blázquez AB, Berin MC. Microbiome and food allergy. Transl Res 2017; 179: 199–203.

12 Turner PJ, Baseggio Conrado A, Kallis C, et al. Time trends in the epidemiology of food allergy in England: an observational analysis of Clinical Practice Research Datalink data. Lancet Public Health 2024; 9:e664-e673.

13 Nocerino R, Carucci L, Coppola S, et al; Italian Society of Pediatric Gastroenterology and Nutrition (SIGENP). Epidemiology of Paediatric Italian Food Allergy: Results of the EPIFA study J Allergy Clin Immunol Glob 2024; 3:100246.

14 Chatelier J, Chan S, Ann Tan J, Stewart AG, Douglass JA. Managing exacerbations in thunderstorm asthma: current insights. J Inflamm Res 2021; 14:4537-50.

15 D’Amato G, Annesi-Maesano I, Cecchi L, D’Amato M. Latest news on relationship between thunderstorms and respiratory allergy, severe asthma, and deaths for asthma. Allergy 2019; 74:9–11.

16 Damialis A, Bayr D, Leier-Wirtz V, Kolek F. Thunderstorm Asthma: in search for relationships with airborne pollen and fungal spores from 23 sites in Bavaria, Germany. A rare incident or a common threat? J Allergy Clin Immunol 2020; 145: AB336.

17 D’Amato G, Liccardi G, D’Amato M, Cazzola M. Outdoor air pollution, climatic changes and allergic bronchial asthma. Eur Respir J 2002; 20: 763–76.

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