Nell’ultimo periodo le osservazioni critiche sull’auto elettrica, anche molto dure, in parte almeno alimentate dalla recente decisione della UE di proibire la produzione e la vendita di vetture ad energia fossile a partire dal 2035, si sono sviluppate fortemente. Esse sono state spinte intanto da interessi economici forti e consolidati, ma anche da legittime preoccupazioni sul futuro del lavoro e dei processi di mobilità, dalla (inevitabile) insufficienza di tale mossa ai fini della lotta ai cambiamenti climatici, dall’opportunismo palese di una parte consistente della classe politica, nonché dalla crescente ostilità dei paesi occidentali, a partire dagli Stati Uniti, verso la Cina, paese leader in tuta la filiera delle vetture. In queste note cerchiamo di fare sommariamente il punto sulle numerose questioni sollevate, mente comunque il settore si va sviluppando a grande velocità senza porre grande attenzione ai ‘disturbatori’.
La direttiva UE
Il settore del trasporto è il più importante produttore di CO2 al mondo, pesando per circa il 30% delle emissioni globali (più della metà di esse provengono dall’auto individuale); esse continuano ad aumentare mentre in altri campi c’è qualche segnale di frenata. L’aumento è dovuto, tra l’altro, alla crescita del peso delle vetture (la moda dei famigerati SUV), oltre che a quella del numero dei veicoli circolanti.
Di fonte a questo quadro l’UE ha deciso che a partire dal 2035 sarà proibita nel territorio dell’Unione la vendita di vetture diesel e a benzina.
L’opposizione alla misura in Italia è intanto da attribuire a una destra violentemente antiecologica, ma che ufficialmente afferma che la data del 2035 è troppo vicina, riprendendo apparentemente le preoccupazioni degli industriali della componentistica, molti dei quali rischiano di chiudere i battenti, ma anche del sindacato, che vede una concreta minaccia di perdita di posti di lavoro (si parla di molte decine di migliaia di unità). Tale minaccia è da collegare sia al mutamento radicale delle tecnologie, che molte imprese faticano a seguire, che alla molto maggiore semplicità produttiva delle nuove vetture.
Ma, secondo alcune previsioni, nel 2030, con l’attuale trend, l’insieme delle vetture elettriche circolanti nel mondo rappresenteranno soltanto il 10% del parco totale e vi saranno ancora 1,5 miliardi di vetture alimentate dalla benzina o dal diesel, 150 milioni in più di oggi. Appare evidente così che bisognerebbe semmai accelerare il ritmo di sostituzione delle auto a energia fossile con quelle elettriche. Un traguardo più corretto sarebbe appunto il 2030 (Comito, 2023).
L’Italia e anche in parte la Germania hanno poi insistito con Bruxelles per ottenere la possibilità di escludere dal bando alcuni altri carburanti alternativi (bio-fuel e e-fuel). Ma si tratta di tentativi senza un grande futuro; la scelta dell’elettrico è ormai scontata e tutti i produttori del mondo stanno cercando di accelerare al massimo il passaggio. C’è da aggiungere che soprattutto quelli giapponesi hanno puntato la loro attenzione sull’idrogeno, ma la gran parte degli esperti sono dell’opinione che non si tratti di un carburante che possa avere un futuro, almeno per quanto riguarda le vetture individuali.
In relazione alle difficoltà delle imprese e a quelle dell’occupazione il pericolo è certamente reale, ma bisogna dire che l’unica via corretta per affrontarle sarebbe da parte del Governo quella di aiutare le imprese a gestire il cambio di tecnologia, con una politica di ampio respiro che incoraggi il rafforzamento finanziario e tecnologico del settore, spinga agli accorpamenti di imprese, incoraggi la diversificazione produttiva, nonché la ricerca nelle nuove tecnologie e gli accordi internazionali. Ritardare il processo di cambiamento significherebbe perdere ancora di più posti di lavoro e assistere a maggiori crisi delle imprese, dal momento che le principali società del mondo hanno già scontato il passaggio al tutto elettrico, mentre alcune di esse, nonché alcuni Stati, anticiperanno perfino la data di dismissione delle vetture tradizionali.
Alcuni aspetti tecnici
Altre osservazioni critiche sulla vettura elettrica riguardano alcuni aspetti ‘tecnici’ della questione, il fatto che l’autonomia dei nuovi veicoli appare piuttosto ridotta, inoltre con dei tempi di ricarica molto lunghi, tra l’altro con le colonnine di ricarica piuttosto rare, infine con i prezzi delle vetture molto elevati, che ne impediscono l’accesso alle classi meno abbienti.
Per quanto riguarda tali problemi, bisogna ricordare che essi verranno progressivamente risolti e per alcuni aspetti lo sono già. Ricordiamo intanto che una vettura del gruppo Geely, a marchio Zeekr, già sul mercato, raggiunge i 1.000 chilometri di autonomia, mentre anche altre case stanno facendo passi avanti sulla questione. La Nio persegue un’altra strada, quella della sostituzione rapida della batteria (in cinque minuti), soluzione che risolve indirettamente anche il problema dell’autonomia. Per quanto riguarda i costi, con il progresso tecnologico in atto e le economie di scala prodotte da un livello di produzione crescente il problema si risolverà entro qualche anno. Si sta lavorando in particolare sul fronte delle batterie, che costituiscono il 40% del costo di un’auto elettrica. Peraltro la questione è già nella sostanza superata in Cina, dove si trovano da qualche tempo sul mercato vetture a un prezzo pari a quello delle auto tradizionali.
Di fronte al problema del costo va ricordata la promessa fatta qualche tempo fa dal governo francese (Fay, 2023) di riuscire a mettere in campo rapidamente un dispositivo che permetta di prendere in affitto una vettura elettrica a 100 euro al mese, in modo tale da consentirne l’accesso alle famiglie a redditi modesti.
Ma il problema appare al momento di molto difficile soluzione e le sole vetture in grado di sostenere una tale offerta di finanziamento sono fabbricate in Cina, mentre il Governo vorrebbe fare del veicolo elettrico uno strumento di reindustrializzazione del paese, cosa impossibile da ottenere a quel costo anche con forti sovvenzioni pubbliche. Anche le vetture meno care presenti sul mercato di Oltralpe, dalla Renault Zoe alla Fiat 500 elettrica, alla Peugeot e-208, sono troppo care e comunque le batterie, che rappresentano, come già ricordato, il 40% del costo, sono di nuovo fabbricate in Cina.
Il ciclo completo
Sul fronte ambientalista in particolare si tende a sottolineare come la messa in commercio della vettura elettrica non basti certo a risolvere i problemi dell’inquinamento di tutto il ciclo produttivo di tale auto, dal momento che esiste la questione legata allo smaltimento nell’ambiente delle vetture alla fine del loro ciclo di vita, con, tra l’altro, i molti metalli inquinanti presenti nelle batterie; c’è poi il problema dell’estrazione delle materie prime necessarie alla produzione, infine lo stesso processo di produzione finale. Su questo ultimo punto va detto che molte case auto si stanno adeguando per renderlo pulito; la BMW ad esempio lo farà entro il 2025. Sulle batterie usate in particolare in Cina, ma non solo, si stanno investendo decine di miliardi di dollari in impianti per lo smaltimento dei residui e il loro riciclo. Siamo apparentemente indietro per quanto riguarda invece il processo di estrazione delle materie prime.
Ma bisogna considerare che intanto in Norvegia, paese nel quale si vendono ormai quasi soltanto auto elettriche, l’aria delle città è nettamente migliorata ed è molto più respirabile. Tali vantaggi si dovrebbero presto vedere anche negli altri paesi del Nord Europa, nei quali pure l’uso dell’auto elettrica appare sempre più forte, mentre ci si trova di fronte a una grande efficienza dei servizi pubblici e a un uso molto ampio delle biciclette, elettriche e non. Su tutti tali fronti l’Italia appare agli ultimi posti in classifica.
Il trasporto collettivo
Il contributo dell’auto elettrica alla lotta contro il cambiamento climatico appare importante, ma ancora largamente insufficiente per combattere la crisi climatica nel settore dei trasporti. Si dovrebbe da una parte, come già accennato, accelerare la sua introduzione nei vari paesi, dall’altra coprire sempre più velocemente dal punto di vista ecologico tutto il ciclo di produzione della filiera. Ma si tratta a oggi in Europa dell’unica misura esistente e di qualche peso ai fini del miglioramento dell’ambiente.
Comunque l’introduzione di tale tecnologia avrebbe dovuto anche essere un’altra occasione per ripensare il peso ormai insostenibile dell’auto individuale nei trasporti e spingere invece sempre più verso quelli collettivi. Il che non è stato. Anche in questo caso non si può non rilevare come i soli sforzi rilevanti su tale piano siano costituiti dal fatto che è in atto da tempo in Cina una massiccia produzione di autobus elettrici. Se ne producono nel paese e se ne usano molto di più che nel resto del mondo messo assieme (il 90% degli autobus a zero emissioni erano utilizzati nel 2022 in tale paese), mentre cresce la loro esportazione nel resto del mondo. Si assiste inoltre nel paese asiatico a un altrettanto imponente programma di costruzione di linee ad alta velocità ferroviaria, di nuovo senza pari al mondo, nonché di produzione di biciclette elettriche.
La prossima introduzione dell’auto elettrica a guida autonoma dovrebbe aumentare la facilità e rapidità d’uso delle vetture, abbattendo i costi per incentivare la creazione di grandi centrali di servizio, magari pubbliche, che spingano in direzione dell’affitto invece dell’acquisto.
L’auto elettrica e l’Occidente
Quando tra il Cinquecento ed il Seicento l’Olanda cercava di diventare la potenza marittima dominante in Europa il giurista e umanista Ugo Grozio pubblicò un testo poi diventato famoso, Mare liberum, in cui predicava i grandi vantaggi della libertà di navigazione, allora fortemente impedita nel continente. L’Olanda diventerà poi effettivamente la prima potenza marittima europea, ma a questo punto nessuno parlerà più di libertà dei mari; quando, ad esempio, in un certo momento Genova, ormai decaduta dal ruolo di grande potenza commerciale e finanziaria, cercò di inviare una piccola flotta verso l’Asia per concorrere al fiorente commercio con quelle terre lontane, vide la squadra navale affondata dalle navi olandese non appena uscita dal porto.
Una cosa sostanzialmente analoga rischia fortemente di accadere adesso con l’esportazione dei prodotti cinesi. Gli occidentali per molti decenni, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, hanno predicato al mondo i vantaggi dell’apertura delle frontiere e del libero commercio. Ma ora che i prodotti cinesi dilagano con facilità per il mondo la musica sta cambiando.
In particolare fa colpo la notizia che nel primo semestre del 2023 la Cina è ormai diventata la prima esportatrice mondiale di vetture, grazie in particolare al suo predominio in quelle elettriche, settore nel quale la produzione cinese nel 2022 è stata all’incirca pari al 60% del totale mondiale, mentre il paese domina l’intera filiera produttiva, dall’estrazione e lavorazione delle materie prime, alla produzione delle batterie e al suo smaltimento alla fine del loro ciclo di vita, alla produzione e distribuzione delle vetture, alla produzione del software.
I vantaggi in termini di costi delle vetture cinesi rispetto a quelle occidentali si aggira sul 20-30%, secondo i casi.
La risposta dell’Occidente rispetto a questa crescita appare tendenzialmente quella di porre delle barriere all’entrata sotto vari pretesti.
Negli Stati Uniti il blocco sostanziale delle auto e delle batterie cinesi si è fatto con l’Inflation Reduction Act; nell’UE le auto cinesi sono ancora libere di circolare, ma i dirigenti della UE stanno cercando ogni pretesto per cercare di bloccarle. Ma essi si scontrano in particolare con l’ostilità della Germania, che teme ovviamente contromisure in Cina contro i suoi produttori che lì hanno il loro principale mercato. Intanto comunque in Francia, mentre la Renault firma importanti accordi con i cinesi, il Governo ha in progetto di bloccare le auto di quel paese pretendendo che le vetture siano fabbricate in Europa perché esse godano di agevolazioni fiscali.
Una delle vie con cui in Occidente, e dunque anche in Europa, si cerca di bloccare le auto cinesi è la questione della sicurezza (Miller, 2023). Oggi in un’auto media sono inseriti più di 1.000 chip diversi e software relativi. Così si può sostenere che attraverso le apparecchiature si possono trasferire in Cina dati sensibili. Ma seguendo tale logica, alla fine bisognerà bloccare tutte le merci cinesi, dal momento che esse contengono appunto sempre più chip e programmi di software.
Per altro verso bisogna sottolineare che almeno oggi appare molto difficile fare a meno delle tecnologie cinesi in tuta la filiera e in effetti diverse imprese occidentali – da Audi, a Renault, a Ford – hanno sviluppato e stanno sviluppando accordi di vario tipo con i produttori di quel paese. Altri seguiranno.
Testi citati nell’articolo
– Comito V., Come cambia l’industria, Futura editrice, Roma, 2023.
– Fay S., “Le défi de la voiture électrique pour tous”, Le Monde, 13 luglio 2023.
– Miller C., “As chinese cars speed into global markets, tensions will only escalate”, Financial Times, 13 luglio 2023.
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