Interventi

Questo al final ha rappresentato Maradona, tutto Maradona, l’autobiografia di una equazione senza risultato, come diceva Guccini con riferimento all’Argentina, e cioè l’autobiografia di un sogno che, in Argentina, è sempre rimandato, in una tensione che a volte non si regge. Ma che poi, senza motivo, e senza preavviso, all’improvviso si dirada, e la vitalità prende di nuovo il sopravvento.

El hombre que está solo y espera, come dice il titolo di uno straordinario saggio di Scalabrini Ortiz, ed è esattamente in questo eterno aspettare, in questo permanente rigenerarsi in vista di un nuovo obiettivo che vi è l’essenza di Maradona, l’unità del calcio e della vita, il quale, per rigenerarsi, è costretto a trovare, o a creare, artificialmente, sempre nuovi ostacoli da superare, o nuovi nemici, e quindi è costretto a produrre una continua, e sempre rinnovata instabilità, dentro la quale la distruzione e l’auto-distruzione sono sempre in agguato, e accompagnano sempre, come un ombra, il rigenerazionismo, il quale non si può mai separare definitivamente da esse.

Una equazione senza risultato, appunto, come diceva Guccini in Argentina, che produce, tuttavia, una straordinaria bellezza, la bellezza di una vitalità poggiata integralmente sulla tragedia, e che non può vivere e muoversi senza di essa.

Ecco, dunque, la non possibile risoluzione dell’enigma Maradona. Perché risolverlo, infatti, significherebbe compiere una cesura, una profonda recisione verso un corpo, invece, per sua costituzione unitario, nelle sue molteplici contraddizioni. La tensione all’unificazione di arte e vita, di genio calcistico e finitezza umana, in un essere umano che ha tentato, nel corso della sua esistenza, di tenere insieme le proprie infinite potenzialità, senza scegliere mai definitivamente una volta per tutte tra dolore e gioia, tragedia e rivoluzione, catastrofe ed ‘amor fati’. Questo era, mai risolutivamente, Maradona, e questo ciò che attrae repulsivamente anche i suoi detrattori.

Al limite dell’esistenza, in un continuo fluire tra la soglia e ciò che la eccede, seguendo quel principio speranza di ‘batterli, come cantava David Bowie, solo per un giorno’. Circolarmente, ritorniamo, alla tematica del rigenerazionismo, che porta con sé quella del nemico. Nemico, che non assume mai, completamente, le sembianze dell’Estraneo. E questo perché l’Altro, in Maradona, è, prima di tutto, l’altro del sé, il senza fondo della propria esistenza, la quale, per restare in vita, tuttavia, ha bisogno di storicizzarsi, in una continua creazione di pericoli e soluzioni. Oscillare tra interno ed esterno, dunque, in una continua interscambiabilità delle due dimensioni, nella ricerca di un senso rivoluzionario a quell’abisso da cui si proviene. E questo, anche se poi la durata non fosse che ‘un solo attimo di beatitudine’.

E Napoli come epifania di questa ‘armonia dissonante’, nello spazio di una ‘rivoluzione breve’. Diego, come il ‘grimaldello della rivoluzione’ di una città che nel suo statico movimento di disgrazia e ironia sembrava non avere la possibilità dello sbocco dell’autentica ribellione. ‘Solo la rivoluzione crea lo spazio libero della città’, scrive Benjamin, e la Napoli di quegli anni sembra essere la manifestazione di quella ‘festa del tempo’, in cui libertà e comunità tentano di fondersi. Come in ogni altro momento della esistenza di Maradona, tuttavia, anche a Napoli non è presente la problematica della durata, mostrandosi, dunque, l’altro lato della ‘Maradoniana rivoluzione’, la inclinazione innata all’autodistruzione.

Una durata non possibile in quel ‘cosmo immanente’, e che, tuttavia, ha avuto una sua manifestazione nella smisurata discendenza dei ‘figli spirituali’. ‘Adolescenti dicono i suoi versi. Trascorrono in quegli occhi vivi le sue visioni’, scrive Kavafis, e tra questi migliaia di adolescenti, vi è il ‘figlio prediletto’, Lionel Messi, l’altra faccia di Diego, e, probabilmente, della nazione argentina. Messi/Maradona, non dualismo tra ragione e passione, bensì, traendo origine da un comune Genio calcistico, due modalità differenti di relazione con l’altro del Sé, il fondo vuoto da cui si proviene. Il Genio di Messi come ‘Katechon’, trattenere la venuta dell’autodistruzione, nella nostalgia della durata. Far coincidere, autenticamente, esistenza ed arte, solo quando il mondo lo richiede. Il Genio di Maradona, invece, come montagna russa, danza nell’abisso. Proprio come in quella bellissima immagine, con cui concludiamo, in cui, prima di uno Stoccarda-Napoli, di fronte ad uno stadio attonito, il suo corpo comincia, o, forse, riprende, a ballare.

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