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In un negozio di Ginevra vendono per due franchi e mezzo una cartolina che mostra un branco di lupi avvicinarsi minaccioso a un gregge di agnelli e il capo branco rivolgere al gregge questa frase ultimativa: “Per dirla francamente, né i miei amici né io siamo interessati a una soluzione negoziata”.

Osservando meglio qualcuno si chiederà: strano che i lupi siano usciti dal loro rifugio boscoso per avventurarsi su prati aperti e attaccare un intero gregge al pascolo; dovrebbero sapere che dietro ogni gregge ci sono pastori ben armati e pronti a sparare. Che cosa aveva spinto i lupi a uscire allo scoperto? Evidentemente erano minacciati a loro volta da un nemico in avvicinamento sul retro del bosco.

Improbabile che la cartolina si trovi in vendita anche dentro il Palazzo dell’ONU di Ginevra: troppo allusivi i richiami a un Putin in veste di capo branco ringhioso, deciso a rifiutare qualsiasi compromesso al gregge ucraino (“né i miei amici né io siamo interessati a una soluzione negoziata”). Ed è immaginabile che la minaccia in arrivo aldilà del bosco – spingendo i lupi a uscire e attaccare allo scoperto – si chiami NATO. Perfino Papa Francesco ha protestato che da anni la NATO non fa che “abbaiare alle porte della Russia”.

Che il pericolo sia reale o virtuale poco importa, perché il Cremlino resta convinto che il pericolo è “esistenziale”. Ciò che conta è la percezione di essere accerchiati. Forse noi, stretti fra le Alpi e il mare, sorridiamo all’idea che il Paese più esteso del globo si senta accerchiato; eppure è così, e solo così si spiega perché i tre quarti dei russi approvino tuttora la “operazione militare speciale”. Certo, la propaganda del regime è martellante; e il popolo russo è notoriamente facile preda delle teorie del complotto. Ma la realtà è che gran parte dei russi teme la prossimità – dall’Artico fino al Mar Nero senza soluzione di continuità – della NATO, un apparato militare che nel suo insieme spende quasi venti volte più di Mosca. Significativo è un recente sondaggio del Pew Research Center in Russia: in dieci anni i sentimenti anti-americani sono cresciuti dal 32% al 71% della popolazione.

L’adesione della Finlandia all’Alleanza atlantica ha avvicinato le forze della NATO a sole 100 miglia dalla base navale di Severomorsk, dove sono attraccati 13 dei 23 sottomarini russi armati di ordigni nucleari. Inoltre, lungo l’intero confine orientale la NATO sta moltiplicando le forze di pronto intervento; e il suo Segretario generale Stoltenberg, ripete ogni giorno (a nome di tutti noi!) che l’Ucraina entrerà prima o poi nella NATO. Ormai, l’assenza di una zona tampone con la Russia espone l’Europa a deflagrazioni peggiori di quelle che l’hanno devastata nel Novecento. Le distruzioni in corso nella martoriata terra ucraina richiamano già alla mente le trincee, il fango, i corpi abbandonati dei caduti, le vittime civili della Grande Guerra, da Verdun ai laghi Masuri. Diceva Erasmo da Rotterdam: “Homo homini aut deus aut lupus”. Davanti a questo aut aut Putin, ritenendosi braccato, ha scelto di essere lupo, al punto da far strage di una parte del “mondo russo” che si era staccata dal gregge.

Per singolare che appaia, uno dei luoghi dove le conseguenze della crisi si fanno sentire è qui a Ginevra. Non in città, dove si vive bene (anche troppo, visto che risiedono qui le potenti e discretissime banche d’affari e società di trading intente a incassare pingui profitti di guerra). Mi riferisco al Palazzo delle Nazioni Unite e alle sue varie Agenzie (OMC, OMS ILO, UNHCR, ecc.) che hanno sede a Ginevra.

Si respira un’aria d’impotenza, che non si spiega unicamente con la war fatigue o con la donor fatigue. Ogni Agenzia dell’ONU sta affrontando difficoltà crescenti nel proprio campo d’azione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità è soggetta ai voleri e ai ricatti dei grandi Paesi, perché solo un 20% del suo bilancio proviene dai contributi obbligatori degli Stati. L’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR) non riesce più a tener testa al dilagare dei milioni di fuggitivi in cerca d’aiuto. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) è invischiata in un grave scandalo per aver chiuso non uno ma due occhi sulle condizioni disumane in cui lavoravano (e morivano) gli immigrati assunti dal Qatar in vista della Coppa del mondo di calcio.

Per non parlare dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Dopo aver assunto per anni a un ruolo arbitrale nelle controversie commerciali fra Stati, ora si trova impotente a frenare le spinte protezionistiche e il rialzo di barriere in mezzo mondo in nome di una presunta “sicurezza nazionale”. Di recente gli Stati Uniti – paladini del libero commercio! – hanno impedito di fatto all’OMC di funzionare bloccando la nomina dei componenti del suo vitale organo d’appello. Scendendo verso il lago, l’elegante villa che ha ospitato per decenni il GATT, predecessore dell’OMC ora s’intravvede appena; perché vi svetta accanto un banale edificio moderno, tanto grande quanto inutile se le future schermaglie commerciali verranno combattute al di fuori dell’OMC.

Anche le civilissime Convenzioni di Ginevra – le quattro Convenzioni sul diritto umanitario in tempo di guerra – vengono ignorate quanto e più di prima, perfino nella stessa Europa dove furono concepite nel 1949.

Il castello istituzionale che si era edificato nel dopoguerra sulla base della Carta di San Francisco sta perdendo pezzi. Lo si avverte a Ginevra ancor più che a New York. Per un motivo. Chi percorre i corridoi ed entra nelle aule dell’augusto palazzo che fu sede della Società delle Nazioni tra le due guerre mondiali viene assalito da un presentimento spettrale. Lì dentro si era compiuto il destino del primo tentativo di realizzare il sogno di Kant; quell’embrione di “pace perpetua” non aveva retto ai colpi di maglio inferti dalle stesse potenze che l’avevano istituito: prima gli USA bocciando la ratifica di adesione, poi il Giappone imperialista invadendo la Manciuria, infine la Germania nazista e l’Italia fascista… Ciò che può accadere nel prossimo futuro è avvolto nell’incertezza; ma lo spettro del fallimento che nel Novecento aveva trascinato il mondo in un conflitto globale incombe nuovamente sul Palazzo delle Nazioni. E non basta la fioritura dei prati circostanti né la vista del lago sullo sfondo a rasserenare gli animi.

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5 commenti a “Cartolina da Ginevra sullo stato delle istituzioni internazionali”

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