La pubblicazione, lo scorso anno, di un rapporto – il primo in assoluto – sulla situazione dei difensori dei diritti umani in alcuni paesi membri dell’OSCE tra cui l’Italia, stilato sulla base di informazioni e dati raccolti nel corso di una missione inedita nel nostro paese fornisce elementi e occasione per riflettere sulle problematiche relative a chi difende i diritti umani nel nostro paese e ne soffre spesso le conseguenze. Conseguenze dal punto di vista penale, spesso, o relative alla propria incolumità personale come nel caso di attivisti, amministratori, o giornalisti minacciati dalla criminalità organizzata. O più in generale relative a quello che in gergo si definisce “restringimento degli spazi di agibilità civica” in inglese “shrinking civic spaces”. Nel corso degli ultimi anni abbiamo potuto assistere alle implicazioni di tale dinamica, innescata spesso dai governi di turno che di volta in volta hanno stigmatizzato o criminalizzato chi – ad esempio – praticava soccorso in mare o solidarietà con i migranti. O ricorrendo alla pura repressione, come nel caso di movimenti per la tutela dei territori dalle grandi opere inutili e dannose, ad esempio nei casi dei movimenti No TAP o No TAV, e quelli in particolare di Nicoletta Dosio e Dana Lauriola. Situazioni che si pensava fossero esclusivamente riferibili a paesi lontani, abituati come siamo a guardare altrove quando quelle contraddizioni esplodono a casa nostra. E la questione dei difensori dei diritti umani ne è la prova. Il nostro paese sostenne a suo tempo l’adozione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni unite della Dichiarazione sui difensori dei diritti umani, e si è impegnato a promuoverne l’applicazione e riconoscere il ruolo centrale dei difensori nelle politiche relative ai diritti umani presso organismi internazionali quali il Consiglio Onu sui Diritti umani.
Ma a parte i pronunciamenti resi in quelle sedi a sostegno dei difensori e delle istituzioni dedicate alla loro protezione, quali la figura del relatore speciale Onu sui difensori dei diritti umani, colpisce l’assenza di un impegno concreto e verificabile riguardo la situazione nel nostro paese. Probabilmente dovuta alla scarsa consapevolezza degli impegni assunti e alla scarsa dimestichezza con strumenti quali le linee guida Osce, la frammentazione delle varie competenze, la poca rilevanza attribuita al tema nel settore giudiziario, che spesso si è trovato in prima fila nei processi di criminalizzazione e l’uso del “lawfare” contro difensori dei diritti dei migranti. E indubbiamente anche a causa della scarsa percezione da parte di movimenti per i diritti, associazioni e individui del fatto che difendendo i diritti umani diventano essi stessi soggetti di tutela e diritti, oltre che “protetti” dal diritto internazionale contro ogni forma di stigmatizzazione o criminalizzazione. I casi più evidenti delle Ong che praticano soccorso in mare, o di singoli soggetti e associazioni solidali con migranti e rifugiati, e per questo accusate di favoreggiamento di immigrazione clandestina, ne sono la riprova. Da una parte pubblici ministeri che costruiscono teoremi accusatori, di fatto contribuendo a delegittimare l’operato di difensori dei diritti umani, e dall’altro l’assenza di intervento da parte delle autorità pubbliche e dello Stato che dovrebbero essere invece tenuti a pronunciarsi, riconoscendo i diritti di chi difende diritti. Le storie poi si ripetono, i teoremi accusatori crollano di fronte all’evidenza dei fatti, resta però il vulnus, alimentato da certa stampa reazionaria e da ambienti politici. A parte la gravissima eccezione rappresentata dalla condanna ingiusta e vessatoria contro Mimmo Lucano, condanna che va letta come un attacco non solo alla persona ma a un modello “olistico” di solidarietà e valorizzazione del territorio. Diversa la situazione per quando concerne chi difende l’ambiente da infrastrutture dannose, giacché in tal caso interviene anche l’interesse di impresa e dei privati coinvolti in tali attività e anch’essi, giova ricordare, tenuti a rispettare e sostenere l’operato di chi difende i diritti, e l’ambiente in particolare. A livello internazionale si sta ormai facendo strada la convinzione che anche le imprese abbiano un vantaggio comparato nel sostenere l’operato dei difensori dei diritti umani in quanto contribuisce al buon esito delle loro attività e investimenti, oltre che a proteggerne la reputazione. Colpisce pertanto, nel caso Italia, la pervicacia con la quale alcune imprese nazionali si scagliano contro attivisti e stampa impegnati a denunciare l’impatto delle loro attività, o casi di corruzione, di fatto contraddicendo le loro stesse policies che prevedono, ad esempio, un approccio di tolleranza-zero verso eventuali attacchi o minacce ai difensori.
Giova ricordare che il gruppo di lavoro Onu su imprese e diritti umani (che ha svolto nei mesi scorsi una missione in Italia puntando l’attenzione sulla situazione dei braccianti migranti e dei loro difensori), ha adottato di recente delle linee guida su difensori dei diritti umani e settore privato con raccomandazioni specifiche alle imprese e agli Stati, secondo quando previsto anche dai Principi generali Onu su imprese e diritti umani. E vale anche la pena di sottolineare che il secondo Piano di azione nazionale italiano su Imprese e Diritti umani, adottato di recente, prevede la possibilità di un piano “pilota” per l’applicazione delle stesse da parte delle imprese italiane. Il nesso tra politiche estrattive e repressione del tutto evidente nei vari “Sud” del mondo riemerge anche a casa nostra, con i casi di criminalizzazione del movimento No Tap, ad esempio, che dovrebbero suonare un campanello d’allarme per il futuro, soprattutto considerando le spinte sempre più consistenti verso un aumento del volume di estrazione di gas e petrolio e l’espansione ulteriore della frontiera estrattiva nel nostro paese. Il che comporterà anche una attivazione di resistenza sui territori che rischia di subire un’ennesima ondata di criminalizzazione. La concomitanza “temporale” tra atti inaccettabili di repressione violenta degli studenti scesi in piazza per protestare contro l’alternanza scuola lavoro, e il trattamento riservato ad attivisti ecologisti che protestavano per le strade della capitale o al Festival di Sanremo è emblematica. Va ricordato che i diritti di accesso all’informazione e alla partecipazione – palesamente trascurati se non violati in molti casi tra cui la Tav in Val di Susa – e il ricorso alla giustizia sui diritti ambientali sono ormai consolidati da tempo nella Convenzione di Aarhus, valida anche nel nostro paese, la quale ha ispirato un accordo simile in America latina, la Convenzione di Escazù. Quest’ultima aggiunge ai tre “pilastri” indicati un quarto ossia un protocollo relativo ai difensori dell’ambiente, in considerazione del fatto che in quel continente, in particolare in Colombia e in Brasile, si registra il maggior numero di omicidi di attivisti e attiviste ecologisti/e. Tale protocollo prevede l’obbligo da parte dei paesi firmatari di adottare politiche di tutela e prevenzione di attacchi e minacce a chi difende ambiente e territori. Di recente la Convenzione di Aarhus si è dotata di uno strumento simile, istituendo un Inviato/a speciale per i difensori dell’ambiente con potere di indagine, denuncia e pressione sui governi degli Stati membri, tra cui l’Italia. Al netto di tutto ciò, il classico elefante nella stanza è l’assenza nel nostro paese di una Autorità nazionale indipendente sui Diritti umani che possa garantire un monitoraggio super partes e contribuire ad assicurare il rispetto degli impegni sui diritti umani, inclusi quelli relativi ai difensori dei diritti umani. In molti paesi tale autorità svolge questo ruolo, e da più parti si raccomanda l’adozione di specifici piani nazionali di protezione e tutela dei difensori. In assenza di tale istituzione, che rischia di protrarsi per altri anni ancora, visti gli attuali e possibili futuri equilibri politici, sarà necessario immaginare altro. In questo ci viene in soccorso l’Osce con le sue raccomandazioni contenute nel rapporto sullo stato dei difensori dei diritti umani in alcuni paesi membri tra cui l’Italia. Tra le varie proposte mirate a tutelare diritti quali la libertà di espressione, associazione e manifestazione, e a rafforzare le capacità di protezione e tutela, ad esempio, dei giornalisti minacciati, una in particolare appare rilevante.
Pur non spingendosi a proporre un piano nazionale di azione per i difensori dei diritti umani, l’Osce caldeggia l’adozione di linee guida nazionali per la tutela dei difensori dei diritti umani nel paese e la creazione di “punti focali” a essa dedicati nei ministeri e istituzioni competenti. Due passaggi che possono contribuire a migliorare la “cultura” dei diritti umani negli ambiti istituzionali e rappresentare due tasselli utili per poi lavorare a una politica più organica sul tema. Obiettivi che rientrano nelle intenzioni di un gruppo di associazioni e reti della società civile italiana, tra cui la rete In Difesa Di, Fondazione Basso, CRS, Associazione Bianca Guidetti Serra, Osservatorio Repressione che, assieme ad altre realtà ed organizzazioni aderenti alla proposta (A Buon Diritto, Amnesty International, Laudato Sii, Osservatorio Solidarietà, Associazione Diritti e Frontiere, Osservatorio Balcani Caucaso e Yairaiha Onlus), si prefiggono di collaborare al monitoraggio della situazione dei difensori nel paese, se necessario fornendo anche supporto legale, e interloquendo con le istituzioni internazionali dedicate alla loro tutela. Tra queste l’Osce, gli uffici del relatore speciale Onu sui Difensori dei diritti umani (che sta lavorando ad un rapporto sui difensori dei diritti dei migranti nel mondo anche in Italia e che presenterà nei prossimi mesi al Consiglio Onu sui Diritti umani), la Fundamental Rights Agency della Ue e il Consiglio d’Europa.
Quest’ultimo, di cui l’Italia ha la presidenza fino a maggio di quest’anno, ha rivolto la sua attenzione alla situazione dei diritti umani nel paese. Ne è riprova la visita nel dicembre scorso della Commissaria per i Diritti Umani Dunja Mijatović, svolta in preparazione di una visita ufficiale che si terrà nel corso di quest’anno. In quell’occasione si è discusso anche della situazione dei difensori dei diritti umani, e consegnato un primo dossier di analisi che formerà la base di ulteriori ricerche e approfondimenti. In parallelo sia la Commissione Europea (che invierà nelle prossime settimane una sia delegazione in Italia) sia la Fundamental Rights Agency stanno svolgendo una ricognizione sullo stato di diritti e sui diritti nei paesi membri. Per quanto riguarda la Commissione, varie associazioni e realtà della società civile italiana hanno contribuito alla stesura di un rapporto “ombra” sulla situazione relativa agli spazi di agibilità civica, i diritti umani ed i difensori dei diritti umani, dove si raccomanda l’adozione di un piano di azione nazionale sui difensori dei diritti umani, oltre ad altre iniziative. Come, ad esempio, la formazione sugli strumenti e sugli obblighi internazionali relativi al rispetto dei difensori e difensore, rivolto a pubblici funzionari, operatori delle forze di sicurezza, funzionari del settore giudiziario (pubblici ministeri e giudici), e dei ministeri competenti.
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