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Colonia Basilicata

“La questione ambientale lucana è il coacervo dei difetti storici di una terra ove acque inquinate e multicolori, fusti di sostanze pericolose abbandonati o sepolti, pratiche industriali criminali prive di veri controlli o sanzioni, si incrociano in un’unica storia fatta di mafia e di mancata programmazione territoriale”. La denuncia di questo stato delle cose in un libro che merita attenzione
Pubblicato il 13 Aprile 2023
Ambiente, Materiali, Politica, Scritti, Temi, Materiali

Il 17 febbraio scorso ho partecipato alla presentazione del libro Colonia Basilicata, autore/editore Giorgio Santoriello, edizione 2022, presso la sala Ragazzini di Ravenna. L’incontro è stato organizzato dal Coordinamento ravennate per il Clima e Fuori dal Fossile.

Lucano, nato a Policoro, laureato in scienze storiche a Matera, l’autore, dopo aver intrapreso diverse collaborazioni con quotidiani locali, con testate e produzioni nazionali ed estere, enti di ricerca e associazioni, apre il sito di informazione e approfondimento ambientale “Covacontro.org” e fonda la onlus “CovaContro”, attiva nel contrasto alla mafia, a reati ambientali e per il sostegno del diritto all’informazione e tutela dei consumatori.

La prefazione al libro è scritta a quattro mani da Giusy Arena e Filippo Barone, giornalisti che si occupano per la prima volta della Basilicata nel 2007, all’interno del programma televisivo della Rai “Annozero”, parlando delle zone d’ombra tra politica e magistratura nella regione. L’anno successivo, gli interessi dei due reporter si spostano alle estrazioni petrolifere – circa 100 milioni di barili al giorno – in Val d’Agri che, affiancate dal motore economico delle royalties, hanno svenduto la terra della Basilicata e le sue ricchezze, annullando qualsiasi occasione di sviluppo per la regione e agevolando arricchimenti personali. Anche in questa regione, la ‘questione meridionale’ coinvolge vertici della politica, istituzioni, élite e ceti popolari, si intreccia con omertà, corruzione, familismo, producendo e ri-producendo in modo sistemico inciviltà e rendendo impossibile un reale miglioramento delle condizioni di vita delle persone.

Nel 2013 Gianluca Griffa, ingegnere responsabile del centro oli Eni di Viggiano in provincia di Potenza, si toglie la vita dopo aver scritto un memoriale in cui descrive problemi nei processi di trattamento del petrolio estratto, appunto, in Val d’Agri. Il 30 novembre del 2017 Guido Conti, 58 anni, ex generale dei Carabinieri forestali, diventato dirigente alla Total sul sito estrattivo di Tempa Rossa, cancella la memoria del suo computer, sale in collina e si spara. Nell’aprile 2019 l’attività investigativa coordinata della Procura della Repubblica di Potenza porta all’esecuzione di un’ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari emessa dal Gip di Potenza, Ida Iura, nei confronti di Enrico Trovato, dirigente di Eni Spa, responsabile, all’epoca dei fatti, del COVA (Centro Olio “Val d’Agri”) di Viggiano1. Vengono messe «sotto indagine 13 persone e l’Eni stessa per i reati di disastro ambientale, abuso d’ufficio e falso ideologico commesso da pubblico ufficiale. Nell’area del centro oli di Viggiano la corrosione dei serbatoi avrebbe portato allo sversamento di petrolio e contaminazione delle acque sotterranee per 26 mila metri quadrati: esattamente la perdita descritta da Griffa nel suo memoriale sei anni prima. E riportata sul sito di Santoriello»2.

Nella quarta di copertina l’autore scrive: «La questione ambientale lucana è il coacervo dei difetti storici di una terra ove acque inquinate e multicolori, fusti di sostanze pericolose abbandonati o sepolti, pratiche industriali criminali prive di veri controlli o sanzioni, si incrociano in un’unica storia fatta di mafia e di mancata programmazione territoriale. Il nuovo paesaggio lucano è composto da attività altamente inquinanti innestate in equilibri antichi e sani, come l’agricoltura e l’allevamento. Chi ci guadagna e chi ci perde? L’indifferenza è la soluzione alla corruzione o ne è un sintomo? Con la mia onlus, CovaContro, abbiamo raccolto dati e storie, che abbiamo deciso di raccogliere in questo volume fatto di reati ambientali e morali».

Nel primo capitolo del libro l’autore affronta il tema della vulnerabilità del territorio lucano partendo dalla Geologia dell’omertà diffusa riguardo a estrazioni petrolifere, interramenti abusivi di rifiuti, anomalie termiche, sversamenti illeciti, percolato, fusti interrati, materiale radioattivo, bracconaggio, pesca abusiva, taglio abusivo di legname, vendita di pesci non conforme per taglia e occupazione demaniale. Tra i tanti casi di omertà evidenziati vi è quello dell’ordine dei chimici lucani: «muti da sempre sul mancato funzionamento dell’Arpab (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Basilicata) fondata nel lontano 1997, e che dichiarerà esplicitamente, in sede parlamentare, la sua incapacità di controllare l’ambiente lucano solo nel 2016: vent’anni di omissioni e reticenze senza mai avere né un arresto con detenzione definitiva, né un’interdizione definitiva dagli uffici, né un biasimo pubblico da parte dell’ordine dei chimici, nonostante alcune aree lucane siano uno sfacelo ambientale e sanitario»3. La Basilicata si è trasformata in un porto franco, in cui criminalità e abitanti locali si sono ‘adattati’ ai cambiamenti: «Ho visto agricoltori che hanno svenduto la propria terra o che erano prontissimi a farlo al miglior offerente, o che consapevoli del danno subito dai loro alimenti vendevano comunque alimenti contaminati, ed in questa genealogia dell’omertà le associazioni di categoria e gli ordini professionali sono stati sempre tutti muti dinanzi ad ogni forma di illecito ambientale, sindacati da sempre allineati sulla difesa o di fazioni politiche o delle lobby mentre la stampa lucana ha fatto del negazionismo professionale la sua arte, arcigna con i deboli, innocua con i forti. Chi ci ha colonizzato ha compreso l’importanza del welfare in una regione assistenziale, in un contesto arretrato dove il welfare degenera facilmente in assistenzialismo clientelare, ed ecco che Total, Shell ed Eni finanziano: turismo scolastico, didattica integrativa, lavagne elettroniche, corsi di lingua, tablet, gite, fumetti, vacanze per gli anziani, mostre, spettacoli, attività religiose e culturali, iniziative naturalistiche e sportive perché quello che lo Stato non offre più lo offrono le multinazionali in cambio dell’obbedienza dello Stato»4.

Nel secondo capitolo viene trattato il caso del pozzo “Costa Molina 2” a Montemurro in provincia di Potenza, perforato decenni or sono da Eni, diventato un pozzo re-iniettore in profondità di acque di scarto separate dal petrolio lungo tutta la condotta di re-iniezione, da Viggiano fino al termine della camicia del pozzo (la camicia di raffreddamento è un generatore di flusso), con un impatto nelle falde profonde. A cittadini e amministratori locali è stato precluso l’accesso ai piani ingegneristici dei pozzi e quindi di conoscere a quale profondità arriva la camicia di “Costa Molina 2”, quante rotture-incidenti ha avuto, quale sia il regime di manutenzione di tutta la condotta. Nel 2014 il quotidiano online di inchieste «Basilicata24.it» denuncia “Costa Molina 2” come abusivismo di Stato, definendola una «cavità piena di rifiuti tossici petroliferi» che «non poteva sorgere affianco all’invaso ad uso potabile del Petrusillo5, in zona tanto sismica quanto ricca d’acqua»6. La Procura di Potenza riconoscerà l’illecito solo due anni dopo, mentre Eni pompava circa 2500 metri cubi di scorie liquide di lavorazione petrolifera al giorno. Nel frattempo, in Contrada Larossa, zona rurale in agro di Montemurro, a poco più di 2 km dal pozzo, si verifica l’affioramento anomalo di due polle (acque che sgorgano dal terreno). «Vittima diretta del fenomeno un allevatore e le sue pecore […] che non sapevano di leccare i cloruri di acque industriali e fossili»7.

Di acqua e di acque, torrenti, chiazze di acqua rossa, si parla molto nel libro anche grazie a uno scrupoloso lavoro di raccolta di referti di laboratorio, di fotografie dei territori che rimandano a una storia visiva, una carrellata di impatti evidenti a occhio nudo e confermati dai numeri di certificati di analisi chimiche che rilevano quantità abnormi di ferro, alluminio, fenoli, fosfati, zinco, manganese, nichel, piombo, vanadio, cobalto…

Nel Capitolo V, intitolato Viaggio nel paradiso travestito da inferno, si parla di smaltimento illecito di rifiuti, di cui la Basilicata è ritenuta “luogo ideale”. Un caso emblematico riguarda l’area compresa tra Fosso Lavandaio e Fosso la Noce in agro di Marconia-Pisticci, provincia di Matera, in cui, dal 2003 al 2022, la cronaca scrive di «fusti interrati rinvenuti dalla Procura di Matera ma lasciati per anni scoperti in balia di chiunque ed il cui contenuto non è ancora noto […]. Negli anni ’80, nella zona del Lavandaio, venne rinvenuto anche il corpo di un giovane, Giuseppe Giannace, ritrovato carbonizzato non lontano dal sito di interramento dei fusti e sempre lì alcune alluvioni hanno denudato intere discariche clandestine vecchie di decenni, nonostante l’abbondanza d’acqua, fertili terreni agricoli, condotte idriche e canali comunali presenti»8.

Dal 2015, in diversi punti di questi luoghi, sono stati avvistati strani affioramenti (il libro contiene un vasto repertorio di foto); le analisi della frazione liquida separata dai sedimenti effettuate nel Fosso la Noce rilevano: ferro oltre 12.000 milligrammi per chilo, sodio a 214 milligrammi, alluminio a 5.600, molti metalli, anche cancerogeni, come arsenico, piombo, bario, cobalto, manganese, nichel, vanadio, zinco. Per le acque i risultati rilevavano cadmio agli idrocarburi e una pesante contaminazione da arsenico, alti tenori di solfati, oltre a boro, manganese e ferro. «Un corredo che sgorgava spontaneamente dal terremo in aperta campagna chissà da quanto tempo, in un’area frequentata anche da cacciatori oltre che escursionisti»9.

Del resto l’autore ci ricorda che l’inquinamento chimico è solo la superficie del problema: «quello che disgusta è l’inquinamento morale di istituzione e società, dei cosiddetticorpi intermedi»10. La Basilicata subisce le conseguenze del colonialismo moderno e, «sparita l’autodeterminazione territoriale, l’autogoverno, tutto è etero-diretto da fuori regione»11, il territorio si sta spopolando e pochi privati e multinazionali esportano le risorse naturali – che sono un patrimonio di tutti –, i capitali che entrano nelle casse pubbliche non vengono indirizzati a investimenti strategici, i controllori ambientali e sanitari sono sottodimensionati rispetto al controllato. Le attività più impattanti sono state delocalizzate in aree a basso livello culturale, dove esisteva poca consapevolezza circa le conseguenze dell’inquinamento e dove, nelle istituzioni locali, «la mafia la tocchi ogni giorno nella mancata divulgazione degli atti, nella noncuranza del diritto alla conoscenza ed alla partecipazione, negli uffici che fanno scarica barile o danno false indicazioni, nella generale apatia di migliaia di persone che con tutto il loro tempo libero potrebbero fare tanto per il territorio ed invece si girano dall’altra parte»12.

Il benessere degli abitanti della Basilicata e la salubrità del territorio sono stati sacrificati agli interessi delle multinazionali e della politica nazionale e locale come del resto confermato anche dal giudice Aldo Gubitosi nel riesame contro Eni del 2019: «[…] strategie aziendali di massimizzazione dei profitti, a fronte dei quali il danno dell’ambiente era previsto, conosciuto e concretamente voluto in quanto alternativa fattuale alla riduzione dei volumi di produzione […] le continue perdite di greggio, protrattesi fin dal 2012 almeno, hanno prodotto un nocumento certo per la salute delle persone, data la elevata tossicità delle numerose sostanze chimiche contenute nel petrolio […] entrambi [i dirigenti Eni, ndr] erano pienamente consapevoli dei danni, anche gravi, causati dalla corrosione e del rapido deterioramento del rivestimento protettivo [dei serbatoi, ndr] interessando in profondità anche le lamiere […] troppo intenso era lo stimolo criminogeno che traeva origine dal perseguimento della bieca strategia del contenimento dei costi, a scapito del sacrificio di beni primari quali l’integrità dell’ambiente e la salute delle persone […] l’interesse della società, cui era indirettamente collegato quello degli odierni indagati all’ottenimento di progressioni di carriera e forse a conseguire gratificazioni economiche […] pervicace volontà di non impegnare risorse dell’Eni per lavori che avrebbero comportato anche un rallentamento o addirittura la sospensione della produzione, senza alcun ritorno economico per la società […] il totale disprezzo per il pubblico interesse alla salute e all’integrità dell’ambiente […]»13.

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Colonia Basilicata è un’opera la cui lettura richiede impegno, attenzione e tempo; il tempo necessario per comprendere e riflettere su dati e numeri che sono il risultato di scrupolose ricerche all’interno di un viaggio, anche visivo, nelle criticità ambientali lucane, nelle contraddizioni e nei dati raccolti dalla associazione “Cova Contro”.

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La questione meridionale porta con sé fatti quotidiani che assai raramente vengono riportati dalla cronaca nazionale. Non dimentico però il lavoro dei giornalisti Beppe Alfano, Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giuseppe Fava, Mario Francese, Mauro Rostagno, Giancarlo Siani, Giovanni Spampinato, e tante/i altre/i. Cito solo alcune, per questioni di spazio, delle giornalistetutt’oggi impegnate nel racconto della criminalità organizzata attinente alla questione meridionale, malgrado molte di loro abbiano subìto minacce e intimidazioni: Federica Angeli, Angela Corica, Marisa Ingrosso, Gisella Modica, Marilena Natale, Fabiana Pacella, Graziella Proto, e Angela Ammirati, Irene Cortese, Cinzia Paolillo, dell’associazione daSud. Un ricordo a parte va a Letizia Battaglia e Lisetta Carmi.

Note

1 Le ricerche di idrocarburi in Val d’Agri iniziarono fin dai primi del ’900: nel 1912 la Società Petroli d’Italia (SPI) stipulò alcuni contratti di cessione con i proprietari terrieri per la ricerca e lo sfruttamento del bacino petrolifero, senza però avere gli esiti sperati. Le ricerche continuarono negli anni Trenta portando alla scoperta dell’esistenza di una notevole quantità di gas. Nel 1933 l’AGIP (Azienda Generale Italiana Petroli, istituita dal Governo nel 1926), ottenuto un permesso di ricerca, eseguì degli studi geologici e rinvenne nel 1937 il giacimento di Tramutola dove, tra il 1939 e il 1947, si eseguirono attività di ricerca e coltivazione. Le ricerche si estesero da Tramutola alle aree di Sant’Angelo Le Fratte, Savoia Lucana e Brienza. Questa prima fase di attività estrattiva si chiuse nel 1959, con l’ultimo pozzo (risultato sterile) perforato da AGIP nel territorio di Tramutola. Una nuova campagna esplorativa in Basilicata venne avviata a partire dal 1975. L’AGIP ottenne quattro nuovi permessi di ricerca che portarono alla scoperta in Val d’Agri di uno dei giacimenti più importanti d’Europa. Negli anni ’80 la ricerca, condotta dalla società Petrex, si spostò ai piedi della montagna di Viggiano e, nel 1981, con la perforazione del pozzo “Costa Molina 1”, fu scoperto il giacimento denominato “Trend 1”. Nel 1984 il Ministero dell’Industria conferì all’AGIP la concessione di coltivazione “Costa Molina”. Nello stesso anno fu conferito il permesso di ricerca “Monte Sirino” alla Società Petrolifera Italiana e alla Società Fiat Rimi. Nel maggio 1988 la perforazione del pozzo “Monte Alpi 1” (a cui partecipò anche la società britannica Enterprise Oil Italiana S.p.A.) portò al rinvenimento dell’omonimo giacimento. Negli anni ’90 iniziò quello che si definisce “lo sviluppo dell’attività petrolifera in Basilicata”. Il Ministero dell’Industria conferì ad AGIP le concessioni di coltivazione Grumento Nova (Decreto del 9 ottobre 1990), Caldarosa (Decreto del 15 luglio 1991) e Volturino (Decreto del 27 dicembre 1993). Nel 1996, per la prima lavorazione del petrolio, si costruì a Viggiano il Centro Olio “Monte Alpi” con una capacità di trattamento di 1.200 m3/giorno di olio, equivalenti a 7.500 barili/giorno e 300.000 m3/giorno di gas. Nell’aprile del 1996 entrò in esercizio la prima linea di trattamento. Nel 1999 la concessione “Costa Molina” venne inglobata nella concessione “Caldarosa”. In quell’anno, nell’area della Val d’Agri, di pertinenza delle concessioni “Grumento Nova”, “Volturino” e “Caldarosa”, esistevano 24 pozzi, perforati a partire da 20 postazioni. Nel 2001 erano due le concessioni esistenti in Val d’Agri: la concessione denominata “Grumento Nova”, delle società ENI S.p.A., e la concessione Enterprise Oil Italiana S.p.A., di km2 398,39. Nello stesso anno entrò in esercizio il Centro Olio “Val d’Agri” (COVA) quale ampliamento del preesistente Centro Olio “Monte Alpi”, in produzione dal 1996. Nel 2003 il 29% della titolarità della concessione “Grumento Nova” fu trasferita dalla società Enterprise Oil Italiana S.p.A. alla Società Shell Italia E&P S.p.A. Nel 2005 le concessioni “Grumento Nova” e “Volturino” furono unificate in un’unica concessione denominata “Val d’Agri”. La nuova concessione “Val d’Agri”, con scadenza fissata al 26 ottobre 2019 (rinnovata nel 2021 di altri 10 anni), è intestata alle società ENI S.p.A. e Shell Italia E&P S.p.A., con quote rispettivamente del 66% e del 34%. Nel 2011 è stato avviato l’ammodernamento del COVA e approvato il nuovo programma di sviluppo della concessione “Val d’Agri”.

2 Giorgio Santoriello, Colonia Basilicata, autopubblicato, 2019, 20222, pp. 11-12.

3 Ivi, p. 26.

4 Ibidem.

5 Il Lago di “Pietra del Pertusillo” è un invaso artificiale situato nel territorio dei comuni di Grumento Nova, Montemurro e Spinoso. La diga è stata costruita tra il 1957 e il 1962, a sbarramento del fiume Agri, con i fondi della Cassa del Mezzogiorno, la quale concesse all’Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania l’esecuzione dei lavori. L’invaso si trova a 532 metri di altitudine sul livello del mare e ha una capacità massima di 155 milioni di metri cubi d’acqua, destinati a uso irriguo, idroelettrico e potabile. La diga è nata nei pressi della località montemurrese “Pietra del Pertusillo”, così chiamata poiché il fiume, in quella zona, passava fra due rocce come se vi fosse un pertugio. Il paesaggio circostante è ricoperto di boschi che scendono fino alle sponde del lago (alcuni alberi perfino oltre, risultando parzialmente sommersi dalle acque). Il lago è utilizzato per la pesca sportiva e per gare di canottaggio nazionale, oltre che tappa obbligata nel ferragosto della Val d’Agri.

6 Giorgio Santoriello, Colonia Basilicata, cit., p. 31.

7 Ibidem.

8 Ivi, p. 76.

9 Ivi, p. 79.

10 Ivi, p. 159.

11 Ibidem.

12 Ibidem.

13 Ivi, pp. 194-195.

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