Interventi

Non alludiamo a nulla.

Così recita il primo verso del componimento di Pietro Ingrao. Alludere. Non nominare apertamente, accennare invece e in modo indiretto. E, se la parola è fraintesa e mette capo a un equivoco, il gioco delle conseguenze errate che ne deriva non comporta responsabilità alcuna in chi quell’allusione ha formulato.

Solo gli dei degli abissi
alludono.

L’equivoco, lo scambio, l’errore pertengono ad alcunché di fatale, sono altrettanti bivii che una volta imboccati non consentono ritorno.
Alludere è predisporre a conseguenze diverse, faste o nefaste a seconda del caso. Nel sottinteso si cela l’insinuazione che cova il male.
Il dolore, il malessere, il morbo dagli abissi salgono senza che gli dei che laggiù hanno stanza

Senza spiegarsi mai.

rechino a noi una parola decifrabile, comprensibile. Dunque dall’alludere provengono complicanze, così come insorgono nuovi sintomi ad aggravare il quadro d’una malattia. È il morbo che allude, crescendo in incomprensibili fatali grovigli. Non alludere dunque, ma, al contrario, parlar chiaro, esplicito, senza complicazioni. O tacere.

Un commento a ““Complicanze” di Pietro Ingrao”

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