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Conflittualità infinita se si delegittima la Fiom. Parla Tronti

Per il filosofo operaista mentre la sinistra accetta la società liquida, le “libertà cristiane” sono in pericolo. Intervista di Mario Tronti a Il Foglio del 23 giugno 2010
Pubblicato il 23 Giugno 2010
Materiali, Officine Tronti, Scritti
“Perché adesso, perché questa forzatura dall’alto? La Fiat, Sergio Marchionne, ne avevano davvero bisogno?”. Mario Tronti parlando con il Foglio va dritto al cuore della questione e trova subito una motivazione politica. Non accetta né la teoria della scelta inevitabile né la rassegnazione di Eugenio Scalfari. “Si ode un coro davvero assordante”, commenta. “L’articolo di Gianni Riotta sul Sole 24 Ore, domenica scorsa, l’ho trovato così violento”, aggiunge. Non lo convince nemmeno il paragone con il 1980.
Nel lontano 1962 Tronti fu, insieme a Raniero Panzieri, tra i fondatori di “Quaderni rossi”, rivista promossa dall’Istituto Morandi e dalla Camera del lavoro torinese. Il primo numero, aperto da Vittorio Foa, pubblicava “documenti sulla lotta di classe alla Fiat”, avvisaglie di un ciclo al quale mette fine la marcia dei quarantamila quadri per le vie di Torino. “Nell’autunno 1980 si volle una cesura con i due decenni precedenti, fu imposto l’alt al ventennio del conflitto. Con la vittoria della Fiat a Mirafiori avvenne un mutamento radicale, quello che io chiamo un passaggio di egemonia da sinistra a destra”. I tempi erano diversi, il successo di Margaret Thatcher nel 1979 e di Ronald Reagan tre settimane dopo lo showdown alla Fiat, segnarono l’inizio di una fase politica nell’intero occidente. Cesare Romiti, per molti aspetti, è stato il Reagan italiano. Ma Marchionne?
“Oggi c’è uno squilibrio tale nei rapporti di forza – commenta Tronti – oggi hanno vinto tutto. C’è un sindacato nell’insieme moderato. E una sinistra che abbandona il lavoro come luogo centrale della sua definizione, ha accettato la vulgata della società liquida, invece che sugli interessi si distingue sui valori, e quando parla di diritti non intende prima di tutto quelli degli operai”. Allora, torniamo alla domanda iniziale: perché? Crea suspense il sottile ragionare di Tronti, la mente più lucida dell’operaismo che non indulge in deviazioni antagoniste, ma mette la classe in rapporto al sindacato, al partito, allo stato, filosofo della politica che riesce a coniugare Karl Marx e Carl Schmitt il decisionista. A questo punto, non vediamo l’ora di capire cosa si nasconde nella mente del manager in maglioncino nero definito agli esordi “socialdemocratico” mentre si rivela non diverso da Valletta o Romiti. “Fanno sempre le stesse cose, si ripete il mantra che nulla sarà come prima e poi, invece, tutto si ripete”. Ebbene, l’analisi è politica e politica è la spiegazione.
“Sta emergendo il timore – spiega Tronti – che la crisi sposti di nuovo il conflitto all’interno dei luoghi classici, nel rapporto di produzione. In fondo, lo si vede un po’ ovunque, in Europa, in Asia, anche in Cina. Ne sono fuori gli Stati Uniti, per il momento”. Alla Chrysler, lo United Auto Workers ha firmato una tregua triennale, in cambio mantiene alti i salari e ha in mano il 51 per cento dell’azienda. Un patto che Marchionne non può certo proporre. “Certo che no. Quindi l’operazione è orientata in tutt’altro senso: colpire nella Fiom l’ultimo residuo di un sindacato conflittuale e mettere gli operai contro il sindacato”. Non si conosce ancora l’esito del referendum, ma “ha delle condizioni tali che i lavoratori non possono non votare sì. E, per contro, la Fiom non può accettarlo. Quello che gli altri sindacati sottoscrivono, non è un accordo, ma un diktat”. Che fa cadere alcuni pilastri del contratto nazionale? “Il contratto nazionale è stato già ampiamente ridimensionato. Io vedo piuttosto dell’altro: prima la rinuncia al conflitto, poi l’abbandono di un rapporto tra operai e imprenditori basato sulla concertazione in fabbrica”. Se è così, Fim e Uilm, sindacati che predicano la concertazione, sono caduti in trappola? “Altro che dopo Cristo, come dice Marchionne. Qui siamo avanti Cristo se è vero che vengono messe in discussione quelle libertà che nascono come libertà cristiane”.
La condanna è senza appello. Ma c’è un’altra linea praticabile? Se la Fiat vuole vendere auto deve produrle con costi competitivi, senza rischi di scioperi improvvisi al sabato che spezzano il ciclo continuo. Il libero scambio ha le sue leggi bronzee. “Alternative si possono trovare, non utopistiche, ma in termini concreti, di politica industriale. Non solo: io sono convinto che la vera questione non è se chiudere o rilanciare Pomigliano, ma se chiuderlo adesso oppure tra qualche anno. Insomma, gli operai sono chiamati ad accettare una sopravvivenza a termine”. Certo, portare dalla Polonia il montaggio delle Panda non è esattamente una strategia di lungo periodo.
Quanto durerà ancora questo modello? Non è detto che Pomigliano debba fare sempre le stesse cose e gli operai non possano essere riqualificati. “La soluzione la si può trovare, discutendo su proposte costruttive. Ma qui siamo di fronte a un ricatto che apre la strada alla discrezionalità totale, a un assolutismo imprenditoriale molto pericoloso”. Ci sono rischi per la stessa Fiat. Anche se vince il sì, la Fiom non si sente vincolata. A meno che non venga fatto firmare a ogni operaio un atto di sottomissione. “Delegittimare il sindacato apre la strada a una conflittualità incontrollata. Ecco perché difendo la Fiom, al di là delle sue stesse posizioni che possono essere discutibili. E’ la difesa di un simbolo, ma non viviamo nel mondo dei simboli?”.

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