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COP26 & dintorni: ce la faremo a scongiurare lo scenario Elysium?

Pubblicato il 29 Novembre 2021
Ambiente, Materiali, Scienze, Scritti, Temi, Materiali

È tempo di bilanci per la COP26, la Conferenza delle Parti sul clima che si è tenuta a Glasgow, Scozia, dal 31 ottobre al 13 novembre 2021. Qualcuno vede il bicchiere mezzo vuoto, altri mezzo pieno. Io penso che, viste le premesse (non a caso la delegazione più numerosa alla COP26 era la lobby delle fonti fossili), era difficile che andasse diversamente, ma insomma non è andata bene.

A questo punto un riscaldamento ben oltre 1,5 gradi centigradi per la fine del secolo è una possibilità non remota. Se a questo aggiungiamo: il degrado ambientale e lo sfruttamento delle risorse che affliggono il pianeta; un crescente divario fra i pochi straricchi e tutti gli altri (nel mondo, secondo Oxfam Italia, l’1% più ricco deteneva a metà 2019 più del doppio della ricchezza posseduta da 6,9 miliardi di persone); pressioni migratorie crescenti, che i fenomeni di desertificazione in atto dovuti ai cambiamenti climatici non fanno che accentuare, mi sembra che uno scenario con somiglianze inquietanti a quello descritto in Elysium, film di Neill Blomkamp del 2013, sia tutt’altro che fantascienza.

Il dato di fatto è che la classe politica mondiale – come afferma anche Papa Francesco – continua a non rivelarsi all’altezza delle nuove sfide globali. Del resto questa classe politica è spesso espressione delle lobby economico-finanziarie, o comunque ne è fortemente condizionata; e non va dimenticato che una componente molto potente di queste lobby sono i gruppi legati allo sfruttamento delle fonti fossili (carbone, petrolio, gas naturale). Insomma è chiaro che i governanti a Glasgow hanno dato più ascolto alla lobby dei fossili piuttosto che ai segnali inequivocabili del pianeta e alle giovani generazioni.

Come se ne esce per scongiurare lo scenario Elysium? Io credo che, a questo punto, debba agire chi ci perde di più in questa storia, ovvero i giovani, che a livello mondiale sono la maggioranza della popolazione: più del 63% della popolazione mondiale ha meno di 40 anni, più di un terzo ha meno di 20 anni. E attenzione, i giovani sono concentrati soprattutto nei Paesi meno sviluppati e nei Paesi a sviluppo minimo: il 41% della popolazione africana ha meno di 15 anni, contro il 16% dell’Europa (World Population Data Sheet 2020 del Population Reference Bureau); l’età mediana della popolazione nel 2020 in Europa è di 42,7 anni, in Italia di 45,1 anni, in Africa di soli 19,7 anni, il che vuol dire che metà degli africani ha meno di 19,7 anni!

Siamo in un mondo dagli immensi squilibri in termini di popolazione, con grandi masse di giovani concentrate nei paesi poveri e grandi quantità di anziani concentrate nei paesi ricchi; inoltre nei Paesi più sviluppati c’è solo il 16,4% della popolazione mondiale.

Credo che fra i giovani stia crescendo la consapevolezza che l’attuale establishment che governa il mondo stia rubando loro il futuro, per usare una espressione di moda. Questa consapevolezza ha aspetti molto differenziati: una cosa è il giovane occidentale benestante, un’altra il giovane dell’Africa sub-sahariana che guarda all’Europa come alla terra promessa; ma non è detto che nell’era dei social non si crei in qualche modo una saldatura. Insomma è possibile che, sulla falsariga di quanto abbiamo già visto a Glasgow, si creino e si consolidino aggregazioni transnazionali di giovani sempre più convinti che è ora di agire in prima persona contro le attuali lobby di potere, alcune delle quali remano con tutti i mezzi contro il cambiamento radicale indispensabile per invertire la rotta che ci sta portando a sbattere contro un muro. Del resto la storia insegna che queste cose non si possono delegare, come mostrano le terribili esperienze della cosiddetta “esportazione della democrazia” in Iraq e in Afghanistan: sono le parti direttamente penalizzate che devono prendere su di sé l’onere di agire. Anche i messaggi di Greta Thunberg del dopo Glasgow mi sembra che esprimano questa consapevolezza.

Su tutto questo pende un macigno che, come scritto sopra, è fortemente connesso con i cambiamenti climatici in atto e futuri: i fenomeni migratori. Sul punto l’approccio dell’Occidente e dell’Unione Europea in particolare –come per tutti gli altri problemi scomodi – è rimandare la soluzione vera, strutturale, mettendo al più qualche toppa qua e là. Questo può funzionare, ammesso che funzioni, nel breve periodo, fino a quando i problemi non esplodono. Finora le toppe sono respingimenti e muri, nonché patti più o meno scellerati con Paesi più o meno compiacenti quali Libia e Turchia che trattengono, spesso in condizioni disumane, i poveracci che vogliono raggiungere l’Europa. Senza parlare della vergogna di usare i migranti come arma di ricatto politico (vedi quello che sta accadendo al confine tra Bielorussia e Polonia, ma quanto a ricatti non è che Libia e Turchia si comportino diversamente).

Questa cosa, oltre ad essere eticamente inaccettabile, è un boomerang sul piano pratico: qualsiasi persona di buon senso, che dia un’occhiata ai dati demografici e all’entità dei processi in atto, dovrebbe capire che alla lunga i muri, i respingimenti e i patti con Paesi più o meno compiacenti non tengono a fronte di una migrazione epocale qual è quella cui stiamo assistendo; avverrà come con i torrenti ostruiti da tronchi e da rifiuti, che formano una diga destinata, quando arriva una pioggia torrenziale, a essere abbattuta dall’onda di piena, con le conseguenze che purtroppo ben conosciamo. E attenzione, i migranti sono tutti giovani, non ultra-sessantenni. Questo significa che oltre ad avere un orizzonte di vita di parecchi decenni, e non di qualche lustro come tanti europei che sono anziani o vecchi, hanno una maggiore propensione a manifestazioni di aggressività e durezza, come nel 2008 annotava il demografo Antonio Golini, già presidente della Commissione su Popolazione e Sviluppo all’ONU: una popolazione assai giovane e numerosa, largamente deprivata di beni materiali di base, può essere spinta ad azioni di forza più di quanto possa esserlo una popolazione anziana, ridotta e con un’assai ampia dotazione di beni materiali e non. Le differenti età dei popoli possono anche generare diverse attitudini alla pace e alla guerra.

Per quanto scritto sommariamente sopra è possibile che la contrapposizione tra generazioni si faccia dura, e persino violenta. Penso anche che una larga parte della minoranza anziana, la quale detiene ricchezza e potere, confidi che gli strumenti di cui dispone e di cui disporrà grazie alle innovazioni tecnologiche le consentiranno di farla franca, esattamente come gli abitanti di Elysium.

Come andrà a finire? È possibile che assisteremo nel futuro a un incremento di conflitti, terrorismo e movimenti migratori. È possibile che questi ultimi, per i quali i cambiamenti climatici sono un driver formidabile, possano essere tamponati ancora per una manciata di anni con muri, respingimenti e patti più o meno scellerati, ma è ragionevole pensare che in assenza di un repentino cambio di rotta da parte dell’Occidente e dell’Unione europea in particolare – e al momento non vedo segnali seri in questo senso, al di là delle retoriche di rito – alla lunga si andrà alla resa dei conti. In questo il fattore demografico giocherà un ruolo determinante. Vale la pena di ripeterlo: l’83,6% della popolazione mondiale appartiene ai Paesi meno sviluppati e ai Paesi a sviluppo minimo, dove la quota di giovani e giovanissimi è preponderante.

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