Lavoro, Politica, Temi, Interventi

Inevitabile cadere nel biografismo quando, sabato, abbiamo partecipato alla manifestazione a Firenze per la GKN di Campi Bisenzio. Quei viali furono percorsi, nel 2002, dalla mia generazione che aveva camminato un anno prima a Genova e terminerà, nel 2003, invadendo le strade di Roma contro la guerra in Iraq. Quel triennio, con il passaggio anche per la manifestazione dei “tre milioni” contro l’abolizione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, ci ha segnato: tribolati ma non schiacciati, direbbe San Paolo, continuiamo a cercare indefessamente una qualche scintilla. “Insorgiamo!” è il verbo delle tute viola e con loro abbiamo ci siamo innalzati dal (Fortezza da) Basso all’alto di Piazzale Michelangelo.

Purple Rain

Nel simbolismo cromatico il collettivo GKN ha fatto una scelta precisa e calcistica: il viola è il colore della Fiorentina nonché la tonalità dominante del corteo. Il calcio si pone come legame con un immaginario working class, con la comunità, corroborato da un coro (anch’esso dominante nel corteo) di chiara derivazione curvarola, un mantra con tanto di versione remixata in chiave rock a indicare una modalità d’intervento trans-mediale che cerca ancoraggio in una tradizione storica ma sempre e comunque da elevare all’altezza del presente. Non è casuale – dunque – ricordare che qui, fra gli operai e in questi contesti, è nato il grande progetto di calcio popolare, il Centro Storico Lebowski. Sempre di derivazione ultrà è anche la scelta estetico-politica di creare una “linea di moda” (maglie, felpe, gadget) all’insegna della lotta. Maglie, felpe e coro che diventano, nel corso della manifestazione, una pioggia viola in una bellissima giornata di sole.

Nel girone dei bestemmiatori

Arrivo al punto di partenza, con quel sano ritardo, che mi fa vedere prima la parte finale del corteo oramai partito. Mi trovo, quindi, in mezzo alle sigle. Sigle di tutte quei partiti, sindacati, associazioni che fanno riferimento alla genericamente detta sinistra. Pensi con tristezza, con rammarico a quanto si sia oramai diviso il sinistro atomo e, magicamente, appare Alberto Prunetti. Alberto, a conclusione della sua trilogia operaia, ha scritto una “commedia operaia” per spiegare alla figlia la storia del nonno operaio: un’epica fatta di binari, bulloni, bar, campi di calcio, bestemmie, saldatori. Un’epica che, per le generazioni attuali, ha la stessa risonanza della Grande Guerra o quasi per noialtri (io e Alberto siamo ambedue del 1973). Un’epoca lontana di cui hai qualche racconto traslato o qualche resto archeologico. Alberto ha scritto anche un resoconto à la Balestrini di una sua visita al presidio. Gli operai, infatti, dal 9 luglio (data dell’arrivo della famosa mail di licenziamento) presidiano la fabbrica impedendone la chiusura. Stazioniamo, nell’inferno delle sigle fra ANPI e ARCI, finché non entriamo in un tunnel su un lato della fortezza. Qui, complice l’atmosfera ctonia, si sprigiona il coro all’ennesima potenza e si scalda magicamente l’aria, fin lì un po’ mesta. Alberto giustamente è infervorato: “La classe operaia non esiste più, dicevano i pappagalli ben addestrati. E invece eccola lì, rumorosa, a contarsi. Riconosci gli amici, rivedi persone che non vedevi da tempo, perdi quelli che con cui ti eri dato un abbocco. È una bolgia, è l’inferno della classe operaia, pronta a mandare all’aria la narrativa dei ceti bennati che ci vogliono tutti come vecchi attrezzi del Novecento. Qui ci sono donne, persone queer, migranti, rude razza pagana d’antan, manutentori, smistatori di pacchi e di minestre, ripulitori di cessi e di letti d’ospedale, lavoratori essenziali che si sono rotti i coglioni del salario di merda. La nuova working class di oggi. To’, sto così bene che mi passa anche il male al ginocchio!”. Gli propongo una fuga in avanti in modo da vedere la testa: ci avviamo nell’occhio del ciclone.

Purgatorio

Giungo in un punto del corteo dove non sembrano ci siano rappresentanze. Tante persone, con poche bandiere e pochi striscioni (una specie di Purgatorio?). Cerco di capire, di leggere dei segnali ma la semantica non mi aiuta. Per fortuna vedo i due fratelli Fana, Marta e Simone, mentre si stanno riprendendo per un qualche social. Simpaticamente e genialmente definiti in rete alla russa Fanazov; li ho sempre in realtà pensati alla cinese Fa Na. Sono infatti una coppia perfettamente taoista: lei yang trascinatrice, carismatica, solare; lui yin ragionatore, studioso, notturno. Che poi, a essere filologi, c’è anche una corrispondenza col genere (yang maschile, yin femminile) che in questo caso non funziona. Ma, appunto, non siamo filologi… Marta è appena stata, nel loro never ending tour, a parlare di salari da fame, a Bologna dove ha interloquito con quelli di “Mi riconosci”. Ne saluta un paio venuti al corteo e continuiamo. Con Simone e Marta finiamo sempre sul “che fare del loro successo”. Sono oramai anni che girano, per strade, in tv, sui giornali, a portare il loro (nostro) verbo di catalizzare le energie sovversive sulla questione salariale. La transizione dal loro al nostro si pone, per ora, sul piano dei social e degli infiniti giri ma, mai come ora, potremmo/dovremmo affrontare la situazione su un piano più solido: dovremmo lavorare su una nuova forma, un nuovo punto di convergenza come i sedici venti della rosa dei venti quando s’avviluppano a tromba in una depressione ciclonica per usare le parole di Gadda. Con loro arriviamo fino alla Torre della Zecca. Qui il corteo si ferma per compattare il lungo, lunghissimo corteo: “Siamo la marcia dei 40 mila, ma quella buona!” si grida dal microfono, con un ottimo e sensato uso politico della storia. Uso che viene ripetuto con la metafora della scalata fino a Piazzale Michelangelo quale “Assalto al cielo”. E allora andiamo, scaliamo il monte fino al cielo.

La scalata

Attraverso l’Arno (come il doppio fiume Letè/Eunoè prima del Paradiso?). Prima cosa che vedo uno striscione scritto a mano “Operai e Contadini uniti!”, con un gruppo di persone, contadini appunto, che ci tengono a solidarizzare con gli operai. Complice anche la presenza, sempre a Firenze, del G20 dell’agricoltura, di striscioni così ce ne sono altri: un’unione di lotte che fa ben sperare. Incontro qui Simona Baldanzi. Simona fa la sindacalista a Prato ed è scrittrice: oggi, per quest’articolo, anche fotografa. Da subito vicina alla lotta della GKN, chiedo a lei maggiori lumi. Il suo ultimo libro, Corpo Appennino, è l’intreccio fra il diario intimo di un intervento chirurgico e il racconto di una camminata da Monte Sole a Sant’Anna di Stazzema. Il suo passo – appenninico – è spedito, io arranco. “Il tuo libro mi pare una bella sintesi fra il tuo romanzo di figlia di operai e i reportage successivi in cui hai camminato al Mugello e lungo l’Arno”. “Si, sono contenta. Mi chiamano in un sacco di posti e quel punto, il rapporto fra personale e politico, viene sempre fuori”. “Bhe, un rapporto complicato!”. “Si, ma mi sento sulla buona strada”. Io incalzo, ma lei sale spedita salutando e chiacchierando con altre persone. “Nel libro affronti anche il tema bellissimo della memoria individuale e di quella collettiva…”. “Si, anche quello è un tema centrale. Sono appena tornata da Internazionale Kids a Reggio Emilia e ho fatto in tempo a prendere un regalo dai compagni di Cavriago: una riproduzione in gesso del famoso busto di Lenin da portare al Collettivo GKN”. “Effettivamente, come leggevo, hanno da subito utilizzato la storia a loro vantaggio”. “Il caso ha voluto che lo stabilimento fosse in via Fratelli Cervi e quindi hanno capito che il legame con la Resistenza andava in qualche modo esplicitato. Oltre al tempo, hanno anche utilizzato lo spazio, dimostrando una consapevolezza fuori dal comune: da sempre hanno solidarizzato con le maestranze e il cosiddetto ‘indotto’. E ora l’indotto li sta aiutando. Il picchetto è alimentato e sostenuto da tutti i lavoratori del circondario”. Nel mentre, abbiamo approfittato di un’altra pausa del corteo per raggiungere Piazzale Michelangelo prima del corteo. Il piazzale è in fermento per l’arrivo. La voglia di rimanere sarebbe tanta ma il treno (mai come ora dei desideri dei miei pensieri all’incontrario va) mi aspetta. Un bellissimo tramonto sovrasta Firenze: io e Simona ci salutiamo con la speranza che magari sia un’alba mascherata.

Noi non giochiamo in borsa. Facciamo semiassi

Il sabato è stato intenso; il lunedì arriva la bella notizia, una prima grande vittoria: i licenziamenti collettivi revocati. Ma, aldilà della contingenza, l’esperienza GKN va avanti: non più come Erlebnis ma come Erfahrung (Benjamin docet). Dalle terre di nessuno “fra il raccordo e la ferrovia” delle nostre periferie dove “un tempo era la fabbrica, la lotta e il sindacato” dobbiamo arrivare al centro della politica e trasformare definitivamente l’angelo operaio della storia nel demone della politica.

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Un commento a “Cronica delle cose occorrenti nei tempi nostri”

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