Diritto, Internazionale, Politica, Temi, Interventi

Alcuni gesti possono spiegare meglio di tante analisi e parole quale sia la cultura di una classe politica, di persone che svolgono ruoli istituzionali importanti e sono chiamati a rappresentare il nostro Paese nei contesti internazionali.

La convocazione del Consiglio dei Ministri a Cutro, dopo la strage del 26 febbraio scorso davanti le coste calabresi, dove hanno perso la vita più di cento esseri umani, poteva sembrare un atto di sensibilità istituzionale e di interesse per quelle morti.

Ma la Presidente del Consiglio Meloni e i suoi ministri non hanno sentito il bisogno, la responsabilità, di andare a portare il cordoglio e la vicinanza del Governo ai familiari delle vittime e ai sopravvissuti. Né tantomeno hanno pensato di recarsi a rendere omaggio alle bare di quelle persone fuggite dal califfo Erdogan. Persone costrette a mettersi nelle mani dei trafficanti che speculano sull’attraversamento delle frontiere, grazie a leggi e governi che impediscono a chi cerca protezione di muoversi legalmente e in sicurezza.

Pensate a cosa succede quando muore un italiano all’estero, o a quando c’è una strage in casa nostra per qualsiasi motivo con vittime italiane. I gesti di vicinanza e solidarietà non si contano e prevale, giustamente, il cordoglio e la pietà per vittime e parenti.

Per quei corpi consegnati dal mare sempre più irriconoscibili in lunghi giorni, con le famiglie in attesa di ritrovare i loro cari arrivati da ogni parte del mondo, il governo di destra non ha evidentemente avuto alcuna pietà.

Per Meloni e i suoi ministri non si tratta di essere umani. O forse sono esseri umani di categoria inferiore. Anche nella morte probabilmente dovevano dimostrare agli elettori che il principio “prima gli italiani” resta valido.

Una vergogna, un’onta che non si può cancellare con vane parole. Un gesto, anzi l’assenza di un gesto di umanità, che forse, più di ogni altra decisione, rende palese la mancanza di qualsiasi senso dello Stato di questa classe politica, il cinismo e la prevalenza di interessi privati, di partito, in tutti i ragionamenti e le scelte che mettono in atto.

È bene ricordare che quel provvedimento, il DL 20/2023, convertito in legge n. 50/2023, non contiene alcun elemento che possa essere considerato una risposta a quella strage, il tentativo di evitarne altre analoghe in futuro.

Al contrario, come purtroppo è successo spesso in questi anni, anziché introdurre modifiche legislative che consentano alle persone di viaggiare regolarmente e in sicurezza per attraversare le frontiere, e anziché mettere in campo interventi volti a organizzare un programma di ricerca e salvataggio europeo, come più volte chiesto anche dalle nazioni Unite, hanno deciso di accanirsi contro il capro espiatorio più facile, i cosiddetti scafisti, che quasi sempre sono vittime dei trafficanti e non complici, di ridurre lo spazio per ottenere un titolo di soggiorno per Protezione Speciale e di allargare quello relativo alle misure per i rimpatri. Infine il Governo ha creduto bene di reintrodurre una divisione, nel sistema d’accoglienza, tra richiedenti asilo e rifugiati, rigettando nel caos il già precario sistema pubblico italiano.

In concreto si tratta di misure già sperimentate che hanno solo prodotto maggiore irregolarità, maggiore disagio sociale, più sfruttamento e lavoro nero e più evasione fiscale e contributiva. Tutti obiettivi coerenti con la cultura di questo governo, ma in contrasto con l’interesse del Paese.

Le vittime di Steccato di Cutro erano in prevalenza afghane.

In Turchia Erdogan ha già rimpatriato più di 100 mila tra afghani e siriani che l’Ue, pagando, ha chiesto di bloccare per impedire loro di arrivare in Europa.

Uomini, donne e minori che in Europa avrebbero ottenuto certamente un permesso di soggiorno perché in fuga da una guerra civile o da persecuzioni e violenze.

Poiché i governi europei non possono respingere queste persone, perché devono rispettare il principio di non refoulement, hanno pagato la Turchia per fare un lavoro sporco, che i tribunali nazionali o la giustizia europea non avrebbero consentito.

Quelle famiglie morte nel mare calabrese non avevano scelta: o si facevano rimpatriare da Erdogan o si mettevano nelle mani di chi organizza i viaggi della speranza, a pagamento.

Non potevano rivolgersi agli Stati, chiedere un visto e viaggiare in sicurezza.

Questo è oggi il tema principale sul quale le destre xenofobe costruiscono le loro fortune elettorali e la loro egemonia culturale. Un tema che le forze democratiche e di sinistra quasi sempre temono e rifuggono, per paura di perdere, spesso inseguendo gli argomenti dell’avversario politico, in questo modo amplificando lo spazio per le loro campagne di propaganda.

Campagne che si giocano sulla pelle delle persone, che alle violenze delle guerre e dei tanti regimi antidemocratici, devono sommare quelle dei governi europei che alimentano il razzismo sia per distrarre l’opinione pubblica che per raccogliere facile consenso.

Per questo non abbiamo esitato a fare accordi con regimi come quello turco o con le milizie libiche che, come di recente ha spiegato il procuratore della Corte Internazionale dell’Aja Karim Khan, compiono crimini contro l’umanità.

In questi ultimi anni abbiamo assistito a un progressivo peggioramento della condizione giuridica e sociale delle persone di origine straniera, con un accanimento che si traduce in continui interventi legislativi che indicano nella riduzione dei diritti degli stranieri una garanzia per un miglioramento delle condizioni del Paese. L’idea, non originale né nuova, è che se stanno peggio rifugiati e migranti, stiamo meglio noi italiani.

Per questo le organizzazioni sociali, le reti e i movimenti, in questi mesi si sono già mobilitati più volte, chiedendo sostegno a tutti quei soggetti che hanno a cuore la nostra democrazia e i principi della Costituzione e scendendo in piazza.

Se vogliamo sottrarre spazio al razzismo e alle destre xenofobe è necessario costruire alleanze ampie e determinate a scegliere il terreno dell’immigrazione come una delle frontiere della democrazia.

Una battaglia che deve vedere come protagonisti proprio i rifugiati e gli immigrati, perché solo con un loro protagonismo politico si potranno ottenere risultati concreti e invertire la marcia.

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