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Desertificazione e siccità rendono molte aree ostili alla vita umana

La desertificazione è uno degli effetti più dannosi del cambiamento climatico, perché la mancanza di acqua nel suolo crea problemi di approvvigionamento e insicurezza alimentare. Oltre ad avere numerose conseguenze secondarie a livello politico e sociale. Sempre più persone si trovano per questa ragione costrette a migrare: un fenomeno già in corso, ma che nei prossimi decenni si aggraverà.
Pubblicato il 1 Luglio 2022
Ambiente, Materiali, Politica, Scienze, Scritti, Temi, Materiali

La siccità, uno degli effetti più nocivi del cambiamento climatico

La mancanza di acqua è uno degli effetti più evidenti del cambiamento climatico nonché uno dei più disastrosi.

Secondo il Cmcc (centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici), come capacità di devastazione del territorio, delle infrastrutture e della vita animale e umana sulla Terra, essa è seconda solo a tempeste e alluvioni.

Ogni anno ne vengono colpite 55 milioni di persone, secondo le stime dell’Oms, con costi economici e umani elevatissimi.

L’impatto ambientale è molto forte, come evidenzia l’Unccd (United nations convention to combat desertification), con effetti importanti sugli ecosistemi e sulla vita animale. Ma anche le ripercussioni sulla vita umana sono molteplici. Essa infatti dipende profondamente dalle risorse idriche, in primis per l’agricoltura.

Sono numerose anche le conseguenze mediate, come evidenzia l’Oim (organizzazione internazionale per le migrazioni) – un fenomeno tipico degli eventi climatici estremi, che hanno effetti secondari anche negli equilibri sociali, economici e politici, causando instabilità, guerre e violenza.

Un fenomeno in aumento, soprattutto nel Sud globale

La siccità è un fenomeno che fa parte dei cicli naturali della Terra e pertanto è normale che con una certa frequenza si manifesti. La sua incidenza è però aumentata in modo significativo negli ultimi anni, in quasi tutto il pianeta.

Sono infatti 140 su 193 gli stati per cui negli anni 2040-2059 la Banca mondiale prevede un’anomalia climatica di maggiore aridità rispetto alla media del periodo 1986-2005.

Parliamo di un indicatore noto come indice Spei (standardized precipitation and evapotransporization index), che tiene conto sia del cambiamento nelle precipitazioni che della capacità del suolo in un particolare ecosistema di perdere l’acqua in esso contenuta. È uno dei numerosi indicatori con cui si può misurare questo fenomeno, che è per sua natura complesso. I principali fattori che possono essere presi in analisi sono le già citate precipitazioni, ma anche le temperature medie, l’umidità del suolo, o ancora l’impatto rilevato sulle coltivazioni.

In base alle rilevazioni dell’indice Spei raccolte dalla Banca mondiale, sono solo 52 i paesi che invece registrano una tendenza opposta, verso un’umidità più elevata. Sono perlopiù stati situati nell’estremo Nord (soprattutto Russia, Canada, gli stati scandinavi), nell’estremo oriente (in particolare Giappone e Corea) e in Asia sud-orientale (Filippine, Cambogia, Indonesia e Thailandia).

In oltre il 70% dei paesi del mondo la siccità è in aumento

Le previsioni sulla variazione di umidità per gli anni 2040-2059 rispetto agli anni 1986-2005

FONTE: elaborazione openpolis su dati Banca mondiale (ultimo aggiornamento: sabato 13 Giugno 2022)

A risultare particolarmente colpite sono le zone che già in precedenza erano caratterizzate da un ecosistema di tipo desertico, come il Medio-oriente e l’Africa settentrionale, ma anche l’Australia, la parte meridionale del continente africano, l’Asia centrale e alcune aree dell’America centrale. Anche il continente europeo risulta esposto, soprattutto la parte meridionale (in primis la Spagna).

Sono colpiti in maniera particolare gli stati che già soffrono di un più basso tasso di sviluppo, e che spesso già sono destinatari di aiuti internazionali. In questi casi, siccità e desertificazione porteranno secondo le istituzioni internazionali ad un aumento esponenziale dei flussi migratori. Aggiungendosi a problemi preesistenti, contribuiranno ad una concatenazione di effetti secondari dannosi.

Secondo le stime della Banca mondiale, circa 216 milioni di persone potrebbero lasciare la propria abitazione entro il 2050 per la siccità e i fenomeni ad essa legati.

Gli sfollamenti per siccità, una crisi già in corso

Già oggi sono centinaia di migliaia ogni anno gli sfollati per siccità – perlopiù persone che non arrivano a oltrepassare i confini nazionali (anche detti sfollati interni). Parliamo di più di 240mila persone nel 2021, con un picco di quasi 1,3 milioni nel 2017.

Nel 2021 ci sono stati più di 240mila sfollati per siccità

Il numero di sfollati per siccità nel mondo (2017-2021)

FONTE: elaborazione openpolis su dati Idmc (ultimo aggiornamento: sabato 13 Giugno 2022)

Inoltre, la siccità va ad aggravare problemi preesistenti legati all’approvvigionamento, causando carestie e sconvolgimenti negli equilibri agricoli. Una serie di fattori che, come accennato, contribuiscono all’emergere di situazioni di insicurezza alimentare, già un problema particolarmente serio in diverse aree del globo.

Dal 2017 al 2021 ad esempio si contano quasi 1,4 milioni di sfollati somali per eventi di siccità. La Somalia è anche uno dei paesi considerati prioritari dalla cooperazione italiana e dove al contempo si registra una situazione di grave crisi alimentare.

Un caso simile è quello dell’Afghanistan, dove più di 13 milioni di persone soffrono condizioni di insicurezza alimentare, e dove ci sono stati dal 2017 più di 378mila sfollati per siccità.

Negli ultimi anni, l’evento di siccità che ha causato più sfollamenti è stato proprio in Somalia, nel 2017: un singolo episodio che ha costretto 892mila persone a lasciare la propria casa. Altri casi rilevanti sono stati quello, sempre risalente al 2017, in Etiopia (381mila sfollati) e quello che nel 2018 ha portato 371mila afghani a migrare.

Più della metà degli sfollati per siccità sono somali

Il numero di sfollati per siccità, per paese (2017-2021)

FONTE: elaborazione openpolis su dati Idmc (ultimo aggiornamento: sabato 13 Giugno 2022)

Anche Sud Sudan, Etiopia, Kenya, Pakistan e Iraq, oltre ai già citati Afghanistan e Somalia, sono paesi considerati prioritari dalla cooperazione italiana e che al contempo soffrono in questi anni una grave crisi alimentare.

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