Interventi

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Di Giorgio Stamboulis

La scuola italiana chiusa a tempo indeterminato per decreto del quotidiano “la Repubblica” su invito di medici e specialisti a mezzo stampa. Eppure dietro questo avvenimento si nasconde qualcosa di più dell’emergenza sanitaria o della semplice inadeguatezza strutturale del Ministero dell’istruzione. Proviamo a ricostruire alcuni passaggi.

La chiusura di molti plessi italiani dal 22 febbraio, poi estesa a tutto il Paese, è stata accolta come un’opportunità da molti esperti, dirigenti, insegnanti e pedagogisti. L’emergenza è così diventata il momento di un grande esperimento sociale per preparare un futuro ben predisposto per nativi digitali soli e atomizzati. Una grande occasione si è presentata per case editrici e colossi del web che hanno reso disponibili webinar, strumenti e riflessioni sul e per il mondo nuovo. Questa opzione continua ad essere perseguita tenacemente con diversi interventi che puntano ad insegnare e organizzare una didattica a distanza efficace, considerata per la verità migliore di quella tradizionale.

Prendiamo due esempi recenti per comprendere cosa si sta progettando per la scuola. I dirigenti scolastici Laura Biancato, Amanda Ferrario, Antonio Fini, Alessandra Rucci hanno lanciato una proposta complessiva su orizzontescuola.it del 16 Aprile. Da settembre, la didattica andrebbe centralizzata a livello ministeriale, con lo scopo di imporre una didattica a distanza standard. I contenuti sarebbero determinati dall’alto dalle “migliori menti didattiche del Paese”, attraverso brevi video (15 minuti massimo) da diffondere attraverso la rete e la televisione, inoltre bisognerebbe fornire un piano delle lezioni standard per tutti i docenti che dovrebbero semplicemente adattare questa neoscuola e valutare i risultati dei discenti. Un piano omogeneo fatto di pillole e impoverimento educativo, ma molto smart. Gli insegnanti avrebbero il vantaggio di non dover impegnare “tanto tempo” per costruire i contenuti.

Mauro Piras, su “Il Sole 24 Ore” del 30 marzo propone un “vademecum per docenti e studenti”. Le sue 11 tesi si basano, su alcuni presupposti simili a quelli dei dirigenti: l’orario di lezione va snellito per non affaticare gli studenti, così le attività vanno fatte in maniera asincronica (video con contenuti brevi del primo esempio), il contatto va mantenuto con mail, messaggi e tutto quel che è possibile adoperare, si tratta di un’opportunità per digitalizzare e innovare la scuola, quindi grande spazio a forum di discussione, seminari a gruppi, insegnamento cooperativo e via dicendo.

Evidentemente ci sono soluzioni anche condivisibili, ma che non tengono conto di alcuni aspetti basilari. La scuola che si preparano a propinarci è la proiezione neoliberista del futuro. Invece la priorità è la relazione in questo stato di emergenza. Io insegno in nove classi e faccio alcune compresenze volontarie in una decima classe: un campione liceale (cioè specifico) abbastanza rappresentativo. Nell’emergenza studentesse e studenti cercano costantemente il modo di allungare i tempi della videolezione non di abbreviarli. Certo questo non avviene in maniera frontale, non chiedono di osservare qualcuno che parla ad uno schermo per un’ora, ma per la verità nemmeno per un quarto d’ora. Chiedono relazione e interazione, chiedono di discutere e confrontarsi nell’unico spazio ora a disposizione. Siamo in un surrogato di scuola e non possiamo permetterci di gestirlo diversamente, pensando che una didattica rapida e in pillole di pensieri lenti e complessi come sono le mie di competenza, cioè storia e filosofia, possa essere imposta in questo momento sospeso in cui c’è sete di contatto, riflessione e tempi densi. In fondo la noia della routine scolastica è e può essere rassicurante senza disorientarli con novità improvvisate, fermo restando il diritto alla disconnessione e a pause più frequenti tra un’ora e l’altra. La prima cosa è esserci e senza pensare di stravolgere ciò che si faceva in classe, perché è della classe che hanno bisogno alunne e alunni non di creatività e strumentalizzazione dell’emergenza. Poi potremmo sempre migliorare la scuola, ma senza usare una crisi per imporre nuovi paradigmi e servitù, come spesso è accaduto. Facciamo la scuola a distanza per poter tornare il prima possibile a quella delle relazioni.

Qui è bene tornare alla domanda di partenza, perché la scuola chiusa a tempo indeterminato? Sicuramente perché molti vogliono sfruttare l’opportunità per stravolgerla nel profondo. Ma questa idea opportunistica ha un corollario nella percezione generale italiana: la scuola, i bambini e gli adolescenti sono i primi sacrificabili, i loro bisogno e desideri educativi sono sostituibili a distanza e non producono ricchezza. «Riavviamo la produzione, non possiamo morire di fame» sembrano dirci, la crescita umana interrotta e la distruzione del futuro non sono un problema. Se qualcuno non avrà avuto un vero esame di maturità, non avrà imparato a leggere e scrivere di fianco ai suoi compagni, svilupperà ferite permanenti nella capacità di socializzazione poco importa. Relazione e bisogni educativi possono forse essere importanti in Francia, Germania, Danimarca, ma non in Italia. Ripensiamo la scuola in maniera che rimetta al centro le relazioni e la socialità, anche se non può essere fatto tutto a maggio potremmo fare qualcosa. Potremmo almeno accogliere i bambini della prima elementare, i ragazzi di terza media e quelli di quinta superiore per sperimentare con spazi adeguati e potremmo restituire qualcosa a chi non potrà tornare indietro. Almeno sarebbe qualcosa e almeno avremmo invertito le priorità.

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Breve biografia di Giorgio Stamboulis:

Dottore di ricerca in Storia moderna e contemporanea all’Università di Firenze e docente di ruolo di filosofia e storia presso il Liceo Classico Dante Alighieri di Ravenna. Vincitore della borsa Onassis e del premio per la migliore tesi di laurea Antonio Rotondò. Autore di diversi articoli soprattutto sull’età dei Lumi nei Balcani e del libro “Filosofia precaria” nel 2017. Candidato con Ravenna in Comune alle ultime elezioni e membro del circolo ARCI Dock61 di Ravenna, sede di presentazioni di libri, seminari e attività sociale e culturale in genere.

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Un commento a “Difendere la scuola: relazioni e didattica a distanza”

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