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Dividere per 30, moltiplicare per 3

La giustizia climatica nei paesi ricchi e in quelli poveri.
Pubblicato il 1 Dicembre 2021
Ambiente, Materiali, Scienze, Scritti, Temi, Materiali

Prosegue la pubblicazione del testo (tradotto) di 10 New Insights in Climate Science 2021 iniziata con Meglio di così non poteva andare (qui il link). Oggi il quinto item: La climate action globale deve essere equa.

Da 10 New Insights in Climate Science 20211

5. La climate action globale deve essere equa

Messaggi chiave

  • L’azione per il clima deve sostenere transizioni giuste, poiché altrimenti potrebbe rallentare i miglioramenti degli standard di vita nei paesi a basso e medio reddito e gravare sulle persone svantaggiate a livello globale.
  • Lavorare in vista di uno sviluppo giusto, equo e a basse emissioni di carbonio per i paesi più poveri:
    • richiede all’1% più ricco di ridurre le proprie emissioni di un fattore 30, cosa che può
    • consentire al 50% più povero della popolazione mondiale di aumentare le proprie emissioni fino a tre volte.
  • Un’azione per il clima orientata alla giustizia avrà maggiori probabilità di essere accettata pubblicamente, facilitando l’avvio della sua implementazione.

Qualche approfondimento

L’azione globale per il clima deve essere progettata per affrontare le crescenti disuguaglianze e ingiustizie tra i gruppi sociali e tra le generazioni che vivono in diversi paesi del mondo. Una giusta distribuzione del carbon budget2 richiederebbe all’1% più ricco della popolazione mondiale di ridurre le proprie emissioni attuali di almeno un fattore 30, mentre il 50% più povero potrebbe aumentare di circa tre volte le proprie emissioni pro capite a partire dai livelli medi attuali. Ciò richiede la decarbonizzazione delle infrastrutture di produzione e consumo esistenti e la promozione di stili di vita a basse emissioni di carbonio. Obiettivi e incentivi per facilitare questa transizione si tradurrebbero necessariamente in un processo globale a due velocità, con un alto tasso di cambiamento percepibile a livello del G20. È verosimile che politiche climatiche orientate alla giustizia risultino più ampiamente accettabili, aumentando le potenzialità di un’attuazione efficace a beneficio di tutti.

Non soltanto gli impatti climatici sono distribuiti in modo ingiusto, ma le azioni per mitigare i cambiamenti climatici rischiano anche di avere un impatto indebito sui soggetti più vulnerabili. Le politiche climatiche che aumentano il costo dei beni di base come l’energia di uso domestico, l’acqua o il cibo – ad esempio attraverso la tassazione o aggiungendo il costo della limitazione del danno ambientale nella fornitura di questi beni e servizi – tendono ad avere effetti distributivi regressivi in quanto le persone a basso reddito ne sono colpite più duramente delle persone relativamente più ricche. Le politiche e i processi che cercano di restringere i settori economici ad alto tenore di carbonio ed espandere l’economia a basso tenore di carbonio possono minacciare i mezzi di sussistenza dei lavoratori occupati nei primi, a meno che non siano abbinati a programmi di potenziamento delle competenze e di creazione di posti di lavoro. Le risorse minerali necessarie per le tecnologie a basse emissioni di carbonio, quali ad esempio batterie e pannelli fotovoltaici, sono spesso estratte nei paesi più poveri con modalità che generano effetti ambientali e sociali dannosi. […]

La mancanza di sviluppo infrastrutturale in molti paesi in via di sviluppo, non ultimo nell’Africa subsahariana, può fornire l’opportunità di passare direttamente a sistemi infrastrutturali efficienti sotto il profilo delle risorse e resilienti al clima. Ciò richiede un’economia politica che sostenga i paesi con minori capacità di bilanciare le priorità di mitigazione, adattamento e sviluppo. I paesi più ricchi dovrebbero contribuire agli investimenti a basse emissioni di carbonio nei paesi più poveri. Questi cambiamenti richiedono la rottura dello status quo, trasformando le disuguaglianze sistemiche e le strutture che le mantengono.

A livello internazionale, le ambizioni che riguardano il clima possono e devono garantire co-benefici per le società vulnerabili. Inoltre, non devono pregiudicare l’accesso delle persone ai beni di prima necessità. Al fine di realizzare un’azione giusta e ambiziosa, devono essere tutelati i diritti passati, presenti e futuri derivanti da un’equa distribuzione del carbon budget globale.

Note tecniche

Quando si confrontano le impronte di carbonio pro capite in tutto il mondo, emergono enormi disparità (tra i paesi e all’interno di ognuno di essi). Ad esempio: il 10% più ricco della popolazione mondiale è responsabile del 52% delle emissioni cumulative di carbonio (basate sul consumo) nel periodo 1990-2015, mentre il 50% più povero ne rappresenta solo il 7%. Durante questo periodo, l’impronta di carbonio del 10% più ricco ha continuato ad aumentare, essendovi stata una mancanza di politiche di mitigazione atte a limitare le emissioni di questo segmento di popolazione.

Vale la pena notare che, nonostante l’aumentata impronta di carbonio registrata a livello globale dagli anni ’70, le disuguaglianze nella sua distribuzione tendono a diminuire. Ciò è in parte dovuto alla crescita economica della Cina e al forte accoppiamento tra livello di reddito (PIL) e impronta di carbonio. Ottenere il disaccoppiamento di queste due variabili sarà una grande sfida per mitigare il cambiamento climatico, perseguendo al contempo obiettivi di benessere per tutti e contemperando l’avanzamento dei programmi in materia di sviluppo e di clima. Si stanno accumulando evidenze del fatto che i paesi più ricchi potrebbero convenientemente dare priorità agli obiettivi ambientali e sociali nella definizione delle loro politiche e nella misurazione del progresso sociale ed economico con metriche diverse dal PIL.

Gli impatti dei cambiamenti climatici hanno già colpito e continuano a colpire le persone vulnerabili e i paesi che hanno meno contribuito al problema. I paesi membri del G20 rappresentano circa il 78% delle emissioni globali di GHG3 e determineranno quindi in gran parte le tendenze delle emissioni globali nei prossimi decenni.

Nei paesi ricchi, le azioni attualmente in corso e quelle promesse sono inadeguate per affrontare la crisi climatica, né riflettono un’assunzione di responsabilità per la disparità di emissioni e impatti. Un esempio lampante è costituito dagli impegni a breve termine dei paesi del G20 basati sui Contributi determinati a livello nazionale nell’ambito dell’accordo di Parigi, che sono insufficienti per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni al livello dello zero-netto.

In conclusione

A livello globale, è importante che i negoziatori e i decisori:

  • utilizzino strategicamente la tariffazione delle emissioni di CO2, unitamente a interventi di redistribuzione delle risorse e trasferimenti finanziari dai paesi ricchi a quelli poveri per evitare effetti regressivi delle transizioni orientate a ridurre le emissioni di carbonio;
  • sostenere i paesi a basso e medio reddito nei loro sforzi di passare direttamente a infrastrutture a basse emissioni di carbonio e resilienti al clima, traendo vantaggio dai costi inferiori e dai requisiti infrastrutturali dell’energia rinnovabile distribuita;
  • sviluppare un giusto sistema di condivisione degli oneri globali, ad esempio attraverso l’approccio dei diritti produzione di gas climalteranti o l’approccio delle eguali emissioni cumulative pro capite, che possono ridurre la povertà su scala globale;
  • reimpostare le ambizioni climatiche nazionali in termini di obiettivi progettati per ridurre ulteriormente la disparità nella distribuzione del carbon budget;
  • riconcettualizzare il modo in cui viene ottenuta la crescita, disaccoppiando il livello di reddito (PIL) e l’impronta di carbonio, al fine di dare contemporaneamente priorità al perseguimento del benessere per tutti e portare avanti congiuntamente le agende in materia di sviluppo e di clima.

A livello nazionale e locale, è importante che i Governi:

  • nel contesto delle nazioni più ricche, stabiliscano politiche molto più aggressive in linea non solo con la migliore scienza disponibile in materia di clima (cioè raggiungere o superare il rispetto dell’Accordo di Parigi e degli obiettivi di zero-nette emissioni), ma anche in linea con obiettivi orientati all’equità. Ciò richiede una riduzione delle emissioni legate ai consumi in vista di uno stile di vita al quale, entro il 2030, si associno 2-2,5 tonnellate di CO2e pro capite;
  • stabilire politiche per tassare pesantemente i prodotti di lusso e le attività con un’elevata impronta di carbonio;
  • condurre analisi attente e avanzate delle potenziali implicazioni distributive e di giustizia delle transizioni orientate a ottenere basse emissioni di carbonio;
  • compensare le popolazioni svantaggiate dove le politiche di riduzione delle emissioni hanno impatti distributivi regressivi, idealmente con misure che aiutino direttamente le persone a ridurre le proprie emissioni.

Note

1 Future Earth, The Earth League, WCRP (2021). 10 New Insights in Climate Science 2021, Stockholm, https://doi.org/10.5281/zenodo.5639539. (Qui il link al video della presentazione di Rockström).

2 Carbon Budget: la massima quantità totale netta di CO2 che possiamo ancora immettere nell’atmosfera per limitare il riscaldamento globale entro un dato livello e con una data probabilità, tenuto conto degli effetti prodotti sul clima da altri fattori di origine antropica.

3 Green House Gases: tutti i gas che, come l’anidride carbonica, danno luogo a un effetto serra, influenzando quindi il livello di riscaldamento globale.

Qui il PDF

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