Politica, Temi, Interventi

Il Governo Draghi ha terremotato il quadro politico italiano. E, come era ampiamente prevedibile, le scosse che si sono propagate hanno colpito in modo decisamente più forte l’insieme delle forze che avevano sostenuto fino all’ultimo il secondo Governo Conte. Del resto l’obbiettivo principale, e perfino dichiarato, di chi ha agito e spinto perché quel governo cadesse, aprendo le porte al “Governo dei migliori”, era colpire e destrutturare una maggioranza che, seppur tra mille difficoltà e con molti nodi irrisolti si preparava a costruire una alleanza più stabile oltre la gestione dell’emergenza.

Quella tra PD, 5Stelle e Sinistra è stata subito una maggioranza irregolare, mal sopportata dalle élites nazionali e da una grande parte dei poteri economici e finanziari del Paese. L’accusa di inadeguatezza ha fatto il paio con un furioso contrasto a politiche giudicate assistenzialiste e sprecone, o comunque non in sintonia con le richieste della grande impresa del nord rappresentata dalla nuova Confindustria di Bonomi.

Per questo non si poteva consentire che fosse quella maggioranza a gestire la programmazione e la spesa dei fondi previsti dal programma Next Generation EU. In questo senso, la nascita di un governo di emergenza nel nome di un esplicito commissariamento della politica, che nella sua composizione parlamentare costituisce un unicum nel panorama continentale (da nessuna parte in Europa le forze democratiche e socialiste governano con la destra nazionalista), non poteva che determinare questo primo esito.

Il M5S ha visto deflagrare tutte le sue contraddizioni e il ruolo di Conte, impegnato in un lavoro di rigenerazione e ridefinizione, della sua identità e della sua mission, ha esiti ancora oggi difficilmente prevedibili. Le dimissioni di Zingaretti sono arrivate in modo improvviso e inatteso mettendo allo scoperto, una volta di più, i problemi strutturali di un partito che dalla sua nascita si dibatte attorno alla difficoltà di trovare e definire una identità solida e riconoscibile. Come per l’avvento di Renzi, anche oggi non siamo di fronte a un incidente improvviso e imprevedibile, ma ad un problema strutturale. Letta propone un cambio di passo, ma è troppo presto per poter dire cosa produrrà questa nuova fase.

A sinistra le cose non vanno meglio. Dentro LeU si è prodotta una rottura che ha attraversato anche i percorsi di ricomposizione e di innovazione che si erano messi in moto nei mesi scorsi, a cominciare da Equologica. Chi ha votato la fiducia lo ha fatto, almeno sul piano degli argomenti, sostenendo da un lato l’idea che il terreno del confronto politico si sposti in questa condizione dal Parlamento al Governo (esorcizzando in questo modo il carattere altrimenti indigeribile della sua composizione politica); e dall’altro, che votare contro avrebbe indebolito l’asse della nascente coalizione giallorossa rendendo più difficile il suo ruolo di perno e di orientamento del nuovo quadro parlamentare e di governo.

Sinistra Italiana ha scelto di votare no e di collocarsi all’opposizione proprio perché ha considerato infondate queste tesi, oltre che per il giudizio dato su come si è arrivati a questa nuova fase. Gli sconvolgimenti nel “campo” dell’alleanza giallorossa e l’immediato fallimento dei tentativi di mantenere una funzione ordinatrice dietro il nuovo quadro – la fine dell’intergruppo al Senato prima ancora di essersi riunito e la sua non nascita alla Camera lo testimoniano ampiamente – hanno confermato prima del previsto la nostra lettura.

Resta dunque di fronte a noi tutta aperta la questione della prospettiva e in particolare, per quel che ci riguarda, la questione della prospettiva a sinistra.

In questo senso il rilancio di Sinistra Italiana che abbiamo deciso nel corso del nostro recente Congresso Nazionale (il primo e l’unico svolto interamente online) costituisce per noi una condizione necessaria ma non sufficiente. La scelta che abbiamo fatto rispetto al Governo ha contribuito, nonostante il tentativo di dipingerla come isolata e destinata a una deriva minoritaria, a determinare una nuova stagione di partecipazione che in queste settimane registriamo sia sul terreno delle adesioni che su quello dell’iniziativa. Per questo nei prossimi mesi occorre mettere in campo un programma di lavoro che si concentri attorno ad alcune campagne in grado di aggregare forze e costruire relazioni positive. Dal rilancio di una proposta per l’introduzione di una imposta patrimoniale sulle grandi ricchezze, a quella per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario (magari guardando alla sperimentazione triennale annunciata dal Governo spagnolo in questi giorni), si tratta di contribuire in modo utile alla costruzione di una alleanza in grado di battere le destre alle prossime elezioni, prima alle amministrative di autunno e poi alle elezioni politiche. Costruire un’alleanza che consideriamo necessaria ma che oggi non può essere ridotta all’oggetto di una evocazione. Fino ad ora infatti di questo si è trattato. La stessa maggioranza “giallorossa” ha a lungo rinviato la discussione sulla mancanza di un’anima o, per dirla meglio, di un’idea di società in nome della gestione dell’emergenza. Prima l’emergenza politica indotta dal tentativo di Salvini di ottenere i “pieni poteri” nell’agosto del 2019, poi quella ben più grave e seria della pandemia. Ora, però, questo lavoro non può essere più rinviato. Ed è qui che si pone, anche per la sinistra, il tema di come contribuire a questa discussione.

Da un lato occorre chiarire la direzione del nostro impegno verso la costruzione di un quadro di alleanze che possa essere competitivo anche sul terreno della massa critica. Dall’altro, serve una iniziativa che ponga al centro i temi cruciali del momento. La pandemia, è stato ripetuto all’infinito, cambia tutto. Quello che è rimasto troppo sullo sfondo è che il segno di questo mutamento non è affatto scontato. Ed è precisamente su questo che è in corso uno scontro tra interessi e visioni divergenti. Per noi ripensare un nuovo ruolo dello Stato in economia, definire una stagione finalmente espansiva nelle politiche per un welfare universale e pubblico, immaginare politiche di redistribuzione e di innovazione capaci di interpretare la grande questione della transizione ecologica in modo socialmente sostenibile è centrale.

Sinistra Italiana è a disposizione di questo sforzo. Insieme a tutte quelle esperienze, politiche civiche sociali che sentono il bisogno di porre fine ad una lunga stagione nella quale l’anomalia italiana è stata caratterizzata dalla fragilità e dalla debolezza di una proposta di sinistra e ecologista all’altezza dei problemi che abbiamo davanti.

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Un commento a “Dopo il dissesto, cosa resta a sinistra”

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