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El Muchito. Viaggio nella comunità afromessicana

La popolazione afromessicana é una delle piú invisibilizzate del paese. Cancellata dalla storia ufficiale per decenni, dopo una mobilitazione di piú di venti anni, solo recentemente ha ottenuto il riconoscimento formale nella costituzione del paese. Ogni anno, il movimento organizza un evento: “L’incontro dei popoli neri”. Durante tre giorni si riuniscono le comunità della costa e delle altre regioni del paese. L'autore del reportage che presentiamo racconta l'organizzazione dell'incontro di quest'anno vissuta in prima persona.
Figura 1 – La chiesa di San José Rio Verde.

La comunità di San José Rio Verde nella regione costiera dello stato di Oaxaca in Messico è piccola e non è facile da raggiungere. Conta poco meno di 700 abitanti e da Puerto Escondido sono almeno due ore con una “suburban”, i furgoni del trasporto privato che fanno la spola fino a Pinotepa Nacional. Si arriva così a un incrocio sulla strada federale 200 – la vera spina dorsale della regione costruita solo negli anni Sessanta – e poi, dall’incrocio, servono altri 10-15 minuti di taxi in direzione dell’oceano addentrandosi nella campagna coltivata e tropicale fino ad arrivare al paese, circa 45 minuti prima del litorale.

È qui che sono stato circa tre settimane a novembre. Ho accompagnato un collettivo afromessicano nell’organizzazione di un evento giunto alla sua ventitreesima edizione. L’“Encuentro de pueblos negros” (incontro dei popoli neri): uno degli appuntamenti più importanti e regolari del movimento nero in Messico. Il primo incontro si è tenuto non lontano da qui, nella comunità del Ciruelo, nel 1997. Simbolicamente ha rappresentato l’inizio del processo organizzativo e di mobilitazione di questa popolazione dimenticata del Messico.

Tutti conoscono la radice indigena di questo enorme paese e il suo meticciato tra cultura autoctona e cultura imperiale spagnola, pochissimi conoscono l’importanza della presenza nera nella regione mesoamericana. Nemmeno la grande maggioranza dei messicani conosce quest’aspetto. Quando parlo del mio lavoro di ricerca, non è raro sentirmi dire: “Perché? ci sono neri in Messico?!”. La questione è che il mestizaje indigeno-ispanico è un feticcio dell’ideologia nazionale post-rivoluzionaria messicana. Il risultato, dopo più di un secolo, è che i neri sono usciti dal discorso pubblico, dai libri di testo, dalla storia ufficiale, dal simbolismo nazionale. I messicani sarebbero sí eredi dell’impero azteca e dell’impero spagnolo, ma non delle popolazioni nere in maggioranza arrivate in schiavitù durante il tempo della Colonia.

Figura 2 – In viaggio da San José Rio Verde a una comunità vicina di pescatori perché donino del pesce per l’evento.

Di fronte alla realtà sembra incredibile per un paese i cui padri fondatori, gli insurgentes, erano molto coscienti della presenza africana. Tanto che l’abolizione della schiavitù è stata presente fin dai primi proclami e realizzata relativamente presto rispetto agli altri paesi del continente. Di più, uno degli eroi della patria, uno dei comandanti della lotta per l’indipendenza e dei primi presidenti, Vincente Guerrero, era di origine africana. Ma poi sono arrivate l’indipendenza, la Riforma del 1859, lo sviluppo capitalista, la ferrovia e i capitali stranieri, la francofilia del quasi-dittatore Porfirio Diaz, l’ideologia del meticciato e dello sbiancamento che valeva per tutti, neri e indigeni. E infine c’è stata anche la rivoluzione e il conseguente indigenismo ufficiale messicano. Certo non si trattava di una mano tesa alle popolazioni indigene, era un programma di assimilazione e cancellazione, ma almeno le collocava sulla mappa in una tensione costante che ha attraversato il XX secolo fino all’insurrezione zapatista e che continua anche oggi.

I neri no, loro sono diventati invisibili. D’altronde questo era il pensiero ufficiale dello Stato messicano, o forse un desiderio, nel suo impegno di costruzione della nazione. Troppo pochi per essere considerati e troppo schiavi, e forse troppo non-bianchi, per essere integrati nella narrazione di un popolo messicano unito e omogeneo. L’antropologia ufficiale, la stessa che trattava la “questione indigena”, considerava le popolazioni afromessicane una “popolazione residuale”. Così pensava lo stesso Aguirre Beltrán, medico prestato all’antropologia, pioniere che negli anni Cinquanta condusse le prime etnografie nella Costa Chica, regione a sud di Acapulco in direzione di Puerto Escondido.

E invece non sono scomparsi, non si sono semplicemente assimilati, sbiancati, diluiti. Nel tempo che trascorre tra le ricerche di Aguirre Beltrán e gli anni Novanta, quando gli afromessicani della costa hanno iniziato a organizzarsi, nel Paese cambia tutto. Il sistema post-rivoluzionario e (quasi) monopartitico del PRI crolla schiacciato dalle pressioni esterne e picconato dai movimenti interni, la crisi del debito negli anni Ottanta, le riforme degli anni Novanta, la cosiddetta transizione alla democrazia e il neoliberismo.

Figura 3 – Il mais, pianta simbolo delle culture mesoamericane si coltiva solo per autoconsumo.

È in questo momento di rottura della macchina istituzionale e partitica che le regioni costiere dove si concentrano le comunità afromessicane, private anche delle briciole dello Stato, hanno fatto forse di necessità virtù e hanno rivendicato la propria identità etnico/razziale e il riconoscimento. Certo, non sono stati solo i fattori strutturali. Ci sono voluti anche un prete cattolico e nero (Padre Glyn) originario dell’arcipelago caraibico di Trinidad e Tobago arrivato al Ciruelo in quegli anni e un professore (Sergio Peñaloza) della cittadina dal nome difficile, Cuajinicuilapa nello stato di Guerrero. Sono due delle figure principali tra quelli che hanno iniziato a organizzare le comunità sulla base della loro comune discendenza e la loro storia di discriminazione, sfruttamento e soprattutto invisibilizzazione.

Da quel momento ad oggi, di nuovo, di acqua ne è passata tanta sotto i ponti. Per il Messico e per il movimento. Il prete cattolico è tornato in patria, il professore è stato eletto con un sistema di quote al Parlamento messicano. Il movimento si è espanso. Nel 2016 per la prima volta ha organizzato un “incontro” fuori dalla sua regione di origine, nello Stato di Veracruz e poi uno in quello di Coahuila con la popolazione afroindigena dei Mascogos. Si è anche urbanizzato, oggi Città del Messico è piena di organizzazioni che rivendicano giustizia e riconoscimento per gli afromessicani.

Nonostante tutto la costa continua a essere la regione con la più alta densità di messicani e messicane che si autoriconsocono afrodiscendenti. Un censimento del 2020 – il primo che li ha considerati – dice che in totale compongono il 2% della popolazione, pochi rispetto agli indigeni che sono circa il 10%. Nelle comunità costiere però si sfiorano percentuali bulgare. Considerarsi afro qui non è tanto una questione di fenotipo, è l’appartenenza a una cultura e a comunità che sono state fondate e popolate dai discendenti degli africani schiavizzati.

Figura 4 – Il paesaggio coltivato e una delle molte lagune che si trovano nella regione.

San José Rio Verde, come il resto della regione è povero. Si vive principalmente di agricoltura. La terra è ricca e il paesaggio piacevole. Si coltiva papaya, peperoncino, banane, mango. Il calore è intenso e umido. Ma il paese è lontano dalla strada costiera principale e non è diventato un centro di scambio come altri località vicine che approfittano del traffico.

Il fatto che l’incontro, quest’anno, si organizzi nella loro comunità è motivo di orgoglio per i suoi abitanti: è importante che la comunità faccia bella figura perché arriveranno persone da tutto il Messico e anche da altri paesi. Ospiti, programma e logistica sono a carico delle associazioni del movimento afromessicano, ma il lavoro pratico, quello che riguarda l’ospitalità e il pernottamento, lo spazio dell’evento e il cibo è tutto per i 14 – quasi tutte donne – membri attivi del Consiglio afromessicano “El Muchito”.

Figura 5 – In viaggio per andare a Puerto Escondido per un rosario in memoria della vittima di un femminicidio.

Il lavoro di organizzazione è un intreccio tra impegno preso con le associazioni del movimento afrodiscendente e vita comunitaria. Questa è intensa. Si tende a immaginare la vita in provincia come qualcosa di noioso, in realtà è senza respiro e, per la famiglia di Eladia – che mi ospita – è scandita dalla religione. Le feste comandate, come il Giorno dei Morti, un funerale, un compleanno, i rosari, si alternano alle uscite con le compagne del Consiglio. Son tre settimane in cui difficilmente si ha un momento di pace in solitudine, avanti e indietro per il paese e a volte anche nei centri vicini.

Figura 6 – Il compleanno di Zoe e Lupita.

Lavorare in vista dell’incontro dei popoli neri significa andare di casa in casa per chiedere sostegno a tutti. Non si tratta solo di denaro, ma anche di aiuto pratico. I compiti del Consiglio sono sostanzialmente dedicati a risolvere tre questioni: l’ospitalità per i visitanti che arriveranno e che vorranno fermarsi nella comunità, colazione-pranzo-cena per i due giorni dell’evento, la preparazione dello spazio.

Figura 7 – La maggior parte dei membri del Consiglio afromessicano del paese e Yolanda Camacho, attivista del movimento.

L’idea di offrire un tetto agli attivisti e gli invitati è una pratica consolidata fin dagli anni Novanta per permettere a chi viene da fuori di realmente poter partecipare e vedere in prima persona un poco della vita in una comunità afromessicana. Sono i locali ad aprire le loro case e offrire uno spazio dove dormire.

Figura 8 – Gli uomini costruiscono il portico dove la gente potrà mangiare durante l’evento.
Figura 9 – La costruzione del portico.

Il lavoro per allestire la cucina è molto più grande. Vengono coinvolti gli uomini. Aiutano costruendo un portico dove ci saranno i tavoli per mangiare e vanno nel bosco per fare legna per cucinare per tutti. Un ricco del paese, forse l’unico, ex politico, ex sindaco e ex deputato, regala un bufalo di 800 chili. Sono sempre gli uomini che si incaricano di preparare la barbacoa, piatto tipico di origine indigena.

Figura 10 – Gli uomini al lavoro preparando la barbacoa.

Un giorno accompagno Eladia, Silvia (la leader del Consiglio) e Benita insieme a Doña Yolanda dell’associazione Ña’a tundá a Jamiltepec, la città più vicina, per comprare gli ingredienti necessari per il menu e per parlare con la sindaca.

Figura 11 – Yolanda, Eladia, Silvia e Benita a Jamiltepec per comprare il necessario per i pasti.
Figura 12 – Annunciando la data dell’evento negli altoparlanti di una delle comunità attigue.

Preparare il campo municipale è un lavoro più collettivo. Al principio si tratta di pulirlo e ripitturare i muri del campo e dell’edificio del municipio: un’attività svolta dal Consiglio ma anche da altre persone che rispondono all’invito del Consiglio lanciato attraverso gli altoparlanti del paese. Sotto richiesta del capo della polizia locale, il barbiere ed ex-militare Adelfo, partecipano anche i 13 agenti volontari della polizia comunitaria. Dopodiché un maestro della scuola primaria dirige i lavori di decorazione con oggetti tipici della tradizione afrodiscendente della Costa. Si tratta di utensili legati al mondo della pesca, la professione tradizionale dei “morenos” – il termine che si usa in questa regione per indicare i neri.

Figura 13 – Alcuni bambini aiutano a pulire il campo municipale.
Figura 14 – Pitturando l’edificio della sede municipale.

Gli ultimi giorni sono movimentati, ognuno davanti alla propria casa pulisce la strada per poter ricevere le persone in un paese pulito e in ordine. E poi inizia l’evento.

Figura 15 – La marcia di inaugurazione dell’evento. Attivisti e attiviste entrano nel paese a suon di musica.

Nei due giorni di attività si susseguono momenti più culturali a momenti più “politici”. La sera ci sono i balli tradizionali e di giorno ci sono i dibattiti. L’ultimo giorno Padre Flaviano celebra anche una messa cattolica con “rito afromessicano”. Non conosco l’origine di questo rituale, ma suppongo che si tratti di un altro elemento del processo di etnogenesi che è cominciato con il movimento stesso.

Figura 16 – I ragazzi della scuola superiore presntano una coreagrafia che racconta la tradizione religiosa della mayordomia nel paese di San José Rio Verde.

Il discorso degli attivisti si muove, secondo il contesto, tra due poli: uno di rivendicazione etnica, particolarmente forte nelle regioni specifiche dove si concentrano le popolazioni nere, e uno più razziale, più forte nel contesto urbano. Qui, nella Costa i neri rivendicano la loro specificità culturale di popolo. Hanno la loro gastronomia, i loro balli, i loro rituali e rivendicano anche una differenza linguistica, recuperando parole regionali come “muchito” che significa bambino e che dà il nome al Consiglio afromessicano del pueblo.

Figura 17 – Bambini vestiti da “diavoli” per una delle danze tradizionali della regione.

Dal 97 a oggi, il movimento afromessicano ha raggiunto risultati rilevanti. Il più importante è stato, nel 2019, il riconoscimento costituzionale tra le popolazioni che compongono il popolo messicano. Si tratta però di una formalità, ancora mancano leggi e provvedimenti che assegnino risorse pubbliche specificamente a queste popolazioni e ai territori che abitano. Uno dei temi forti dell’evento è stato il dibattito sull’istituzione di una “afrouniverstá” proprio nella regione della Costa. I fondi sono già stati stanziati e il progetto cammina. L’idea è facilitare l’accesso all’istruzione ma anche di produrre una istruzione “regionalizzata”, più attenta alle esigenze del territorio.

Son tre settimane in cui difficilmente si ha un momento di pace in solitudine, avanti e indietro per il paese e a volte anche nei centri vicini.

Figura 18 – Durante la pausa pranzo di uno dei due giorni dell’evento.
Figura 19 – Uno dei workshop svoltisi durante l’incontro.

Il movimento che vedo a La Boquilla – così viene chiamato il paese nella regione – non è che una parte di una galassia più grande di associazioni e collettivi. Gli orientamenti variano e non tutti condividono il percorso che privilegia il dialogo con le istituzioni come fanno le associazioni presenti nell’Incontro. Indipendentemente dalle differenze, il cammino è ancora lungo. La regione costiera tra Acapulco e Puerto Escondido è una delle più povere in Messico e il lavoro di ricostruzione/costruzione di una identità afromessicana non è semplice. Gli incontri non hanno solo la funzione di riunire le associazioni e gli attivisti del movimento. Servono piuttosto per espanderlo. Così l’arrivo degli attivisti in principio viene accolto come una festa da parte della comunità, ma dopo lascia la voglia di continuare a partecipare a altre attività e incontri. L’evento mobilita nuove persone e nuove comunità. Quando i pulmini con le persone ripartono, la mattina del terzo giorno, nelle parole delle signore del Consiglio afromessicano rimane la gioia e l’orgoglio. E anche la speranza di poter andare a Tamiahua nello stato di Veracruz sul golfo messicano, dove è stato programmato il prossimo Encuentros de Pueblos Negros.

Figura 20 – Il pubblico osserva uno dei balli tradizionali.
Figura 21 – Le bambine della scuola elementare pronte per presentare il proprio spettacolo.

*Alessandro Grassi è dottorando in Economia sociale all’Università autonoma di Aguascalientes in Messico.

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