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Articolo pubblicato su “Atlante” il 03.05.2023.

Alle elezioni di domenica 30 aprile, l’economista conservatore Santiago Peña, 44 anni, esponente del Partido colorado, è stato eletto presidente del Paraguay, con il 42,7%. Secondo, con grande distacco, con il 27,5%, Efraín Alegre, esponente liberale della Concertación nacional para un nuevo Paraguay, di centrosinistra. Terzo, con il 22,9%, Paraguayo “Payo” Cubas, candidato di destra antisistema. I risultati hanno smentito i sondaggi che prevedevano un testa a testa tra Peña e Alegre, supportato da una coalizione trasversale di 23 partiti, che puntava al malcontento verso il Partido colorado.

Partito-Stato

Oltre alla presidenza, il centenario Partido colorado, di centrodestra, ottiene la maggioranza anche al Congresso nazionale, Camera e Senato, e 15 dei 17 governatori locali.

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Riconferma così il proprio monopolio politico: governa il Paese sudamericano senza interruzioni dal 1948, ha consolidato il proprio potere durante la dittatura militare di Alfredo Stroessner, dal 1954 al 1989, e ha vinto tutte le elezioni dal ritorno alla democrazia. Eccetto quelle del 2008, vinte dall’ex vescovo, il progressista Fernando Lugo. La riconferma dei colorados è in controtendenza con il resto dell’America Latina: regione governata a maggioranza dalla sinistra e nella quale i governi uscenti vengono bocciati alle urne. Dal 2018 a oggi, si sono svolte 19 elezioni presidenziali in America Latina: solo due governi uscenti sono stati riconfermati. La forza elettorale del Partido colorado si poggia sulla diffusa cultura cattolica tradizionalista e sulla sovrapposizione con lo Stato, come avveniva con il Partido revolucionario institucional in Messico. Il Partido colorado ha il suo bacino elettorale tra i dipendenti pubblici e conta su 2,5 milioni di iscritti, il 53% del corpo elettorale. Ma essere iscritti ai colorados, non significa necessariamente votare colarados: Peña infatti ha ottenuto 1 milione e 300 mila voti.

Un’anomalia in America del Sud

«Il Paraguay è un’anomalia nel mezzo del cono sud, senza coste né ricchezze minerali, è rimasto per secoli in uno stato di autarchia» ha scritto il giornalista argentino Martín Caparrós. Oltre al castigliano, la lingua ufficiale è il guaranì: lo parlano quasi tutti i 7 milioni di abitanti, sparsi su una superficie maggiore di quella della Germania. Uno degli Stati più poveri della regione, con un PIL pro capite di 5.900 dollari statunitensi, l’economia legata all’agricoltura e all’allevamento – carne e soia rappresentano il 45% delle esportazioni – e l’abbondanza di acqua ne fanno uno dei pochi Paesi al mondo ad essere completamente alimentato da energie rinnovabili, grazie ai grandi impianti idroelettrici, come quelli di Yacyretá e Itaipú, che forniscono energia anche ai vicini Argentina e Brasile.  

Relazioni internazionali

Il Paraguay è l’unico Paese sudamericano che continua a riconoscere Taiwan come Stato sovrano, una tradizione che risale all’epoca della dittatura militare di Stroessner, ammiratore del generale anticomunista Chiang Kai-shek. Il candidato sconfitto, Alegre, puntava a rafforzare i legami diplomatici con la Cina, per promuovere le esportazioni, supportato dai potenti imprenditori dell’agro-export, e in linea con quanto fatto da molti Stati centroamericani e caraibici che hanno tagliato le relazioni diplomatiche con Taipei in favore di Pechino. Peña conferma la preferenza per Taiwan (che ha promesso nuovi investimenti nel Paese sudamericano) e annuncia di voler spostare l’ambasciata paraguaiana in Israele, da Tel Aviv a Gerusalemme, in linea con quanto fatto dagli Stati Uniti a guida Trump. «Il nostro triangolo geopolitico è Washington, Gerusalemme e Taipei» ha detto il neopresidente in un’intervista alla CNN.

La relazione con gli Stati Uniti non è semplice però. Gli USA hanno accusato l’ex presidente Horacio Cartes (al governo tra il 2013 e il 2018), uno degli uomini più ricchi del Paese, attuale presidente dei colorados e padrino politico di Peña, di corruzione, narcotraffico e legami con il gruppo islamista libanese Hezbollah, il cartello messicano di Sinaloa, la guerriglia colombiana delle FARC. Peña difende Cartes. E critica la scelta degli Stati Uniti di nominare come ambasciatore ad Asunción un sostenitore del movimento LGBTQIA+: «Non è un caso che lo abbiano fatto qui da noi e in Ungheria, paesi conservatori, dove la famiglia tradizionale è il centro della società» ha detto a El País.

Corruzione come istituzione nazionale

Il Dipartimento di Stato degli USA ha accusato Cartes di pagare ricche tangenti per assicurarsi il sostegno dei parlamentari nel Congresso. La corruzione era uno dei temi più sentiti dagli elettori: il 65% dei cittadini lo definiva uno dei tre problemi urgenti del Paese, secondo i dati di un sondaggio di Atlas Intel di marzo 2023. Corruzione alimentata dal denaro del narcotraffico: le riserve naturali e il fiume Paraná hanno fatto del Paraguay uno dei corridoi che portano la cocaina boliviana in Argentina e Uruguay, e da lì in Europa, come spiega il sito InSight Crime. Lo scorso anno, il procuratore antimafia paraguaiano, Marcelo Pecci, è stato assassinato mentre era in luna di miele, in un resort nei Caraibi colombiani, per il suo lavoro contro i narcotrafficanti nel proprio Paese. «La corruzione è un’istituzione, forse l’unica davvero sviluppata in Paraguay» scrive InSight Crime. Nelle zone rurali di frontiera, come nella provincia Amambay, lo Stato è assente e il potere è in mano ai cartelli criminali che contrabbandano prodotti d’ogni tipo, armi, droga, esseri umani. Il Paese è considerato uno dei più deboli nella lotta alla corruzione in tutta l’America Latina, secondo i dati del Capacity to combat corruption index AS/COA (Americas Society/Council of the Americas).

Vecchia politica con il vestito nuovo

Ma nonostante corruzione e malcontento, i colorados – anche grazie a un sistema elettorale a turno unico, garantito da una norma costituzionale – hanno riconfermato i loro gruppi dirigenti alla guida del Paese. Santiago Peña, ex funzionario del Fondo Monetario Internazionale con un master in economia negli Stati Uniti, è il volto nuovo della vecchia macchina del potere colorado. Peña, che si insedierà il prossimo 15 agosto per un mandato di cinque anni, promette di non cambiare nulla in termini di politica interna né in politica estera. La sua vittoria è un regolamento di conti dentro il Partido colorado: la scommessa vinta dell’ex presidente Horacio Cartes e la sconfitta del presidente uscente, Mario Abdo Benítez, leader della corrente opposta nel partito.

La sinistra dovrà trovare nuovi leader, Alegre ‒ avvocato sessantenne, candidato per la terza volta alla presidenza e che stavolta ha ottenuto il suo risultato peggiore ‒ difficilmente potrà riproporsi come guida dell’opposizione, anche perché, candidato a interpretare questo ruolo è Cubas, il terzo classificato, l’avvocato di estrema destra antisistema, del partito Cruzada Nacional, la vera sorpresa delle urne. Ha già denunciato, senza prove, brogli elettorali e il 1° maggio migliaia di persone hanno protestato contro i risultati e hanno cercato di assaltare il Tribunale elettorale nella capitale. Immagini che ricordano il tentativo di golpe dei bolsonaristi in Brasile lo scorso 8 gennaio. 

Il Paraguay non partecipa al trend regionale che boccia i governi uscenti, premia le sinistre, promuove i diritti civili, si avvicina alla Cina. E si conferma l’anomalia sudamericana. 

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