Democrazia, Internazionale, Politica, Temi, Interventi

Il 2024 si è caratterizzato per un numero insolitamente elevato di consultazioni elettorali (sarebbe stata chiamata al voto circa la metà della popolazione mondiale avente diritto; Simon). Questo contesto ha inevitabilmente moltiplicato le opportunità di interferenza nei processi democratici, attraverso campagne di disinformazione su larga scala, finalizzate a polarizzare il dibattito pubblico e, in molti casi, a sostenere candidati di estrema destra (Ruotolo). La decisione della Corte costituzionale rumena di annullare il contestatissimo esito del primo turno delle elezioni presidenziali appare, in questo contesto, il culmine simbolico di un anno particolarmente complesso per la democrazia.

La questione è ormai nota e può essere riassunta rapidamente. All’indomani delle elezioni del 24 novembre, Călin Georgescu, candidato indipendente e dichiaratamente filorusso, era stato ammesso al ballottaggio insieme alla candidata centrista Elena Lasconi. Il sorprendente risultato di Georgescu sarebbe stato favorito da una martellante campagna su TikTok, abilmente progettata per sfruttarne gli algoritmi mediante l’utilizzo di una miriade di profili falsi. Un aspetto cruciale della vicenda, secondo quanto solo suggerito – anche se non apertamente affermato – in documenti di intelligence declassificati poco prima della decisione della Corte costituzionale, è che questa campagna sarebbe stata in qualche misura supportata dalla Federazione Russa.

In questo contesto, la Corte costituzionale, nel suo ruolo di garante del processo elettorale, ha annullato il risultato del primo turno. Tale decisione – non meno sorprendente del successo di Georgescu – è stata giustificata da due fattori principali: la violazione delle norme sul finanziamento delle campagne elettorali (Georgescu aveva dichiarato una spesa pari a zero, sollevando dubbi più che plausibili sull’origine illecita o comunque “inconfessabile” dei fondi ricevuti) e l’uso distorto delle tecnologie digitali per orchestrare una massiccia campagna di disinformazione (Vaira).

Vale la pena notare che, nella decisione della Corte, i riferimenti ai sospetti di interferenze russe sono del tutto assenti, fatta eccezione per la generica affermazione della necessità di contrastare “l’ingerenza di entità statali o non statali nello svolgimento di campagne di comunicazione elettorale o di disinformazione” (par. 13). La Corte, però, richiama in più punti i documenti di intelligence che a tali interferenze chiaramente alludono. Si tratta, dunque, del classico “elefante nella stanza”, che la Corte ha preferito non indicare apertamente, nonostante il peso indiscutibilmente esercitato sulla decisione finale.

Per alcuni commentatori (Vaira), la condotta attribuita alla Federazione Russa nell’ambito delle elezioni rumene, che non appare diversa da altri casi di interferenza elettorale più o meno conclamati (si pensi alle elezioni statunitensi del 2016), si qualifica come “minaccia ibrida”, una categoria che ha assunto rilevanza crescente nel dibattito internazionale, soprattutto nel quadro del Consiglio d’Europa (v. le attività dell’European Centre of Excellence for Countering Hybrid Threats). Secondo una definizione comunemente accettata, le minacce ibride comprendono una varietà di azioni ostili che, pur collocandosi generalmente al di sotto della soglia dell’uso della forza armata, mirano a danneggiare gli ordinamenti democratici sfruttandone le vulnerabilità strutturali.

L’obiettivo principale di tali condotte è duplice: da un lato, minare la coesione sociale all’interno dello Stato target, alimentando divisioni e polarizzazioni; dall’altro, forzare lo Stato a intraprendere azioni che finiscono per tradire i propri valori fondamentali, compromettendo così la sua integrità istituzionale e morale. È proprio in questo quadro che l’ingerenza russa nella campagna elettorale rumena appare come un tentativo di manipolare non solo l’esito delle urne, ma anche di minare i principi democratici che costituiscono patrimonio condiviso dei Paesi membri dell’Unione europea.

La (presunta) strategia della Federazione Russa avrebbe infatti messo la democrazia rumena in una posizione di scacco, costringendola a fare una scelta impossibile: da un lato, accettare il rischio che un candidato apertamente filoputiniano, e plausibilmente sostenuto dalla Federazione Russa, potesse vincere le elezioni; dall’altro, negare efficacia a una manifestazione di volontà popolare, forse influenzata – ancorché indirettamente – da una campagna elettorale probabilmente finanziata da una potenza straniera. I termini “plausibilmente”, “forse,” “indirettamente” e “probabilmente” non sono casuali: riflettono l’incertezza che circonda questi eventi, un’incertezza che comunque non può essere ignorata, vista la gravità della decisione presa dalla Corte.

C’è poi una questione più profonda, che investe il piano politico e morale: è giusto invalidare una scelta popolare che gli elettori percepivano come autentica? Da quanto ne sappiamo non ci sono stati brogli elettorali. Chi ha votato Georgescu lo ha fatto perché, ci piaccia o no, lo riteneva la soluzione migliore per il proprio Paese. Il fatto che il suo convincimento sia stato “plasmato” da una massiccia campagna di disinformazione è solo una possibilità, per quanto concreta.

Intanto, è notizia recentissima la fissazione di una nuova data per le elezioni, che si terranno il 4 maggio. Con quale spirito l’elettorato rumeno tornerà alle urne? Quale fiducia potranno avere nella democrazia? È legittimo temere che proprio la sfiducia generata da questa crisi possa fornire un terreno ancora più fertile per la diffusione delle idee autoritarie di Georgescu e di chi lo sostiene, dentro e fuori la Romania.

Qual è la soluzione? Dare una risposta definitiva è complesso, se non impossibile. Di certo, la Corte costituzionale rumena si è trovata di fronte a un dilemma terribile, dove ogni decisione avrebbe comportato conseguenze potenzialmente disastrose. Consideriamo per un attimo l’eventualità che la Corte avesse deliberato diversamente. Quanto sarebbe stato delegittimante per i giudici costituzionali convalidare l’esito di elezioni condotte sotto il forte sospetto di interferenze russe?

Quel che è certo è che è necessaria una maggiore consapevolezza dei rischi posti dalle minacce ibride e di un loro monitoraggio costante. Intervenire tempestivamente, prima che il danno sia fatto – come è purtroppo accaduto in Romania – è essenziale per prevenire situazioni così estreme. In proposito, resta quantomeno singolare la decisione dei servizi di intelligence di rendere pubbliche le informazioni sulle presunte interferenze russe pochi giorni dopo il voto. È difficile immaginare che queste informazioni non fossero già disponibili in una fase precedente, quando un’azione preventiva avrebbe forse potuto evitare questa crisi.

Riflettori accesi, ora, sulle prossime elezioni generali in Germania, sulle quali incombe l’ombra lunga di Elon Musk, che ha già espresso un chiaro endorsement in favore di Alternative für Deutschland, ospitandone la leader in un livestream su X seguito da circa 200.000 utenti.

Certo, le differenze con la Romania sono piuttosto evidenti. Lì, l’ingerenza – peraltro solo sospettata – sarebbe stata realizzata da un Paese “ostile” attraverso un esercito di hacker anonimi, bot e profili falsi. Qui l’intervento nel dibattito elettorale è palese e proviene da un (futuro) esponente di un Governo “alleato”. Ovviamente, sulle etichette di “ostile” e “alleato” ci sarebbe tanto da discutere, ma non è questa la sede, né chi scrive pretende di avere le competenze per farlo.

Sta di fatto che il 24 gennaio si terrà una tavola rotonda con la partecipazione della Commissione europea, del Bundesnetzagentur (l’autorità federale incaricata, tra le altre cose, di implementare la normativa europea e nazionale in materia di servizi digitali), delle organizzazioni della società civile e delle principali piattaforme, tra cui X. L’obiettivo sarà discutere i rischi legati alle prossime elezioni in Germania e individuare misure concrete per prevenirli.

Questa discussione “preventiva” potrebbe rappresentare una buona prassi per affrontare in modo proattivo le minacce ibride che incombono sui processi elettorali. Evitare il reiterarsi di scenari come quello romeno è essenziale per preservare la fiducia dei cittadini nella democrazia e prevenire danni difficilmente riparabili al tessuto sociale delle nostre comunità, sempre più fragili.

*Il presente contributo è stato realizzato grazie al finanziamento del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) per il progetto di ricerca PRIN 2022 PNRR F53D23011940001 intitolato «Minacce ibride e resilienza democratica: un pacchetto di strumenti analitici e pratici (HYDRA)».

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