Interventi

Foto di Luca Barozzi da Pixabay

Forse in Toscana è più facile raccontare la vigilia elettorale. Le variabili importanti: condizione e orientamenti sociali, reddito e ricchezze, andamento dei principali settori dell’economia, umori delle classi dirigenti e dibattito e collocazione di partiti e partitini si lasciano spiegare, mettere in ordine con una certa facilità, una certa mancanza di pathos, anche nel descrivere le miserie e la progressiva crisi della sinistra e della partecipazione politica.

Èun paradosso per una regione rappresentata nell’immaginario politico per diversi, troppi, anni dalla baldanza e la spregiudicatezza di Matteo Renzi, dalla sua pretesa carica di rottura di schemi e convenzioni del “potere rosso”, dalla sua pretesa modernità individualista e aggressiva nel trattare l’economia e la società.

In realtà la cura renziana sul piano economico in Toscana si è fermata ai confini della Firenze appena allargata ed ha avuto un tratto restauratore: si è ristabilita a Firenze l’antica alleanza fra la rendita immobiliare e turistica e la finanza ad essa collegata, ed ha ottenuto che la città le fosse consegnata, e con essa i portafogli e l’indotto di 12 milioni di presenze turistiche. Al resto del territorio poi il gruppo dirigente renzianissimo del PD ha proposto di vivere sulla commercializzazione del marchio Toscana, stressando export e accoglienza turistica, tentando di ipertrofizzare quello che tradizionalmente c’era già, e non bastava già più.

La Toscana è infatti divisa: da una parte le zone vocate a questo “mix” produttivo, sostanzialmente il triangolo Firenze-Prato-Empoli e il suo territorio vasto, dove c’è ricchezza e circola di più ed è più basso il peso delle diseguaglianze. Qui l’elettorato del centrosinistra (del PD) è mutato solo in parte e in parte sono affluiti ceti medi dell’impresa e delle professioni. Il sistema liquido dei comitati elettorali si è mangiato il partito senza distruggere un voto di opinione attento e disposto a dar fiducia a classi dirigenti, sindaci soprattutto, che hanno fatto correre gli investimenti privati. Senza grandi attenzioni all’ambiente né politiche territoriali di lungo periodo, ma senza neanche colpire troppo la rete dei servizi, dei trasporti e del sostegno sociale che ancora copre una platea larga, che comprende redditi anche non bassissimi.

Dall’altra la costa e le zone interne, con la volatilità dei mercati internazionali che uccide le piccole imprese dell’export, la crisi dei poli dell’acciaio e dell’energia, un turismo del paesaggio estensivo che non può raggiungere la massa critica di Firenze e intensivo di breve periodo sulla costa. Aggiungiamo al centro la catastrofe del Monte dei Paschi e il quadro è completo. La cartina dei risultati delle elezioni europee rappresenta drammaticamente questo quadro, rosso al centro nord e nero intorno. Così anche la cartina del reddito procapite o del tasso di disoccupazione.

Eppure la Toscana è terra costituzionale. Il decennio Renziano con la variabile impazzita di Rossi ha fatto danni, ma non ha potuto abbattere i fondamenti sociali che la sinistra ha costruito in 50 anni di ininterrotto governo. La sanità pubblica che cerca di reagire ad una brutta riforma e ha gestito con grande efficacia il Covid, la rete degli interventi sociali retta insieme ad una società civile organizzata viva e plurale, che mantiene alto il tasso di inclusione e di protezione, la coerenza sui diritti civili, la tenuta di un quadro di programmazione economica, ambientale, urbanistica che orienta il sistema verso la sostenibilità e spesso (con l’eccezione dell’assurdo aeroporto di Peretola, peraltro bloccato dalla magistratura) riesce almeno ad imbrigliare le fughe in avanti del cemento, dei consumatori di CO2, dei cercatori di “zone franche” fiscali. Servirebbe poco insomma per vincere bene. Un segno di cambiamento, un programma di rilancio di una Toscana innovativa, green, che investa nella ricerca e nella formazione a partire magari dai settori pubblici che ne rappresentano forza e coesione: sanità, scuole e università, social care. Servirebbe una innovazione politica, che segnasse un rinnovamento dei gruppi dirigenti e l’apertura a forze fresche della società civile, cercando nel ribollire del primo organizzarsi del precariato, della creatività giovanile urbana di esperienze e centri sociali, nella spinta verso il buon uso dei beni comuni, della terra agricola, nell’ambientalismo dell’azione. Si potrebbe anche utilizzare quello che nelle intermittenti fasi “di sinistra” ha costruito Enrico Rossi sgomitando nella sua maggioranza, ad esempio il capitale di rapporti con i lavoratori, il sindacato e l’impresa che investe sulla produzione locale. Non avviene come immaginerete niente di tutto questo.

Dopo un intricato gioco di correnti e correntine, animato in buona parte dai renziani rimasti nel Pd, che ha bruciato decine di nomi più o meno adeguati, rimane in campo all’unanimità l’unico che ha giocato da solo per mesi (e che Renzi aveva incoronato per primo). Il presidente del Consiglio Regionale, Eugenio Giani, lunga militanza con Valdo Spini nei socialisti, poi un po’ confuso nella diaspora del Psi e approdato ai Ds mantenendo per tutto il tempo una solida presenza nella giunta o nel consiglio comunale di Firenze grazie ai record di preferenze. Un moderato, amante erudito aneddotico della storia di Firenze, troppo entusiasta di trafori e cementi per piacere alla sinistra, ma con una incredibile capacità di frequentare centinaia di raduni popolari trovando parole per tutti e per ciascuno. Presidente del Consiglio Regionale, ha svolto 273 visite ufficiali in tutti i comuni della Toscana e nelle loro pro loco.

È il novembre del 2019. Solo la sinistra di Leu protesta. Assente la sinistra del Pd, plaudente Zingaretti, pare per scambi correntizi su altri scenari regionali. Italia viva festeggia (entusiasmo che adesso sta rapidamente scemando insieme alla percentuale nei sondaggi). Il programma della coalizione è vago e scialbo. Arriva il Covid: il lockdown e le misure di distanziamento tolgono a Giani l’acqua in cui sa nuotare meglio di ogni altro: il presidio di ogni tipo di “assembramento” sociale. Le liste sono sei, compresa quella del Presidente, ma quella che conta, il Pd, si disamora presto: la sua campagna è sottotono e continuista, dominata dallo scontro fra comitati elettorali di candidati deboli, brutto clima, poco sostegno al Presidente che tutti avevano voluto, una certa paura che si diffonde. Eppure nulla si muove sul fronte che potrebbe scompaginare il quadro: il rapporto con i Cinquestelle, anche quando richiesto a gran voce da Roma qui mai cercato (da entrambe le parti) ostentatamente, come scelta aprioristica.

La Sinistra fuori dal Pd si è immediatamente divisa fra chi ha voluto presentare la candidatura a Presidente del consigliere uscente della lista “Toscana a sinistra” Tommaso Fattori (Rifondazione, l’ex Sinistra per Tsipras, Potere al Popolo di sostegno, Sinistra Italiana pochi giorni fa dopo una lunga e pesante battaglia interna che l’ha spaccata) e chi (Art.1, È viva, Toscana Civica una buona parte di quadri e militanti di Sinistra Italiana) ha lavorato per una lista di sinistra Toscana su base territoriale e assembleare che sostenesse con un programma autonomo il centro sinistra e per un candidato presidente condiviso. È facile osservare quanto la scelta di Giani come candidato unico e imposto dal Pd senza primarie abbia ridotto la forza della proposta di “Sinistra civica ecologista” (questo il nome scelto), aldilà di una indubbia coerenza sulla sua autonomia programmatica e politica che Giani ha scelto di tollerare e talvolta (Sanità, pubblicizzazioni dei servizi) assecondare. D’altra parte la candidatura di Fattori, con la legge che elegge il Presidente al primo turno con solo il 40% dei voti e soprattutto dopo la candidatura della leghista Ceccardi, riapre la questione della sinistra che fa vincere la destra, quella destra, e espone “Toscana a sinistra” alla reazione fondata, magari con voto disgiunto, di un popolo che non accetta il teorema del “pari son” fra centrosinistra e destra che anche una figura importante come Tomaso Montanari ha rilanciato con la consueta brillante rudezza.

In questo quadro la destra gioca facile, senza spartito. Parte dal 42 e rotti per cento raggiunti alle Europee contro il 38,8 del centrosinistra, sembravano numeri travolti dal Papeete, ma i sondaggi là si stanno riavvicinando. Archiviata la caotica ricerca di un candidato “moderato”, sepolta dal ritorno di Salvini e dalla constatazione che tutt’altro che moderati sono i Sindaci che hanno vinto a Pistoia, Pisa, Siena, Massa, Arezzo, Piombino, e via e via. Non poteva essere allora che Ceccardi, la prima leghista a vincere nel cuore rosso del Pisano, a Cascina. Quella che vietò di cantare “Imagine” nelle scuole, e impostò subito però una gestione “etnica” delle case popolari e dei servizi comunali che parlava al popolo di chi era rimasto indietro. Ora ha una esperienza europea, ha migliorato ancora presenza, affabilità e chiarezza di eloquio. Va bene, guadagna terreno, ce la può fare.

Eccoci qua. Ultimi giorni di appelli, telefonate, dibattiti social. Nessuno ancora crede al peggio, come succede spesso quando il peggio arriva. Io poi voterò Giani, perché vedo in questa Regione ancora vita, vita Costituzionale appunto. Vita come una pianta da salvare riparandola dai nemici e coltivandola di nuovo. Pazienza, coraggio e falce quando servirà, nel nostro campo. A condizione che questi vengano fermati, perché a loro piace l’odore del napalm al mattino…

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