Materiali

Esseri umani e natura attraverso l’arte

Nequaquam nobis divinitus esse paratam naturam rerum

Lucrezio, De rerum natura, V 4-5

Simone Leigh, Brick House, High Line Art Plinth, 2019, foto di Timothy Schenck.

Simone Leigh, artista americana, di origine giamaicana, con il busto Brick House ha vinto il Leone d’Oro per la migliore partecipazione alla Biennale Arte 2022 – LIX Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, intitolata Il latte dei sogni e curata da Cecilia Alemani.La scultura rappresenta il monumentale busto di una donna nera che combina le forme di una gonna e quelle di una casa di argilla, con i capelli acconciati in treccioline, fermate a una a una da conchiglie di ciprea (un simbolo ricorrente nella poetica di Leigh che, per modellarle, usa come stampo un’anguria).

La figura non ha occhi ma, guardandola, si ha l’impressione che, più che non vedere gli altri, non voglia che le persone incontrino il suo sguardo, percependo i suoi pensieri. Sovereignity (Sovranità) è il titolo della mostra, commissionata dall’ICA-Institute of Contemporary Art di Boston per il Padiglione USA dei Giardini della Biennale. Titolo che mette in risalto il nodo centrale dell’analisi dell’artista, il concetto di indipendenza individuale e collettiva: «Essere sovrani significa non essere soggetti all’autorità, ai desideri o allo sguardo altrui, ma essere autori della propria storia».

Simone Leigh, Brick House.

Simone Leight incentra la sua ricerca sul corpo delle donne nere, visto attraverso i temi del colonialismo, del razzismo, della diaspora africana, ma anche della cura, della comunità, della bellezza. Si esprime con sculture, installazioni, video e opere di arte relazionale. Le sue opere hanno tratti iperrealistici, talvolta tendono all’astrazione ma sono quasi sempre connesse a un riferimento storico preciso: una fotografia, un personaggio, una situazione. L’argilla è il materiale alla base della maggior parte dei suoi lavori (inclusi i bronzi che l’artista scolpisce dapprima in creta) oltre che materiali naturali come rafia, foglie di tabacco, conchiglie. La relazione del materiale ceramico con la geologia collega la sua opera al dibattito sulla geopolitica dell’Antropocene.

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Verso la fine degli anni Sessanta del Novecento, tra gli artisti matura una nuova forma di coscienza ecologica, e la relazione fra scienza e arte ingloba il tema del riscaldamento globale. L’arte diviene strumento per affrontare e criticare le questioni ambientali. Materiali e pratiche di studio sono in armonia con i principi della sostenibilità: ecologia, giustizia sociale, non violenza e democrazia di base. Negli anni Sessanta Land Art, Environmental Art, Ecological Art iniziano a interessarsi del rapporto tra gli esseri umani e la natura.

Un approccio riscontrabile anche in artiste/i degli anni Ottanta. Le opere di Joseph Beuys danno un contributo fondamentale alla nascita del movimento dei Verdi in Germania.

È impossibile un’attività artistica senza una presa di coscienza con la natura. E la più diretta è la presa di coscienza con la terra sulla quale camminiamo… È per questo che in tutte le mie azioni cerco di far prendere coscienza all’uomo delle sue possibilità creative, le uniche che gli possono dare la libertà. Cerco di collegarlo verso il basso con la terra, la natura, le bestie, che hanno un posto importante nelle mie azioni; e verso l’alto con gli spiriti (Joseph Beuys).

Nel 1982, per la settima edizione della mostra Documenta, Joseph Beuys
propone un piano per piantare 7000 querce nella città di Kassel,
intitolato City Forestation Instead of City Administration.

Negli anni Novanta convivono ricerche artistiche sul rapporto fra esseri umani e ambiente, e se ne avviano altre in cui l’arte si preoccupa dei rischi ambientali. «Questa tendenza, che può essere considerata come un ramo figlio dell’Environmental Art, esplora il legame tra arte e fenomeni attuali […] Tale orientamento legato alle tematiche ambientali è stato portato alla luce da numerose mostre. Fra queste Covention. Current art to transform ecologies tenutasi nel 2002 al Contemporary Arts Center of Cincinnati; Beyond Green. Toward a sustainable art, organizzata nel 2005 allo Smart Museum of Art dell’Università di Chicago; Weather report: Art and Climate Change, al Museum of Contemporary Art di Boulder (USA) nel 2007; Green Platform. Arte / Ecologia / Sostenibilità, al Centro di Cultura Contemporanea Palazzo Strozzi di Firenze nel 2009; Radical Nature. Art and Architecture for a Changing Planet 1969-2009, al Barbican Art Gallery di Londra e infine ReThink – la più interessante e corposa fra queste esposizioni, tutta incentrata sul cambiamento climatico, allestita presso la Galleria Nazionale di Danimarca nel 2009. Rimarchevole è inoltre la creazione, nel 2010, di un vero e proprio museo virtuale – greenmuseum.org – nato proprio sulla base di esperienze d’arte ambientale»1.

Eventi ed esposizioni dedicati a queste tematiche si tengono anche in concomitanza della XXI Conferenza delle Parti dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change) tenutasi a Parigi nel dicembre 2015. Il Festival ARTCOP21 coinvolge un numero considerevole di giovani artiste/i per indagare il cambiamento climatico; il London Theatre Consortium Sustainability Group lavora sul principio della sostenibilità, puntando sulla creazione di reti culturali per la realizzazione di un’arte rispettosa dell’ambiente (environmental-friendly); il Teatro alla Scala di Milano produce lo spettacolo CO2, avente come tema il cambiamento climatico; il MAXXI – Museo nazionale delle Arti del XXI secolo, nell’ottobre del 2017, realizza la mostra Nature Forever ospitando oltre 60 opere dello scultore Piero Gilardi, ambientalista, ecologista, critico e attivista, dai famosi Tappeti-Natura fino alle istallazioni del Parco dell’Arte Vivente di Torino.

Piero Gilardi, Tappeto-Natura, New York, Magazzino Italian Art, Cold Spring, 2022,
foto Marco Anelli – Tommaso Sacconi.

Nel 2019 il tema scelto per la 16esima edizione della Biennale di Istanbul accende i riflettori sull’inquinamento dei mari: il “settimo continente”, l’inconscio delle economie contemporanee fatto di plastica e rifiuti non riciclabili. Sempre nel 2019, la Fondazione MAST (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia-Centro Polifunzionale e spazio espositivo) di Bologna ospita Anthropocene, un progetto artistico multimediale che indaga l’indelebile impronta umana sulla Terra attraverso le fotografie di Edward Burtynsky, i film di Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier e una serie di installazioni in realtà aumentata che accompagnano il visitatore in un viaggio intorno al mondo, mostrando i segni più profondi dell’azione dell’uomo.

Edward Burtynsky, Carrara Cava di Canalgrande #2, 2016, Admira Photography.

A Palazzo Strozzi, Firenze, la mostra Aria dell’artista argentino Tomás Saraceno tenutasi a Palazzo Strozzi nel 2020 affronta il tema delle emissioni di carbonio che respiriamo e che mettono a rischio il pianeta. L’artista immagina un mondo immaginario chiamato Aerocene, nel quale la priorità è una maggiore consapevolezza dell’ecologia e invita a cambiare punto di vista sulla realtà e a entrare in connessione con elementi non umani come polvere, ragni o piante che diventano protagonisti delle sue installazioni e metafore del cosmo.

Le emissioni di carbonio riempiono l’aria, il particolato galleggia nei nostri polmoni, mentre le radiazioni elettromagnetiche avvolgono la terra. Tuttavia è possibile immaginare un’era diversa, l’Aerocene, caratterizzata da una sensibilità proiettata verso una nuova ecologia di comportamento. Gli ecosistemi devono essere pensati come reti di interazione al cui interno ogni essere vivente si evolve insieme agli altri. Focalizzandoci meno sull’individualità e più sulla reciprocità, possiamo andare oltre la considerazione dei mezzi necessari per controllare l’ambiente e ipotizzare uno sviluppo condiviso del nostro quotidiano. Lasciamo che la ragnatela ci guidi (Tomás Saraceno).

Tomas Saraceno, Aria, Firenze, Palazzo Strozzi, 2020.

Creatività e arte sono alla base del movimento We!Are promosso dall’Agenzia sociale panafricana per sollecitare l’attivismo climatico durante la XXVII Conferenza delle Parti UNFFCCC – Cop27 tenutasi in Egitto. Attraverso questa campagna si intende sfruttare il potere dell’arte per modificare la narrativa sul cambiamento climatico e lo sviluppo in Africa, colmare il divario tra le comunità che saranno maggiormente colpite. Il movimento è sostenuto da giovani artiste/i emergenti e affermate/i e leader di comunità in tutta l’Africa.

Le realtà artistiche dei paesi partecipanti sono state invitate a richiedere sovvenzioni per la cura di vetrine pop-up e installazioni creative, nonché l’esecuzione di tre workshop che utilizzano l’arte e la creatività. Sono stati selezionati hub di riferimento in Sudafrica, Egitto, Mozambico e Nigeria.

In Sudafrica, la vetrina We!Are è Daai Deng, un mercato in movimento che offre uno spazio ad artiste/i per presentare il loro lavoro e mettere in evidenza la benedizione e la maledizione dell’acqua usando l’arte per sviluppare e interrogare il concetto di giustizia climatica all’interno di un contesto sudafricano. Con acqua e servizi igienici elencati negli obiettivi di sviluppo sostenibile, vengono presentati i luoghi del Paese più colpiti da inondazioni e carenza d’acqua.

In Egitto, Perform Arts fornisce un servizio di formazione per le arti performative; la vetrina si concentra sull’inquinamento del mare di Alessandria e sulla scomparsa del litorale, con una mostra fotografica nella Cittadella di Qaitbay ad Alessandria.

L’iniziativa nigerianaFootprints of David Arts Foundation – progetto di sviluppo di comunità e teatro nella comunità di Bariga – ha una vetrina caratterizzata da un hub creativo per gli abitanti delle zone rurali e degli slum. Comprende una mostra fotografica dal vivo e digitale negli spazi pubblici di Lagos, performance comunitarie in aree pubbliche e installazioni artistiche riutilizzabili, come alberi di Natale costruiti con bottiglie di PET di scarto.

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A conclusione di questo sintetico, e tutt’altro che esaustivo2, quadro delle linee di ricerca artistica che recentemente si sono dimostrate sensibili alle questioni della natura, dell’ambiente e del cambiamento climatico, un breve accenno alla XIX edizione della Biennale Donna3 che dal 27 marzo al 29 maggio 2022, ha ospitato la mostra Out of Time. Ripartire dalla natura presso il PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea di Ferrara.

Si tratta di una collettiva che ha presentato le opere di cinque artiste internazionali: Mónica De Miranda (Portogallo/Angola, 1976), Christina Kubisch (Germania, 1948), Diana Lelonek (Polonia, 1988), Ragna Róbertsdóttir (Islanda, 1945) e Anaïs Tondeur (Francia, 1985). L’esposizione, curata da Silvia Cirelli e Catalina Golban, è stata organizzata da UDI – Unione Donne in Italia e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Ferrara. Oltre a indagare sulla necessità di consolidare l’interazione tra tutti gli esseri viventi del pianeta, ripensando radicalmente le attuali strutture sociali di convivenza, le opere delle cinque artiste sollecitano, da diverse prospettive, a riflettere sulle azioni antropocentriche che contaminano l’ambiente, indicando la necessità di un intreccio di conoscenze e cooperazione tra ricerca socio-economica, scientifica ed ecologica. Preservare e rispettare sono i principi che, attraverso uno sguardo critico e linguaggi diversi, accompagnano il percorso espositivo che contiene quasi tutti i linguaggi dell’arte: installazioni, video, fotografie, suoni, che permettono a visitatrici e visitatori di sperimentare in prima persona e in maniera attiva, sentendosi parte integrante dell’opera d’arte. La scelta di esporre le opere selezionate disponendole distanti l’una dall’altra ne valorizza la percezione.

La mostra (non convenzionale e di manifesto impegno socio-ambientale) si apre con le opere minimaliste dell’artista islandese Ragna Róbertsdóttir, caratterizzate dall’impiego di componenti materiche di origine naturale raccolte durante lunghe passeggiate: lava, vetro, pomice, ossidiana, rocce vulcaniche, sale e conchiglie.

Seguono le opere della francese Anaïs Tondeur, risultato visivo-artistico-scientifico di studi realizzati con la collaborazione di geologi, oceanografi, fisici e antropologi.

Le origini angolane della portoghese Mónica De Mirandasi manifestano nelle sue opere: «geografie emozionali», come lei le definisce. La sua storia personale, strettamente connessa alle origini angolane della madre, si misura con la grande storia; le sue installazioni, fotografie e video, raccontano l’impatto del colonialismo violento su esseri umani e paesaggio.

La polacca Diana Lelonek, offre una visione critica sui processi di sovrapproduzione, incentrando le sue metafore espressive sulla possibilità di soluzioni alternative di convivenza che prendano atto dell’interdipendenza fra specie.

Christina Kubisch, compositrice e artista di spicco della sound art tedesca ha creato “paesaggi acustici” attraverso l’esplorazione del potere dello spazio del suono. Le sue opere/installazioni partecipate permettono di comprendere lo stato di saturazione elettromagnetica del pianeta, attraverso esperienze sensoriali che dimostrano l’inquinamento acustico silenzioso come i segnali dei sistemi GPS, del bancomat, dei sistemi d’allarme.

Silvia Cirelli, curatrice della mostra insieme a Catalina Golban, in un’intervista rilasciata a Laura Piva nel maggio 2022, pubblicata sulla rivista «Sapereambiente» (testata d’informazione culturale per la sostenibilità online e su carta) spiega che «In alcune edizioni precedenti della Biennale Donna, le opere volevano “scuotere” lo spettatore con tematiche forti ed incisive come la violenza, le dinamiche del potere, la censura o il ruolo della donna in alcuni scenari culturali.Ma ritengo che a suo modo, anche quest’edizione abbia un forte valore partecipativo, perché stimola riflessioni universali che richiedono un’urgente attenzione. […] Sembra che ciò che avviene intorno a noi non ci riguardi, ed è forse questo, che ci fa pensare “tanto saremo ancora in tempo per cambiare il corso delle cose”. Questa, purtroppo, è una grande utopia, perché siamo già chiaramente “out of time”».

Simone Leigh, Cupboard XI (Titi), 2020. Courtesy of the artist and David Kordansky Gallery, Los Angeles, foto di Jeff McLane.

Note

1 Cfr. Arte contemporanea e cambiamenti climatici. Nuove direzioni fra scienza e arte, in «Unclosed.eu», anno III, n. 10, 20 aprile 2016; Valentina Vacca, Il futuro del pianeta attraverso l’arte contemporanea: i cambiamenti climatici, in «Medea, Rivista di Studi Interculturali», 28 settembre 2017. Le ricerche accademiche di Valentina Vacca (Università della Tuscia, Viterbo), oltre a prendere in esame la cosiddetta “arte ambientale” sono state e sono importante stimolo alla presa di coscienza su questioni ecologiche e sul problema del cambiamento climatico del pianeta.

2 Mi scuso per le moltissime le iniziative che non ho potuto citare per questioni di spazio. Per approfondimenti consiglio la lettura del lavoro di ricerca di Valentina Vacca riportato in nota 1.

3 «La Biennale Donna nasce nel 1984 come momento espositivo che intende abbracciare varie espressioni dell’arte femminile, non per ghettizzare, ma per valorizzare e sottolineare l’indiscusso valore di donne artiste. Tutte le edizioni nascono da progetti che l’UDI di Ferrara, attraverso un Comitato Scientifico formato da donne esperte dell’arte, presenta al Comune, alla Provincia di Ferrara e alla Regione Emilia Romagna, per il suo sostegno finanziario. Si avvale degli spazi espositivi e della collaborazione della Direzione delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara. Dal 1990 la Biennale Donna è riconosciuta dal Ministero alla Cultura e Ministero alle Pari Opportunità», https://www.biennaledonna.it/ [data di ultima visualizzazione: 13 novembre 2022].

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